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Sono le norme forse meno commentate e conosciute della legge di Stabilità. Ma meritano di essere valorizzate per il particolare taglio sociale. Si tratta del comma 94 della manovra finanziaria che introduce diverse misure per incentivare il welfare aziendale con l’idea che prestazioni e servizi erogati dalle aziende possano trovare applicazione anche nelle piccole e medie imprese. E perché no, anche nel pubblico impiego.Il tema è stato al centro di un convegno dal titolo “Il welfare aziendale tra contratto e mercato” organizzato ieri mattina al tempio di Adriano a Roma da Ares, l’Associazione per il Riformismo e la Solidarietà, in collaborazione con Formiche, Welfare Company e Pwc.
LE MODIFICHE DELLA LEGGE DI STABILITÀ
Le modifiche introdotte dalla legge di Stabilità illustrate durante il convegno dal professor Feltrin prevedono tra le altre cose la detassazione dei premi e del salario di produttività, l’ampliamento della detassazione e della decontribuzione a tutte le spese per servizi di educazione e istruzione dei familiari, compresi quelli in età prescolare; l’estensione della decontribuzione e la detassazione ai servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti e la possibilità, da parte dell’azienda, di pagare in voucher l’erogazione di beni, prestazioni, opere e servizi.
IL MOSAICO DEL WELFARE
Quello del welfare aziendale è “un percorso, ancora fragile e disorganico, fatto di tessere che debbono andare al loro posto per dar vita ad un mosaico di democrazia economica, tanto urgente quanto necessario, nel quadro evolutivo della organizzazione del lavoro e delle sfide competitive globali”, ha detto Baretta nel suo discorso introduttivo.
SOSTITUTIVO O COMPLEMENTARE?
Ma il welfare aziendale va inteso sostitutivo di quello pubblico? Ecco come hanno risposto i principali relatori del convegno:
“Non si tratta di sostituire il welfare pubblico. In realtà questi sistemi di integrazione rispondono a bisogni diversi. Si tratta quindi di mobilitare risorse a sostegno di esigenze nuove”, ha detto Treu.
“Lo Stato, da solo, non è in grado di soddisfare la quantità e la qualità della domanda sociale. È certamente necessario prevedere risposte universali, ma non saranno più sufficienti risposte solo pubbliche”, ha osservato Baretta ricordando che i “cambiamenti demografici, della struttura sociale e del mercato del lavoro hanno messo in discussione non solo la sostenibilità del sistema di protezione sociale tradizionale, considerato nelle sue tre componenti (previdenziale, sanitaria e socio assistenziale) ma anche la capacità dello stesso di rispondere adeguatamente, dal punto di vista qualitativo, alla mutata realtà”.
“Nessuno ha pensato di viverlo come sostitutivo del welfare pubblico”, ha detto Nannicini. Ma ciò non vuol dire però che la prima gamba del welfare non abbia bisogno di ripensamenti”.
LA PROPOSTA DI BARETTA
Ed è alla luce della crisi del welfare pubblico che si colloca la proposta del sottosegretario Baretta: “Va considerato l’allargamento della detassazione dei premi di risultato ai comparti del pubblico impiego”. Baretta ha spiegato che bisogna sempre più “spostare i benefici fiscali dalle categorie professionali verso le persone, indipendentemente se siano lavoratori dipendenti o autonomi e lavoratori pubblici o privati, ma in rapporto alle situazioni da tutelare”.
Sulla possibile estensione al contratto nazionale del pubblico impiego delle agevolazioni del welfare aziendale il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Nannicini, ha detto: “È un tema che mi piacerebbe che venisse posto nella prossima legge di Stabilità. Ora ci sono agevolazioni fiscali solo in presenza di contrattazioni su welfare a livello aziendale o territoriale. Altro è, invece, se lo fai a livello di contratto nazionale: anche quella porzione potrebbe essere defiscalizzata”.
COSA PREFERISCONO GLI ITALIANI
Alcuni studi illustrati hanno mostrano che le preferenze degli italiani in tema di welfare aziendale sono fortemente correlate al ciclo di vita: “I temi del care giving e dell’educazione dei figli assumono rilievo dominante nella popolazione lavorativa, costituita in buona misura da persone che si trovano nelle età centrali della vita, e che sono nella maggior parte dei casi accomunate dalla genitorialità. Ma il valore di questi servizi è percepito come rilevante anche dalle fasce d’età più giovani, in ragione dell’importanza che assumono a sostegno del proprio progetto di vita famigliare, ancora in nuce”, ha spiegato il professor Feltrin.
La scelta del “bene” o servizio in un ipotetico paniere dipende anche dall’importo associato al premio o al programma di welfare aziendale: “Se l’importo è limitato, a parità di valore si preferiscono beni/servizi “una tantum” e “pronto consumo” (buoni spesa, massimali per spese mediche specialistiche…). I servizi di tipo assistenziale/sociale, come ad esempio i servizi all’infanzia o anziani, assumono valenza solo al di sopra di una certa soglia, nella misura in cui configurano soluzioni affidabili, convenienti e stabili per l’organizzazione familiare”, ha aggiunto Feltrin.
Fonte: formiche.net