Tu sei qui
L'aumento delle spese militari della Germania e la proposta di Jean-Claude Juncker di istituire un esercito dell'Unione europea si iscrivono in uno scenario mondiale che, al di là dei focolai Isis e Ucraina, è caratterizzato da due tendenze fondamentali: una riduzione progressiva delle spese militari degli Stati Uniti, a cui corrisponde una maggiore spesa per gli armamenti nelle altre aree del mondo, in primo luogo in Cina, Russia e India. La corsa al riarmo vede protagonista anche l'Europa, dove i paesi Nato con un budget militare inferiore al 2% del pil (tra questi, Germania e Italia) si sono impegnati a raggiungere in modo graduale tale quota. Nel complesso, uno scenario dove le spese militari di molti Paesi, nonostante il rallentamento globale dell'economia,stanno aumentando più del pil, arricchendo in tal modo le entrate valutarie dei primi tre grandi produttori mondiali di armi: Usa, Russia e Germania.
Che la Germania sia il terzo esportatore di armi al mondo, può stupire solo gli ingenui. Certo, sul piano culturale, è una contraddizione: il rifiuto del militarismo è infatti molto radicato nell'opinione pubblica tedesca, come eredità psicologica di due guerre mondiali rovinose. Pochi giorni fa, su ItaliaOggi, Roberto Giardina ha raccontato come questa eredità abbia influenzato perfino i giocattoli dei bambini, che invece dei soldatini di piombo si vedono regalare dai genitori il pupazzetto di Martin Lutero. La stessa Angela Merkel, distinguendosi dai leader di altre potenze, è sempre stata molto cauta nel ricorrere all'uso della forza (vedi il rifiuto di inviare soldati tedeschi in Libia contro Gheddafi), preferendo sempre il dialogo e il consenso (come nel caso dell'Ucraina). Ma l'aumento dei focolai di guerra in prossimità dei confini, il crescente peso militare della Russia di Vladimir Putin unito all'esigenza di rendere più autorevole la politica estera e di difesa dell'Unione europea («altrimenti non ci prendono completamente sul serio» dice Juncker) alla fine hanno spinto anche la Germania a mettere da parte il pacifismo e a potenziare l'esercito con le armi che essa stesa produce e vende.
In fatto di armamenti, la leadership mondiale spetta agli Stati Uniti, senza rivali dopo la caduta del comunismo. Una leadership che si è accentuata dopo l'11 settembre 2001 (attentato alle torri gemelle di New York): in dieci anni (2001-2011), per contrastare il terrorismo, la spesa militare americana si è più che raddoppiata, salendo da 312 a 711 miliardi di dollari, pari al 41% della spesa militare mondiale. Un trend che Barack Obama ha interrotto, con una riduzione progressiva delle operazioni militari all'estero, e un calo del budget per la difesa, sceso, con l'ultimo stanziamento, a 585 miliardi di dollari (35% del budget militare mondiale).
Tra i paesi impegnati a spendere di più, ora c'è la Cina, secondo paese al mondo per spese militari, con 188 miliardi di dollari nel 2013. Il tasso di crescita della spesa militare cinese è stato vertiginoso (più 170% dal 2004 al 2013), superiore all'aumento del pil nello stesso periodo (più 140%). Anche la Russia di Putin, da cinque anni in qua, spende sempre di più in armamenti: nonostante la crisi del rublo, Mosca prevede per il 2015 di portare la spesa militare a 62,6 miliardi di dollari (3 mila miliardi di rubli), con un aumento del 17,8% rispetto al 2014. Idem sta facendo il Giappone, che ha approvato di recente un bilancio record per la difesa: 4.980 miliardi di yen (36 miliardi di euro), in risposta alla crescita militare cinese.
In Europa, il quadro è variegato. La Gran Bretagna, imitando gli Usa, ha tagliato la spesa militare del 2% nel 2014. Anche la Francia, alle prese con problemi di bilancio, ha previsto di ridurre il budget della difesa, da sempre un orgoglio nazionale. Quanto all'Italia, i tagli ad alcuni comparti della spesa pubblica, previsti dalla legge di stabilità 2015, hanno risparmiato il budget della difesa, che prevede per quest'anno 18 miliardi di spese militari, compreso l'acquisto di nuovi armamenti per 5 miliardi (compresi gli F35): in pratica, le stesse cifre del 2014, salvo esigue limature.
Le ricerche sul mercato mondiale delle armi, condotte da istituti internazionali e dalle grandi banche d'affari, concordano nel prevedere che nei prossimi cinque anni i paesi della Nato scenderanno sotto la metà della spesa militare mondiale (1.600 miliardi di dollari nel 2015, contro i 1.100 miliardi del Duemila), mentre ne coprivano i due terzi fino al 2010. Nel 2020 la spesa per la difesa nell'area Asia-Pacifico supererà quella degli Stati Uniti. La Cina sarà sempre più la seconda potenza militare, dopo gli Usa. Mentre l'India, sempre nel 2020, diventerà il terzo acquirente mondiale di armi, nel tentativo di tenere il passo con la Cina.
Nel confermare la fine del «secolo americano», la nuova geografia degli armamenti accompagna le dinamiche geopolitiche che stanno portando a nuovi equilibri mondiali, diversi da quelli definiti settant'anni fa, dopo la seconda guerra mondiale. La pace, dice la Merkel, non è più un fatto scontato. Ma il saperla preservare distinguerà i veri leader politici dagli avventurieri e dai briganti tagliagole.
Tino Oldani
Italia Oggi