Periodico di informazione delle Forze Armate, Forze di Polizia e Pubblico Impiego

Arriverà domani il decreto con le tabelle di equiparazione, quello chiamato a disciplinare la mobilità del personale tra i diversi comparti della Pubblica amministrazione, ed è probabile una ripresa delle polemiche fra Governo e sindacati che hanno accompagnato l'emergere della bozza di provvedimento un mese fa.Il nodo è all'articolo 3, comma 2 delle bozze di provvedimento circolate in queste settimane, in cui si spiega che i dipendenti interessati dalla mobilità non volontaria (per quella volontaria il trattamento economico è sempre quello previsto nella Pa di destinazione, come dice l'articolo 30, comma 2-quinquies del Dlgs 165/2001), «mantengono il trattamento fondamentale e accessorio, ove più favorevole, limitatamente alle voci fisse e continuative (...) mediante assegno ad personam riassorbibile con i successivi miglioramenti economici a qualsiasi titolo conseguiti nei casi in cui sia individuata la relativa copertura finanziaria, anche a valere sulle facoltà assunzionali»

La norma
Quello in conferenza Unificata è l'ultimo passaggio per il Dpcm prima della registrazione in Corte dei conti, che dovrà valutarne i profili finanziari, e proprio sul nodo risorse, o meglio sulla loro gestione, si era acceso il confronto fra il Governo e le parti sociali nell'unico incontro ufficiale dedicato al tema. Da un punto di vista di finanza pubblica l'intero impianto, che attua una previsione della riforma Brunetta rilanciata lo scorso anno dal decreto Madia sul pubblico impiego (articolo 4, comma 3 del Dl 90/2014) ed essenziale per attuare davvero la mobilità del personale in «eccedenza» nelle Province, non dovrebbe avere alcun effetto sui saldi, ma almeno secondo il timore dei sindacati effetti importanti, e negativi, rischiano di verificarsi per le buste paga dei singoli dipendenti coinvolti.

Il punto chiave
Il nodo è all'articolo 3, comma 2 delle bozze di provvedimento circolate in queste settimane, in cui si spiega che i dipendenti interessati dalla mobilità non volontaria (per quella volontaria il trattamento economico è sempre quello previsto nella Pa di destinazione, come dice l'articolo 30, comma 2-quinquies del Dlgs 165/2001), «mantengono il trattamento fondamentale e accessorio, ove più favorevole, limitatamente alle voci fisse e continuative (...) mediante assegno ad personam riassorbibile con i successivi miglioramenti economici a qualsiasi titolo conseguiti nei casi in cui sia individuata la relativa copertura finanziaria, anche a valere sulle facoltà assunzionali».

La reazione dei sindacati
Proprio da queste righe è nata, nell'incontro di inizio aprile e nel tentativo di trattativa sviluppato nelle settimane seguenti, la reazione dei sindacati, che dopo l'incontro di un mese fa hanno accusato il Governo di «proporre tagli d'ufficio al salario» e di «tornare indietro di vent'anni sulla disciplina delle professionalità». Critiche a cui il ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia, aveva ribattuto chiedendo ai sindacati se volessero «aiutarci con i loro contributi puntuali e di merito prima dell'adozione definitiva del provvedimento oppure proseguire in una battaglia ideologica proprio alla vigilia di una grande operazione di mobilità come quella delle Province».

I problemi applicativi
Qualche che sia stata la scelta, è più che probabile che l'articolo 3, snodo centrale del provvedimento, rimanga inalterato. Sul punto, i timori evocati dai sindacati riguardano in particolare il rischio che i dipendenti perdano le quote non «fisse e continuative» del salario accessorio maturato nell'amministrazione di provenienza e la prospettiva che il meccanismo dell'assegno riassorbibile ipotechi ogni prospettiva di miglioramento economico per gli anni successivi. Rischi, evidenziano i sindacati, moltiplicati dalla «copertura finanziaria» con cui ogni amministrazione "ricevente" dovrebbe finanziare il trattamento accessorio mantenuto dal dipendente. 

Il rischio contenzioso
Senza "zainetto", però, la situazione in alcuni casi rischia di complicarsi: le amministrazioni riceventi, infatti, non vedono aumentare le risorse disponibili nel fondo per gli integrativi, con la conseguenza che quindi la somma dovrebbe essere distribuita fra più "beneficiari". All'atto pratico, il problema dipenderà caso per caso dall'effettiva esigenza di coprire trattamenti «più favorevoli» maturati in passato dagli ex provinciali e dalla dotazione del fondo in ogni Pa ricevente: ma è ovvio che, in caso di riduzioni del trattamento economico, la prospettiva del contenzioso sarebbe più che concreta.

http://www.quotidianoentilocali.ilsole24ore.com/

Argomento: 
Attualità e Politica