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Buttiamola lì e vediamo che effetto fa. Il governo Renzi sembra voler continuare ad annunciare riforme per vedere che reazioni raccolgono per poi ritirarle, modificarle o annacquarle. Quest’ultimo termine risulta particolarmente adatto a spiegare il rapido affondamento della riforma che avrebbe trasferito la Guardia Costiera sotto il comando della Marina Militare.
Annunciata giorni or sono, aveva subito suscitato l’opposizione di molti gruppi di interesse, ovviamente della stessa Capitaneria di Porto/Guardia Costiera, di quanti temono la perdita delle specificità professionali delle CP nonché la reazione decisamente sopra le righe dei deputati del M5S in rivolta per l’eccessivo potere attribuito al Capo di stato maggior della Marina e per la militarizzazione dell’Italia.
A nostro avviso si trattava invece di un’ottima idea che, senza alterare compiti e funzioni, avrebbe ridotto costi di gestione, sfrondato comandi ed eliminato duplicati dal momento che tutta la parte logistica, amministrativa e addestrativa degli 11 mila militari della Guardia Costiera sarebbe stato accorpata con le strutture già esistenti per i 30 mila effettivi della Marina.
Un’evoluzione logica anche nell’ottica di ridurre i Corpi dello Stato responsabili delle attività in mare che peraltro metteva sotto lo stesso vertice uomini e donne che già “nascono marinai” insieme frequentando gli stessi istituti di formazione e che già lavorano quotidianamente insieme.
Anche questa volta però il governo “stava scherzando”, o comunque non faceva sul serio.
Considerate le reazioni corporative e politiche il governo ha modificato l’emendamento al ddl di riforma della Pubblica Amministrazione, approvato la notte scorsa dalla commissione Affari Costituzionali della Camera, che ora prevede solo il “rafforzamento del coordinamento tra Corpo delle capitanerie di porto e Marina militare, nella prospettiva di una eventuale maggiore integrazione”.
In pratica la solita aria fritta se si considera che di “maggiore coordinamento” tra le istituzioni attive nelle acque territoriali si parla da decenni con risultati deprecabili proprio perché ognuno difende il suo orticello (e i suoi centri di spesa) e nessun esecutivo ha il coraggio di cambiare rotta affrontando reazioni e malumori. Neppure oggi che le acque di casa (o quelle adiacenti) sono quasi un campo di battaglia.
Il 15 febbraio scorso al termine di un soccorso su un barcone con 247 migranti, la motovedetta della capitaneria di porto Cp 319 è stata avvicinato da un piccolo scafo veloce con persone armate a bordo che intimando l’unità di allontanarsi dal barcone ormai vuoto hanno esploso raffiche di colpi d’arma da fuoco.
Nessuna reazione da parte dell’unità della Capitaneria ma in prospettiva il rischio è che in situazioni simili siano uomini e imbarcazioni italiani a costituire un bersaglio per criminali e jihadisti. Speriamo che il “rafforzamento del coordinamento” previsto dal governo sia sufficiente a impedirlo.
Infine il rapido dietro-front del governo rappresenta un brutto precedente per tutte le riforme e in particolare per quelle degli apparati militari previste dal Libro Bianco della Difesa che certo incontreranno non poche resistenze. Destinate a ingigantirsi ulteriormente dopo quanto accaduto ieri.
Gianandrea Gaiani
Fonte: Analisi difesa