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Chi è stato diffamato via web può proporre la querela anche otto mesi dopo la pubblicazione “incriminata”, se ha appreso la notizia in un secondo momento da altri utenti. La Cassazione, con la sentenza 12695, ricorda che il reato di diffamazione è un evento che si consuma nel momento e nel luogo in cui i terzi percepiscono l’espressione ingiuriosa e dunque, nel caso di immagini o scritti lesivi messi in rete, quando il collegamento viene attivato. Un principio di cui si deve tener conto nel valutare la tempestività della querela.
Può accadere infatti, che la vittima si accorga di essere stato offeso appena si connette, ma può anche succedere che lo sappia da altri. Nel primo caso c’è una contestualità o perlomeno una prossimità temporale tra l’inserimento in rete e l’amara scoperta, mentre nella seconda ipotesi per sporgere querela basta la prova di aver ricevuto la notizia.
Non passa dunque la richiesta del ricorrente di “archiviare” tutto per intempestività della querela. L’imputato aveva preso l’iniziativa di mettere in una rubrica di You tube, dal titolo esplicativo («Facce da schiaffi») il nome e il cognome di un suo creditore, reo di non avergli saldato una fattura. Le generalità erano accompagnate anche da un’espressione con la quale veniva messa in dubbio la moralità della madre del creditore. Prima di tentare la strada della tardività della querela l’imputato aveva cercato anche di negare la paternità della “bravata”.
I giudici della V sezione, pur consapevoli che nelle registrazioni su Internet si può mentire, affermano che ad “inchiodare” il ricorrente era stata «la piena corrispondenza tra la descrizione data di sé nell’account di registrazione al sito e l’imputato». P.Mac.