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Il capitolo pensioni è un cantiere sempre aperto in Italia. Sono passati tre anni dall'ultima riforma organica, che ha sancito il passaggio per tutti dal sistema di calcolo retributivo a quello contributivo, elevando nel contempo i requisiti anagrafici e contributivi, e in questo periodo si sono succeduti nuovi interventi di minore portata (a cominciare dalla salvaguardia degli esodati). All'orizzonte si profilano ancora novità normative, che potrebbero interessare quanti sono intenzionati a lasciare il lavoro prima delle soglie previste, anche se questo comporterà delle penalizzazioni.
Verso la flessibilità in uscita
L'adeguamento dei parametri all'aspettativa di vita farà sì che, a partire dal 2016, i lavoratori del settore privato potranno andare in pensione solo dopo aver compiuto 65 anni e 7 mesi dai 63 anni e 9 mesi dell'anno in corso, mentre le donne del settore pubblico potranno uscire solo con 66 anni e un mese a fronte dei 64 anni e 9 mesi attuali. Per gli uomini e per chi va in pensione anticipata (al momento 42 anni e sei mesi di anzianità contributiva per gli uomini, 41 anni e 6 mesi le donne) il requisito aumenta dei 4 mesi previsti per l'incremento della speranza di vita.
Il Governo sta lavorando a un intervento normativo che consenta di dribblare l'attuale rigidità sulle soglie di pensionamento. Dunque, si potrà andare in pensione prima, ma con un assegno ridotto. Dato l'impatto di una tale misura sui conti pubblici (le riforme degli ultimi 15 anni sono state tutte indirizzate all'obiettivo opposto, cioè ridurre il costo per lo Stato), la quadratura del cerchio si potrebbe trovare solo a fronte di un taglio del 15-20% rispetto all'assegno inizialmente previsto. A quel punto, però, l'opzione sarebbe poco conveniente per molti.
I nodi da sciogliere
Un'altra ipotesi circolata negli ultimi tempi è relativa alla possibilità di istituire un prestito per chi vuole andare in pensione anticipata, che lo rimborserebbe poi a rate dal momento in cui percepirà la pensione (con trattenute sulla busta paga). Una prospettiva suggestiva, che consentirebbe di offrire una copertura anche a tutti coloro che perdono il lavoro in età avanzata e non riescono a ricollocarsi, ma che si sconta con un problema non da poco: il gravame sui conti dello Stato nel breve periodo, che difficilmente riceverebbe l'approvazione dall'Unione europea.
C'è poi anche un altro aspetto che preoccupa: la rivalutazione dei montanti contributivi è determinata dall'evoluzione del Pil e del'inflazione. Entrambi stanno procedendo a passo di gambero, con il rischio che vi siano dei tagli ai già magri assegni attuali.