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E’ ben noto che chiunque si accinga ad un intervento urgente con legge ordinaria sulla giurisdizione dei tribunali militari va incontro a specifiche difficoltà derivanti da istanze contrapposte: da un lato l’insignificante carico di lavoro dovuto a motivi non contingenti e transeunti, quasi segno dell’esaurimento della funzione nell’ordinamento della Repubblica, richiederebbe la pura e semplice soppressione dell’intera organizzazione; dall’altro però il dettato costituzionale, come comunemente inteso anche in sentenze della Corte costituzionale, appare di ostacolo ad operazioni di questo tipo, e legittimare quindi soltanto riordinamenti riduttivi anche al massimo, che però mantengano in qualche modo in vita la speciale giurisdizione per i reati militari commessi dagli appartenenti alle Forze Armate.
Di Giuseppe ROSIN già magistrato militare,
Sost. Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Venezia (a r.)
Al paragrafo 252 del Libro bianco per la sicurezza internazionale e la Difesa, per la giurisdizione penale militare si enuncia che “Il Governo intende proseguire lo sforzo di maggiore efficienza del sistema e di razionalizzazione studiando anche la possibilità di forme giuridicamente evolute basate sul principio di unicità della giurisdizione penale e che prevedono di dotarsi, in tempo di pace, di organi specializzati nella materia penale militare incardinati nel sistema della giustizia ordinaria”. La dichiarazione di intenti - per niente scontata ed anzi nuova rispetto alla concezione insita nel progetto di riforma inserito nella legge di stabilità e poi da questa stralciato – è da mettere in relazione con la disposizione dell’art. 102 II comma della Costituzione, per il quale “Possono istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura”, ma anche e soprattutto con la disposizione dell’art. 103 III comma, secondo cui “I tribunali militari…in tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze Armate”. Ed in questo ambito vengono in considerazione appassionati dibattiti dottrinari e complesse vicende giurisprudenziali, e numerosi progetti di riforma senza esito ed alcune leggi ed interventi modificativi della sfera di competenza dei tribunali militari. Una struttura dissipativa Tuttavia, prima di qualche considerazione di merito, appare opportuno dare atto di quale sia l’attuale assetto organizzativo dei tribunali e della magistratura militare, e dell’entità del lavoro giudiziario a questi affidato. A seguito di disposizioni della legge finanziaria 2008 (art. 2, commi 603-611 L. 24 dicembre 2007, n. 244) dal I° luglio 2008 i tribunali militari sono tre, con sede in Verona, Roma e Napoli, e la Corte militare di appello una sola con sede in Roma, senza sezioni distaccate. Nella stessa Capitale è istituito il Tribunale militare di sorveglianza. Le funzioni di Pubblico ministero sono affidate alle procure militari della Repubblica presso i tribunali e alla Procura generale della Repubblica presso la Corte militare di appello. Nel grado di legittimità di pertinenza della Corte di cassazione le funzioni requirenti sono esercitate dalla Procura generale militare presso la medesima. Negli organi giudiziari militari requirenti e giudicanti sono effettivi magistrati appartenenti al ruolo organico della magistratura militare, stabilito in 58 unità. Attualmente sono in servizio 48 magistrati militari, di cui ben 16, e quindi un terzo, sono magistrati ordinari transitati nella magistratura militare tramite concorso per titoli o a seguito di domanda individuale. Sulla falsariga del Consiglio superiore della magistratura, e con i medesimi compiti di questo per i provvedimenti riguardanti l’assunzione e la carriera dei magistrati militari, è istituito in Roma il Consiglio della magistratura militare. La promozione dell’azione disciplinare nei confronti dei magistrati militari è attribuita, oltre che al Ministro, al Procuratore generale militare presso la Corte di cassazione. Agli organi giudiziari militari e al Consiglio della magistratura militare sono assegnati (in verità in numero sempre più esiguo) anche funzionari dei ruoli organici delle cancellerie e segreterie giudiziarie militari, e in numero consistente di altri ruoli civili e militari del Ministero della difesa. Nel 2014 i tribunali militari hanno pronunciato 239 sentenze, ed i giudici dell’udienza preliminare 194. Alla data del I° gennaio 