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l ministero della giustizia detta le regole sull’uso dei social network al personale dell’amministrazione penitenziaria. Con una circolare del 20 febbraio scorso, via Arenula ha infatti fornito «precisazioni sull’uso dei social network da parte del personale dell’amministrazione penitenziaria», per evitare il rischio di rivelare informazioni sensibili che possono mettere a repentaglio la sicurezza della stessa.
Social come i giornali. Il ministero, anzitutto, assimila i mezzi di diffusione del pensiero dei social network, come Facebook, Twitter, WhatsApp, blog, chat e forum di discussione, alle dichiarazioni rese dal lavoratore a mezzo degli strumenti tradizionali di comunicazione pubblica del pensiero (giornali, radio, televisione). Quindi, ricorda al personale che il diritto di manifestazione del pensiero e di critica in costanza del rapporto di lavoro soggiace a determinati limiti, esplicitazioni dei doveri di fedeltà, di riservatezza ed adesione ai valori ed alla missione istituzionale dell’Amministrazione, che incombono al lavoratore in quanto deducibili nella prestazione lavorativa medesima, attinenti a: continenza verbale, continenza sostanziale (verità dei fatti), rilevanza sociale delle dichiarazioni, rispetto allo status del dichiarante e alla sua platea di riferimento.
La deontologia. Secondo la circolare, inoltre, dato che il «profilo privacy» scelto e adottato dal lavoratore consente la visualizzazione dei suoi «post», commenti, video e foto, anche a una cerchia di utenti aperta e indeterminabile, il dipendente, qualora violi la riservatezza e procuri danno all’immagine, alla continuità e alla regolarità dell’azione dell’amministrazione, soggiace a valutazioni di ordine deontologico e ad azioni di responsabilità disciplinare. A questo proposito, il ministero richiama i doveri cui sono tenuti i dipendenti pubblici, contenuti nei codici deontologici di ciascuna categoria professionale. Ovvero: il dpr n. 62/2013, recante il codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell’articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, numero 165. Tra cui, l’art. 2, comma 3. «Il dipendente non usa a fini privati le informazioni di cui dispone per ragioni di ufficio, evita situazioni e comportamenti che possano ostacolare il corretto adempimento dei compiti o nuocere agli interessi o all’immagine della pubblica amministrazione».
Altra disciplina di riferimento è il decreto del presidente della repubblica n. 82/1999, recante invece il regolamento di servizio del Corpo di polizia penitenziaria, all’art. 10: «Il personale del Corpo di polizia penitenziaria ha in servizio un comportamento improntato a professionalità, imparzialità e cortesia e mantiene una condotta irreprensibile, operando con senso di responsabilità ed astenendosi altresì da comportamenti o atteggiamenti che possono recare pregiudizio al corretto adempimento dei compiti istituzionali».
Infine, la circolare richiama la raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa del gennaio 2006 sulle regole penitenziarie europee.
Gabriele Ventura (Italia Oggi)