Tu sei qui
E’ stato presentato il 27 dicembre nell’ambito del Lecce Film Fest 2014, il nuovo documentario del giovane regista napoletanoRaffaele Manco, al quale è stata riconosciuta la ‘Menzione speciale”. Il documentario, intitolato “H24 Poliziotti allo specchio“, ha riscosso un grande successo della critica e ha acceso forti dibattiti fra i presenti, sul controverso tema delle Forze dell’Ordine e il loro lavoro.
Il Lecce Film Fest è indipendente da facili scorciatoie, da mode, da logiche economiche, da compiacenze politiche e istituzionali. È stata questa la sua forza in questi nove anni, permettendogli di andare avanti anche con un piccolo budget e con l’unico obiettivo di portare a Lecce qualcosa che mancava, il cinema indipendente.
Grato il regista Manco: “Ringrazio gli organizzatori Nicola Neto e Ornella Striani per l’opportunità data al documentario, soprattutto all’interno di una manifestazione dove il livello dei film in concorso era cinematograficamente alto. Per la serata e lo scambio di idee che rendono un festival qualcosa di interessante e non una passerella fine se stessa”.
Le impressioni a caldo di Raffaele Manco: “Il film ha suscitato un dibattito che ha spaccato il pubblico. Sono emersi molti aspetti interessanti: alcuni mi credevano appartenente alle Forze dell’Ordine, mentre altri pensavano che il film l’avessi girato perché mi era stato commissionato. Cosa assolutamente impossibile, poichè il film attacca appunto i poteri forti. C’è anche chi non ha colto l’occasione di uno scambio di opinioni e in sala è rimasto zitto e contrariato per poi criticarlo in privato, opponendo a “h24″ episodi in cui le forze dell’ordine hanno commesso abusi e violenze. Episodi assolutamente condannabili e da punire, ma non si può ridurre un’intera categoria a quei fatti. Un vero peccato che i giovani non riescano a cogliere le sfumature all’interno di un film, ma vedano tutto bianco o nero. Per quanto mi riguarda, chiunque commetta atti di violenza, è da condannare, che indossi o no una divisa. Rimango sconcertato come gli spettatori il più delle volte provino simpatia o quantomeno empatia per personaggi cinematografici che appartengono al mondo del crimine e invece non riescano ad accettare i personaggi del mio film che sono appartenenti alle forze di polizia e conducono onestamente il loro lavoro”.
Il pubblico si è dunque spaccato sul tema e Raffaele Manco ci racconta che: “Molte persone hanno apprezzato il documentario, ammettendo di essere entrati in sala prevenuti, per poi ricredersi a fine visione. “Film coraggioso”, “scomodo e che non accontenta nessuno”…che “mette in crisi”. Gente d’idee diverse ma che non ha dimenticato cosa è il “dialogo” e come la verità non stia in un trafiletto di giornale ma in un discorso molto più ampio e complesso. Alla fine “h24″ è un film su delle persone che continuano a fare il loro dovere onestamente, rispettando gli ideali di giustizia e legalità, a tutela di tutti. Lo fanno in questo paese, nonostante questo paese. E non è poco. Forse l’auspicato cambiamento potrebbe partire proprio da qui”.
Il documentario esce dopo anni di ricerca, difficoltà, controversie, duro lavoro. La scelta del documentario nasce dalla mancanza di una produzione, quindi di un budget, ma anche dalla necessità di raccontare ‘storie’, non finzione. “Il documentario è una forma cinematografica che ti permette di crescere come essere umano, perché ogni volta ti rapporti con una realtà specifica, con persone diverse, che ti cambiano profondamente. Dopo ogni documentario prodotto, non sei più lo stesso di prima. E’ una crescita continua”.
Raffaele Manco lavora da tanti anni da solo: ideatore, sceneggiatore, produttore, cameramen, direttore della fotografia, regista, montatore e distributore. Un tipico esempio di quest’Italia che lavora senza mezzi, con competenza, passione e coraggio. Perché a scavare in certi argomenti ce ne vuole!. E’ un giovane che ci crede e ci ha sempre creduto. Lo dimostra la sua costante attenzione a temi ‘scottanti’ e di nicchia, ponendo i riflettori su realtà dimenticate, di cui si parla poco e soprattutto, non con la dovuta chiarezza. Ne è la dimostrazione il precedente documentario da lui prodotto ”Italo”, che tratta il delicato argomento dell’usura, ponendo l’attenzione sulle cause e sui drammi umani a esso correlato.
Raffaele crede nell’importanza di raccontare le verità scomode. Quelle che nessuno vuole guardare in faccia, forse perché sommerse, stereotipate, distorte dai media e dall’opinione pubblica che non vuole e non sa distinguere. Esce, anche grazie al coraggio di 5 uomini che si sono messi in gioco con coraggio: Elias, Dike, Crockett, Giovanni Giannattasio e Maurizio Cudicio.
