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Anche in questa Legislatura si è aperta la solita discussione in Commissione Difesa sulla riforma della Rappresentanza Militare. E anche stavolta, una politica debole e superficiale, sta cercando solo di trovare la “sintesi” che accontenti le esigenze dello Stato Maggiore della Difesa ed assecondi le richieste delle varie Rappresentanze.
Una sintesi che, se era improbabile ieri (motivo per cui non si è mai arrivati ad una riforma), oggi è addirittura impossibile.
Stato Maggiore Difesa, infatti, non intende più soggiacere alle esigenze del mondo sicurezza (come ha fatto negli anni ‘80 e ‘90) ed ha tratteggiato e, per molti versi, già imposto, la strada che intende seguire per i prossimi anni. Una strada che, in materia di diritti, prevede l’assoluto e completo isolamento del mondo militare dal resto delle regole civili (punto 68 del Libro Bianco). Un progetto in cui lo spazio per i diritti del personale è ancor più limitato anche rispetto al presente. Altro che passo in avanti!
Dall’altra parte, le Rappresentanze GDF e AM non hanno sinora ceduto a compromessi al ribasso (impedendo, di fatto, la definizione di una “riforma a perdere”) e anche in ambiente Marina Militare si sta facendo largo una posizione pro diritti sindacali.
Senza contare che bisogna necessariamente fare i conti con la sentenza CEDU che ha dichiarato “illegittimo” il divieto assoluto di associazione professionale per i militari francesi e che presso la stessa Corte pendono due analoghi ricorsi promossi dall’Associazione “Assodipro” e da 400 finanzieri.
In questo contesto, la politica, ed in particolare il Partito Democratico, ha davanti a sé quattro scenari:
1. fare una riforma che preveda due forme di rappresentanza e di contrattazione diverse a seconda della funzione espletata (e non a seconda della forma, come adesso) e, quindi, un’impostazione per le Forze Armate ed una diversa per Forze di Polizia militari; cosa che Stato Maggiore Difesa non può permettersi e non potrà mai accettare e che forse la politica non ha la “forza” di imporre;
2. fare una riforma che accolga le osservazioni della Corte E.D.U. seguendo l’esempio francese (c.d. “doppio binario” associazionismo esterno e Consigli interni); cosa che però mal si concilia con i progetti dello Stato Maggiore Difesa;
3. fare una “riformetta” che accolga solo formalmente le osservazioni della Corte E.D.U., anestetizzi gli effetti dei ricorsi italiani (es. associazionismo privo di sostanza modello associazioni combattentistiche o d’arma) e non disturbi troppo i progetti dello Stato Maggiore Difesa;
4. fare melina ed attendere le prossime sentenze della Corte E.D.U. sui casi italiani.
E’ evidente che, rispetto alle richieste di diritti sindacali da sempre avanzate dai finanzieri, anche solo la seconda ipotesi rappresenterebbe un compromesso al ribasso, figuriamoci la terza. A questo punto, è meglio il nulla, in attesa delle sentenze della Corte E.D.U. e di un riordino organico del comparto sicurezza, che una “non riforma” fatta con l’intento di depotenziare i ricorsi, smarcare una casella sull’elenco delle riforme e non intralciare i piani della Difesa.
Gianluca Taccalozzi
Delegato Cocer Guardia di Finanza.