Riordino dei comparti del pubblico impiego, con un nuovo incontro all’Aran con i sindacati che dovrebbe tenersi a metà gennaio. La riorganizzazione della dirigenza pubblica, per favorire maggior trasparenza e mobilità (anche con il settore privato) degli incarichi che potranno durare al massimo 6 anni (4+2) con una valutazione più mirata delle performance. E poi, un nuovo testo unico del lavoro pubblico per aggiornare il Dlgs 165 del 2001 e la riforma Brunetta del 2009 e regolare tutti i principali aspetti del rapporto d’impiego, compresi i “delicati” procedimenti disciplinari (oggi sostanzialmente bloccati per norme troppe complesse e anche per l’inerzia dei capi struttura).
Si compone di tre tasselli il pacchetto di riforma del lavoro pubblico, che vedrà la luce probabilmente quest’estate, con il varo dei provvedimenti attuativi della legge Madia.
Il primo passaggio, obbligato, di questo percorso è la semplificazione delle aree di negoziazione in applicazione del Dlgs 150 del 2009. Oggi i comparti pubblici sono 12, e adesso scenderanno a 4: Amministrazioni centrali, Scuola, Sanità, e Regioni ed autonomie locali. «Convocherò le organizzazioni sindacali nei prossimi giorni - annuncia il presidente dell’Aran, Sergio Gasparrini -. Qui resta da sciogliere la sorte dell’area Università e Ricerca; stiamo discutendo se tenere questi settori all’interno del comparto Scuola o di integrarli in quello delle Pa centrali. Troveremo una soluzione. Sono comunque fiducioso che si arriverà presto a un accordo».
Il riordino delle aree di contrattazione è infatti il presupposto per riaprire, dopo una stagione che dura da più di 5 anni, il tavolo negoziale per il rinnovo del Ccnl ai 3 milioni di “travet”: la legge di Stabilità 2016 mette sul piatto 300 milioni (già giudicati perciò una “mancia” dalle sigle sindacali); e molto probabilmente, per il quinquennio passato, non ci sarà recupero del blocco (salvo, forse, la conferma dell’indennità di vacanza contrattuale riconosciuta nel 2010).
La strada per il nuovo contratto si annuncia, quindi, in salita. Sul fronte della dirigenza, ci si aspettano grandi novità. Intanto il debutto dei ruoli unici (uno per lo Stato, uno per le regioni e uno per gli enti locali); poi, secondo la legge delega, si dovrà disegnare un percorso meritocratico e di formazione continua per i manager pubblici. Si dovrebbe puntare pure su una più ampia mobilità e su un sistema di valutazione effettivo (e slegato dal potere politico), che nei casi più gravi potrà portare alla revoca dell’incarico. Il restyling della disciplina del lavoro pubblico arriverà invece con il nuovo Testo unico, che dovrà disciplinare, in modo unitario, diverse tematiche dagli accertamenti medico-legali sulle assenze dal servizio per malattia dei dipendenti pubblici; all’individuazione di limitate e tassative fattispecie dove si potrà ricorrere a forme di lavoro flessibile; al decollo delle regole sulla valutazione dei “travet”; agli annunciati interventi sui procedimenti disciplinari. Qui, in particolare, l’ipotesi allo studio dei tecnici di palazzo Vidoni è quella di accentrare in capo all’Ufficio per i procedimenti disciplinari (l’Upd, già presente in tutte le strutture) le procedure per irrogare sanzioni superiori al rimprovero scritto, prevedendo termini perentori di inizio e fine del procedimento. Al responsabile della struttura (cioè al singolo dirigente) rimarrebbe la competenza solo per il rimprovero verbale e scritto. Il responsabile dell’ufficio in cui opera il dipendente “infedele” manterrebbe invece la funzione della segnalazione entro un certo termine.
Sul delicato, e dibattuto tema, dell’articolo 18, l’orientamento del governo e del ministro, Marianna Madia, è quello di mantenere la tutela reale. Potrebbero esserci ritocchi alla fattispecie di licenziamento per scarso rendimento (si sta studiando una semplificazione della procedura); e, forse, si potrebbe consentire la reiterazione del provvedimento disciplinare, se si accerta un vizio di forma. L’idea, allo studio dei tecnici di Funzione pubblica, è di consentire alla Pa una seconda chance per licenziare il fannullone: se il giudice annulla il recesso per un vizio formale, scatta la reintegra, ma l’amministrazione può rifare il procedimento e, così, correttamente licenziare il dipendente “infedele”.
Gli esperti si aspettano una riforma organica del lavoro pubblico, e soprattutto che tutti i tasselli “viaggino in simultanea”: «Riordino della dirigenza, rinnovo del Ccnl e Testo unico devono arrivare insieme - spiega Sandro Mainardi, ordinario di diritto del Lavoro all’università di Bologna -. Si rischia altrimenti di avere norme contrattuali contraddittorie o già superate rispetto al nuovo quadro regolatorio. L’attesa è anche per l’opera di ripulitura di tutte le disposizioni sul pubblico impiego stratificatesi negli anni. Un’operazione che, se fatta bene, aiuterà anche dal punto di vista dei contenziosi giudiziari».
Fonte: Il sole 24 ore