2015 presso i tribunali militari pendevano 195 procedimenti e presso i giudici delle indagini preliminari 269. E’ evidente che il pur recente (2008) ed ampio ridimensionamento dei tribunali e della magistratura militare ha mancato l’obiettivo, come del resto era prevedibile sin da allora, di dare vita ad un assetto organizzativo non sovradimensionato rispetto al lavoro da svolgere, con un certo equilibrio tra costi e benefici. La cosa è ormai unanimemente riconosciuta, anche in documenti ed interventi di organi istituzionali. Taluno si è addirittura espresso individuando nell’attuale Giustizia militare una struttura dissipativa di risorse finanziarie e di talenti professionali, ed ancora, con riferimento specifico alla magistratura, nel senso che “ la sottoutlizzazione può costituire un appeal per la possibilità di cumulare un modesto impegno di servizio con attività extragiudiziarie, ritenute gratificanti, e si è rivelata una forte spinta motivazionale per il transito di magistrati ordinari nella magistratura militare”. I fattori, che hanno determinato questa caduta talvolta anche verticale dei numeri e del volume di lavoro e della stessa rilevanza ed utilità dei tribunali militari, sono facilmente individuabili in aspetti ormai irreversibili dell’ordinamento militare e della legge penale militare: la ristrutturazione delle Forze armate con riduzione notevole dei reparti operativi e logistici e del numero dei militari; la nuova operatività mobile delle Forze armate con numerosi impegni all’Estero, e quindi il progressivo affievolirsi della forma organizzativa dell’ ”esercito di caserma” schierato a difesa del confine orientale e caratterizzato dalla stretta convivenza con commilitoni e superiori; l’attuazione di un regolamento di disciplina che accorda al militare libertà in altri tempi impensabili; la fine, o sospensione secondo la legge, del sistema di reclutamento obbligatorio, la leva, e la conseguente adozione del sistema del volontariato, con l’assunzione di giovani più motivati, e che il più delle volte aspirano al successivo transito nei corpi di polizia; la smilitarizzazione del corpo della polizia di Stato e della polizia penitenziaria; l’esaurirsi del filone, singolare a più di mezzo secolo dalla fine della guerra, dei reati delle truppe germaniche nel nostro Paese; ecc. . Altro fattore, non secondario perché rispondente agli aspetti di sostanza che sorreggono l’intero fenomeno, è la progressiva erosione della specialità nella legge penale militare, con riduzione della sfera di competenza o anche del mero carico di lavoro, tramite leggi di carattere generale, o in qualche caso specifiche, e provvide sentenze della giurisprudenza regolatrice e soprattutto della Corte costituzionale, che nel segno dei diritti della persona hanno sensim sine sensu mutato l’essenza stessa del reato militare: da violazione delle innumerevoli disposizioni regolatrici dei vari aspetti della vita militare, con un gran numero di fattispecie di pericolo astratto, come direbbero i penalisti, ad effettive lesioni di beni-interessi comparabili con le libertà individuali comprimibili con l’inflizione della pena. E’ stata, questa, una linea di tendenza costante nel tempo, contrastata ma senza successo soltanto da iniziative legislative del Governo di centro-destra nel periodo successivo agli attentati terroristici del settembre 2001. Un approfondimento a parte, tra i fattori dello stesso processo riduttivo e alla lunga quasi dissolutivo della specialità nella legge penale militare, meriterebbe il ruolo svolto dagli stessi tribunali militari, promotori di numerosi positivi incidenti di costituzionalità, e dunque attori di democratizzazione dell’ordinamento delle Forze Armate, come postulato dalla stessa Costituzione all’art. 52 III comma. Inoltre, anche se prive di diretta incidenza sul numero dei procedimenti di cognizione, e però influenti sul loro effettivo contenuto, in questo ambito vanno pure citate le leggi, anche recenti, che hanno via via ampliato il sistema dei provvedimenti alternativi alla detenzione. Con evidenti ricadute riduttive del lavoro di esecuzione delle pene detentive da parte delle procure militari, e dei procedimenti di pertinenza del Tribunale militare di sorveglianza, con numeri tendenti e prossimi allo zero. E già nelle statistiche per il 2015 si potrà riscontrare l’ulteriore effetto nello stesso senso della disposizione dell’art. 131-bis