In “H24” i protagonisti sono, infatti, poliziotti, carabinieri, uomini (non per discriminare, ma donne disponibili non se ne sono trovate, dice Manco), che hanno per la prima volta l’opportunità (e il coraggio) di raccontarsi nei loro aspetti più umani, ma anche drammatici: non raccontano dunque solo il loro lavoro, il delicato compito di scavare negli orrori, nel disagio, nelle miserie e nell’illegalità e di tutelare la sicurezza nel nostro paese, ma soprattutto le loro difficoltà, i pericoli quotidiani, i processi fondati su accuse illegittime, la mancanza di sostegno istituzionale, i difficili rapporti con i superiori, le ingiustizie e le contraddizioni, raccontati con onestà intellettuale e coraggio. Fino alla loro profonda solitudine che sfocia a volte nella disperazione (fino a spingere alcuni di loro anche al suicidio).
Come è nata l’idea di questo documentario?
Nel corso degli anni ho conosciuto molte persone che lavoravano nelle forze dell’ordine e mi sono reso conto che c’erano alcuni aspetti del loro lavoro che non erano mai stati raccontati: lavori sotto copertura con dinamiche lavorative scomode, mai denunciate prima, disagi, stipendi bassi, difficoltà con i superiori, ma soprattutto mi aveva colpito la ‘veste umana’ di questi uomini che hanno poco dell’eroe, ma lavorano nell’ombra armati soprattutto di grande passione per il proprio lavoro. Gente che ci crede. E’ questa passione che ho voluto trasmettere in questo documentario.
L’opinione pubblica in genere è molto critica e negativa con i rappresentanti delle Forze dell’Ordine. Perché secondo lei?
Gran parte della colpa l’hanno certamente i media, che evidenziano solo le aggressioni della polizia verso manifestanti, senza andare a fondo, cercando le cause scatenanti: si tratta sempre di azioni che mirano a difendere se stessi, il territorio e le persone presenti, dalla violenza di ‘alcuni elementi’ (spesso veri e propri malviventi) che lanciano bombe carta, mattoni, sampietrini e girano armati di spranghe di ferro.
Ma io non tratto quest’argomento. Nel mio documentario racconto ‘l’uomo che c’è dietro la divisa’ e tutto quello che accade ‘prima’ e ‘dopo’ lo scontro, ad esempio tra polizia e manifestanti, perché le vere responsabilità sono in quegli attimi ‘prima’ dello scontro. La vera domanda che ci si dovrebbe porre è questa: “Chi permette che si arrivi a certe dinamiche?”.
Il documentario è anche una coraggiosa ‘denuncia’ al potere
Sì, lo è. Ma si tratta di un potere astratto, per questo molto più pericoloso. Non gli si attribuisce un nome e un cognome, non è collegato a un partito politico. Sì, il potere è la classe politica, ma è un magma indistinto che si rifà sulle gerarchie, che a loro volta si rifanno sugli uomini in divisa.
Emerge una profonda solitudine di questi ‘uomini in divisa’..
Ho voluto porre l’accento proprio su questa solitudine: anche se lavorano in gruppo, ognuno di loro è solo. Solo davanti alle gerarchie, al potere, alle sue stesse responsabilità come essere umano.
Com’è stato il rapporto con i protagonisti durante le riprese. Che persone sono?
Assolutamente straordinarie, con una forza e un coraggio che si vedono raramente. Persone che fanno il proprio lavoro, nonostante le difficoltà, e continuano a farlo perché ci credono, hanno passione e perché fondamentalmente credono nella giustizia e nella verità. Alcuni, come l’agente sotto copertura, fanno un lavoro in completa solitudine. Lui si muove a seconda delle persone che deve seguire per arrestare boss, latitanti, trafficanti di droga. E quando riceve un encomio, un premio, nemmeno può andare a ritirarlo, perché vive con una falsa identità.
Quello che mi ha colpito di loro è soprattutto che, nonostante il lavoro così particolare, così difficile, fatto in condizioni estreme, fuori dal lavoro sono delle persone normali, spesso con famiglia, di cultura, tranquille, con una profonda sensibilità. Non sono dei rambo. Siamo nel 2014 e nessuno, prima d’ora, si è mai preoccupato di analizzare il mondo delle divise e degli uomini che la indossano. Perché come dice uno dei protagonisti: “Noi diamo tutto per scontato. Diamo per scontata la nostra libertà. Quando giriamo per le strade, prendiamo un aereo, un treno, ci sono persone che stanno lavorando per la nostra sicurezza”.
“H24 Poliziotti allo specchio” è un bellissimo documentario che fa luce su quello che nessuno vede mai: il lavoro e l’impegno di uomini e donne che lavorano con onestà e passione in condizioni pericolose e scomode, mettendo a repentaglio la propria vita per tutelare la nostra. Tutto per un misero stipendio e una vita logorante. Un film che fa ascoltare il battito del cuore, nascosto dietro la divisa. Un cuore che a volte ha paura, soffre, ha pena, eppure deve essere forte. Un cuore che marcia solitario per le notti buie del mondo, con i propri tormenti e le speranze in un mondo migliore che loro, gli uomini in divisa, contribuiscono fattivamente a bonificare.
L’operato di un poliziotto, o di un carabiniere, non è mai sotto i riflettori e per uno che sbaglia, è additata tutta la categoria. Però sono i guardiani della nostra società e dobbiamo essere loro grati, perché ci rendono liberi.