Tu sei qui
Il magistrato nominato nella Commissione parlamentare d'inchiesta sul dramma dei militari morti o ammalati.Sei mesi per convincere il governo e il Parlamento a intervenire connuove leggi a sostegno dei militari italiani che si sono ammalati a causa dell’uranio impoverito. E poi, due anni di lavoro di inchiesta per scoperchiare la realtà sul dramma umano di cui si scoprono nuovi casi ogni giorno. Un fenomeno che pian piano sta uscendo dall’ombra.
È questa la nuova sfida del procuratore Raffaele Guariniello, in pensione dalla magistratura dal 30 dicembre 2015, scelto e nominato consulente esperto della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito che si è insediata il 1° febbraio a Roma. «È un tema che mi appassiona, al quale mi sto dedicando con grande interesse già da alcune settimane — racconta l’ex pretore d’assalto e procuratore dei grandi processi per la sicurezza sul lavoro — sarà una sfida molto difficile, ma c’è grande convinzione ed entusiasmo nella commissione». Guariniello svela finalmente l’arcano. Squarcia il velo sull’enigma che circolava negli ambienti giudiziari da quando aveva cominciato a svuotare il suo ufficio al quinto piano del Palazzo di Giustizia. Un pezzo alla volta, dopo l’estate del 2015. Cosa farà il vulcanico magistrato una volta fuori da qui dopo 40 anni di carriera? Si scommetteva su quale potesse essere il suo futuro. Chi entrava nella sua stanza ed era in confidenza tentava di strappargli una parola, un indizio. A tutti rispondeva enigmaticamente. «Non starò a casa, questo è sicuro, ma non c’è alcun incarico ufficiale, per me, al momento». Qualche mese dopo ha stupito tutti quando ha deciso di tornare a indossare la toga ma come avvocato. E si è reiscritto all’albo con il vincolo però di esercitare almeno due anni fuori dal distretto in cui aveva fatto il magistrato. E da allora di richieste ne ha già avute numerose, a quanto dicono. Anche se il suo “pallino” resta quello di lavorare per la prevenzione. E l’incarico nella commissione parlamentare è come un abito che gli calza a pennello. «È impegnativo perché faccio avanti e indietro da Roma tutte le settimane — racconta — e poi continuo a fare formazione con seminari in giro per l’Italia, il nostro obiettivo sull’uranio è ottenere le prime modifiche legislative già dopo i primi mesi di lavoro».
Nel suo nuovo ufficio torinese, intanto, continuano ad arrivare decine di lettere di cittadini che si rivolgono a lui per segnalare i casi più diversi, toccando l’intera gamma di temi a lui cari negli anni da pretore poi da procuratore. Dalla Thyssen al doping, i colleghi hanno stimato che abbia aperto 30 mila fascicoli. Ma la sicurezza dei lavoratori e dei consumatori resta il suo cruccio. Così quella che è stata definita la
«strage dimenticata» dell’uranio impoverito: 330 morti e 3.765 malati. O «feriti», visto che si tratta dei ragazzi che sono partiti con le nostre missioni militari più recenti, dai Balcani all’Afghanistan, e che come soldati sono rimasti uccisi o si sono ammalati per via dalle polveri dell’uranio impoverito, «l’U238», il materiale con cui si costruiscono i proiettili di artiglieria che perforano le corazze dei tank.