cod. pen. (art. 1 comma 2 del D. Lgs n. 28/2015), che per i reati punibili con pena detentiva non superiore a quattro anni configura l’Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto. L’insostenibile leggerezza dell’attuale giurisdizione militare, il dispendioso ed indecoroso suaccennato stato di cose, rende indifferibili, prima che ne nascano campagne di stampa scandalistiche, appositi interventi legislativi. Ben si comprende dunque l’iniziativa governativa di un anno fa, e la dichiarazione di intenti del Libro bianco. I due interventi, come si è detto, sono di segno diverso. Il disegno di riforma inserito nelle legge di stabilità 2015 si dava validamente cura del problema, così da disporre la soppressione del Tribunale militare di Verona e di quello di Napoli, e del Tribunale militare di sorveglianza, ma perdeva poi quota per una singolare interpretazione dell’art. 103 III comma, che non si limiterebbe a rendere obbligatoria nel tempo di pace la giurisdizione dei tribunali militari, ma si spingerebbe al punto di richiedere una pluralità di tribunali militari, e quindi almeno due, come si dovrebbe desumere dalla lettera della disposizione stessa: “ I tribunali militari…in tempo di pace hanno giurisdizione…”. Con la conseguenza di istituire – soluzione veramente inedita tra i progetti di riordinamento e nella dottrina formatasi in quasi settant’anni di vigenza della disposizione costituzionale – un secondo tribunale militare in Roma, con competenza sui reati militari commessi all’Estero: nel 2014 una decina di procedimenti. Il progetto è stato subito mutilato da convergenti emendamenti a favore del mantenimento in vita dei tribunali militari di Napoli e di Verona, e poi è stato stralciato dalla legge di stabilità, con ogni probabilità per l’indifendibilità dei contenuti che ne rimanevano. Anche il paragrafo 252 del Libro bianco muove dal tacito presupposto dell’obbligatoria esistenza nel tempo di pace della speciale giurisdizione, e prospetta però la diversa soluzione consistente nella soppressione di ogni tribunale militare, che non risulterebbe però in contrasto con il dettato costituzionale grazie alla contestuale istituzione di sezioni specializzate dei tribunali ordinari. Obiettivo che, senza possibilità di soluzioni alternative, è realizzabile solamente con la presenza nei collegi giudicanti di militari, “…cittadini idonei estranei alla magistratura”, come previsto dall’art. 102 II comma della Costituzione. E’ ben noto che chiunque si accinga ad un intervento urgente con legge ordinaria sulla giurisdizione dei tribunali militari va incontro a specifiche difficoltà derivanti da istanze contrapposte: da un lato l’insignificante carico di lavoro dovuto a motivi non contingenti e transeunti, quasi segno dell’esaurimento della funzione nell’ordinamento della Repubblica, richiederebbe la pura e semplice soppressione dell’intera organizzazione; dall’altro però il dettato costituzionale, come comunemente inteso anche in sentenze della Corte costituzionale, appare di ostacolo ad operazioni di questo tipo, e legittimare quindi soltanto riordinamenti riduttivi anche al massimo, che però mantengano in qualche modo in vita la speciale giurisdizione per i reati militari commessi dagli appartenenti alle Forze Armate. L’abolizione del ruolo della magistratura militare E’ opportuno, allora, tenere presente che può venire in soccorso un’altra interpretazione, secondo cui l’art. 103 III comma non renderebbe obbligatoria la giurisdizione dei tribunali militari in tempo di pace, ed invece costituzionalizzerebbe solo il limite di questa: “…giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze Armate”. Ne risulterebbe rimessa alla legge ordinaria ogni decisione in ordine all’esistenza o meno di tribunali militari, fermo restando che la sfera di competenza dei medesimi non può comprendere reati che non siano militari e che nel contempo non siano commessi da appartenenti alle Forze Armate. La tesi è minoritaria in dottrina, ma trova riscontro anche nella sentenza della Corte costituzionale, che ha avallato la modifica, intervenuta nel 1956, della disciplina della connessione tra procedimenti per reati militari e procedimenti per reati comuni, stabilendo per tutti la competenza del giudice ordinario. Ora, dal momento che il vincolo costituzionale all’indefettibile esistenza di un organo giudiziario speciale non può non comportare una corrispondente riserva di giurisdizione a favore del medesimo, e poiché la connessione tra procedimenti di pertinenza del giudice ordinario e procedimenti di pertinenza di un giudice speciale viene pertanto comunemente disciplinata con la prevalenza delle ragioni della specialità e quindi con la separazione dei procedimenti, quando non addirittura con la devoluzione di tutti al giudice speciale, appare non in linea con la riserva di giurisdizione, e quindi con il preteso vincolo costituzionale in tema di giurisdizione militare, il fatto che la Corte costituzionale abbia optato per la riunione dei procedimenti eterogenei dinanzi al giudice ordinario, piuttosto che salvaguardare la speciale giurisdizione indirizzando il legislatore verso una disciplina che disponga la separazione dei procedimenti. Si è parlato a questo riguardo di giurisdizione eventuale, definizione polemica ma azzeccata, dato che anche il più grave o tipico tra i reati militari viene giudicato dal tribunale ordinario sol che risulti connesso anche con il più insignificante tra i delitti previsti dalla legge penale comune. Appare dunque accettabile la tesi che il precetto costituzionale sarebbe violato solamente con l’attribuzione ai tribunali militari della cognizione di reati comuni anche se commessi da militari, o anche di reati militari anche se commessi da estranei alle Forze armate. Oltre tutto, questa interpretazione potrebbe avere il supporto del tenore letterale della stessa disposizione costituzionale, che esordisce con il rimettere alla legge ordinaria senza limiti la determinazione della sfera di competenza dei tribunali militari in tempo di guerra, e che dunque per gli stessi organi in tempo di pace ben potrebbe avere il suo reale seguito e l’esclusivo contenuto precettivo, per contrapposizione alla giurisdizione in tempo di guerra, nella parola-chiave “soltanto”, che vale ad introdurre il doppio limite alla giurisdizione dei tribunali militari, la cui permanenza nell’ordinamento della Repubblica sarebbe invece rimessa alla discrezionalità della legge ordinaria. Questa concezione, diversa da quella comunemente accettata, offre il vantaggio di consentire la soppressione tout court dei tribunali militari in tempo di pace, e quindi la soluzione più semplice e nel contempo la più adeguata alla realtà costituita da una giurisdizione eventuale e che si è evoluta nel tempo sino a caratterizzarsi per un carico di lavoro quanto mai modesto. I persistenti dubbi di costituzionalità in questa insiti potrebbero però consigliare il ricorso all’ escamotage di stabilire, piuttosto che la soppressione, la sospensione della giurisdizione dei tribunali militari, con adozione del modulo dispositivo già collaudato per il servizio militare obbligatorio, che per l’appunto non è stato abolito bensì soltanto sospeso. E’ comunque prevedibile che, una volta bene o male soppressi i tribunali militari con legge ordinaria, la Corte costituzionale, posta di fronte alle ambiguità del testo costituzionale ed alle incoerenze al riguardo della sua stessa giurisprudenza, ed anche in considerazione dei dati reali dell’attuale attività dei tribunali militari, ben difficilmente opterebbe per la riesumazione della speciale giurisdizione. La soluzione sicuramente compatibile con il dettato costituzionale, esclusa l’idea che a tal fine si richieda che i tribunali militari siano almeno due, è invece la soppressione dei tribunali militari di Verona e di Napoli, oltre che del Tribunale militare di sorveglianza, con la conseguente sopravvivenza del solo Tribunale militare di Roma, con competenza su ogni reato militare, commesso da appartenenti alle Forze Armate sull’intero territorio nazionale o all’Estero. Al tempo stesso, verrebbe ovviamente disposta una congrua riduzione del ruolo organico della magistratura militare, con il riordinamento del 2008 stabilito in 58 unità. Tuttavia, l’ulteriore restrizione del ruolo organico di una magistratura non è detto che possa in ogni circostanza garantire un corretto svolgimento delle variegate funzioni proprie del processo penale di primo grado e di appello, e delle competenze del Consiglio della magistratura militare, e del medesimo quale giudice disciplinare. Anche a voler tacere delle ricorrenti difficoltà pratiche, basti solo pensare alle numerose incompatibilità espressamente stabilite dalla legge: l’elezione al Consiglio non consente la titolarità di incarichi giudiziari; nel processo penale le funzioni di G.i.p. sono di ostacolo all’esercizio di quelle di G.u.p., quelle di giudice nella fase delle indagini preliminari compreso il riesame dei provvedimenti cautelari non consentono la partecipazione alla fase del giudizio, quelle di un grado del giudizio precludono ogni attività in altro grado, ecc. . Come un bonsai che vive nella piccola misura soltanto perché viene salvaguardata ogni funzione non diversamente dalla pianta normale, così potrebbe avvenire per una magistratura di dimensioni anche modeste, a patto però che nella riduzione dell’organico non si superino determinati limiti. Quest’innegabile esigenza, tuttavia, potrebbe a sua volta ancora compromettere il conseguimento degli obiettivi dell’iniziativa legislativa, che vuole adattare l’organizzazione giudiziaria militare all’esiguo volume di lavoro, ma nel contempo garantirne il regolare funzionamento, senza però mantenere caratteristiche di struttura dissipativa di risorse finanziarie e professionali. Pertanto, la soluzione più soddisfacente potrebbe essere, fermo restando il mantenimento in vita di un’organizzazione giudiziaria militare costituita da un solo Tribunale militare, e dal momento che di sicuro l’art. 103 III comma non rende obbligatoria l’esistenza di una magistratura speciale per i tribunali militari, l’abolizione integrale del ruolo organico della magistratura militare ed il transito dei magistrati militari, che per un terzo di questi sarebbe un rientro, nel ruolo della magistratura ordinaria, che di conseguenza verrebbe accresciuto di 58 unità. L’unificazione del ruolo organico, e le salutari osmosi che ne deriverebbero, costituirebbero nel tempo la migliore garanzia dell’assegnazione agli organi giudiziari militari di magistrati in numero realmente adeguato all’effettivo lavoro da svolgere. L’abolizione del ruolo della magistratura militare comporterebbe inoltre un certo immediato risparmio di spesa, per la conseguente automatica soppressione del Consiglio della magistratura militare. Non solo: dato che la disposizione costituzionale non rende affatto obbligatoria l’esistenza di una Procura generale militare della Repubblica presso la Corte di Cassazione, e poiché questo ufficio è attualmente indispensabile soltanto per la promozione dell’azione disciplinare nei confronti dei magistrati militari dinanzi al Consiglio della magistratura militare, la stessa Procura generale dovrebbe figurare nell’ambito degli organi giudiziari militari da sopprimere. In definitiva, con il disegno di legge ancorato alla più seguita interpretazione del dettato costituzionale, la prosecuzione in tempo di pace della giurisdizione militare dovrebbe realizzarsi con la sopravvivenza del solo Tribunale militare di Roma e dell’unica Corte militare di appello, e delle corrispondenti procure della Repubblica. L’esiguità dell’apparato giudiziario militare che ne risulterebbe, renderebbe necessaria la soppressione anche della magistratura militare, del Consiglio della magistratura militare, e infine anche della Procura generale militare presso la Corte di cassazione. Per il transito e sistemazione immediata dei magistrati militari, e dei funzionari delle cancellerie e segreterie giudiziarie militari, e del rimanente personale dei ruoli generali del Ministero della difesa, sono riproponibili le modalità con successo già seguite per il riordinamento del 2008. Anche il diverso disegno di legge conseguente all’orientamento espresso nel paragrafo 252 del Libro bianco, che abolirebbe ogni organo giudiziario militare, istituendo nel contempo sezioni specializzate dei tribunali ordinari, non sarebbe affatto in contrasto con il dettato costituzionale, in quanto la continuità con i tribunali militari sarebbe assicurata tramite la presenza nel collegio giudicante di militari accanto ai magistrati ordinari. Potrebbe essere adottata la vigente normativa per l’estrazione a sorte degli ufficiali componenti dei collegi giudiziari militari. Potrebbe piuttosto emergere l’esigenza di una nuova definizione della materia dei “reati militari commessi da appartenenti alle Forze Armate”, con criteri più razionali di quanto non lo siano quelli oggi in vigore per la delimitazione dei reati devoluti alla cognizione dei tribunali militari. Ma si tratta di argomento che non può essere approfondito in questa sede
(tratto da: VECCHI E NUOVI PROBLEMI DI DIRITTO MILITARE )
PROCURA GENERALE MILITARE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE