Periodico di informazione delle Forze Armate, Forze di Polizia e Pubblico Impiego

In questi anni, abbiamo assistito a vere e proprie crociate contro il lavoratore disabile o il familiare che provvede all'assistenza e alla cura, i quali non per scelta, ma per obbligo, considerata la latitanza dello Stato sul versante dei servizi, utilizzano i 3 giorni di permesso. C’è chi propone visite fiscali per verificare l’effettiva assistenza, chi vuole decurtare economicamente le giornate di permesso concesse, chi vorrebbe l'abrogazione della Legge in toto, chi considera un benefit "per i più fortunati",  che ha contribuito abbastanza all'affermazione  del poco felice detto: “la 104 non si nega a nessuno”, rivolto soprattutto ai dipendenti della pubblica amministrazione. Era il 1992 quando l’Italia, con l’emanazione della legge 104, diviene uno dei primi Paesi in Europa a dotarsi di un'adeguata  tutela legislativa per l’integrazione sociale delle persone in situazione di handicap, garantendo loro sia i diritti fondamentali ma anche, e soprattutto, sancendo il dovere dello Stato di rimuovere ostacoli e impedimenti alla loro applicazione per il pieno inserimento delle persone disabili nel contesto sociale in cui vivono.

Il riconoscimento della situazione di handicap/handicap grave prevede la possibilità di accedere ad una serie di agevolazioni sul piano fiscale, lavorativo (permessi retribuiti), scolastico (diritto all’educazione e all’istruzione) e altri ambiti non meno importanti. Tra i vantaggi lavorativi il più “famoso” e più “utilizzato” è quello previsto dall’art. 33: tre giorni di permessi mensili retribuiti, che negli anni sono diventati croce e delizia dell’Italia intera. Se utilizzati con responsabilità, infatti, i permessi d'assentarsi dal lavoro, concessi dalla Legge 104, rappresentano uno strumento di grande conquista sociale. Ma questo non sempre è successo.

In questi anni, abbiamo assistito a vere e proprie crociate contro il lavoratore disabile o il familiare che provvede all'assistenza e alla cura, i quali non per scelta, ma per obbligo, considerata la latitanza dello Stato sul versante dei servizi, utilizzano i 3 giorni di permesso. C’è chi propone visite fiscali per verificare l’effettiva assistenza, chi vuole decurtare economicamente le giornate di permesso concesse, chi vorrebbe l'abrogazione della Legge in toto, chi considera un benefit "per i più fortunati",  che ha contribuito abbastanza all'affermazione  del poco felice detto: “la 104 non si nega a nessuno”, rivolto soprattutto ai dipendenti della pubblica amministrazione. C’è, comunque, chi, pur avendone diritto, non li usa affatto, per vero e proprio senso del dovere e di attaccamento al lavoro. Populismo, demagogia, qualunquismo hanno trovato terreno fertile negli italiani. La condizione in cui si trova un lavoratore disabile o chi presta assistenza non può essere ridotta alla semplice equazione:  tre giorni di permessi legge 104 = 3 giorni di ferie al mese. Questo è quello che da qualche tempo avviene.

Ora, ammesso e non concesso che l’essere umano si abitua ad ogni aberrazione trovo tutto questo davvero fuori da ogni realtà. Chi non vive sulla propria pelle la “disabilità” non può permettersi di esprimere giudizi così superficiali; non può non considerare le tutte le “barriere”, oltre a quelle architettoniche, che quotidianamente devono essere affrontate e, se ci si riflette un pochino, forse tre giorni sono pure pochi per assistere un figlio, un genitore, un fratello.

Solo chi vive con e nella disabilità può comprendere appieno l’importanza della legge. A  onor del vero si è ritenuto che detta agevolazione fosse un diritto assoluto e insindacabile; un obbligo da assolvere ogni mese, a prescindere dall’effettiva necessità, e non un’agevolazione da utilizzare per la cura e l’assistenza della persona in situazione di handicap grave. Non è così. I permessi possono e devono essere fruiti solo se finalizzati all’assistenza della persona portatrice di handicap.

Negli ultimi tempi, sono balzate alla cronaca alcune sentenze di Cassazione che hanno giustamente  punito, con il licenziamento, l’abuso del diritto ai permessi della legge 104 e i più felici di questo  non possono che essere le persone che li utilizzano legittimamente per la cura e l’assistenza e che, il più delle volte, sono costretti ad attingere anche a giorni di ferie, aspettative e congedi non retribuiti pur di garantire la cura a chi è svantaggiato per motivi di salute.

Con la sentenza 4984/2014, la Cassazione ha rigettato il ricorso del lavoratore licenziato che utilizzava i permessi previsti dall´articolo 33 della Legge n. 104/92 per effettuare delle vacanze anziché assistere il familiare, ritenendo legittimo il controllo esercitato dal datore di lavoro attraverso l'impiego dell'agenzia investigativa e l'utilizzabilità delle relative prove,  poiché non lede i diritti sanciti dallo statuto dei lavoratori. L'utilizzo da parte del dipendente di permessi con finalità assistenziale per scopi diversi, secondo la Suprema Corte, costituisce un comportamento idoneo a ledere irrimediabilmente il rapporto fiduciario, con conseguente legittimità del licenziamento per giusta causa. Chiedere un giorno di permesso retribuito per dedicarsi a “qualcosa che nulla ha a che vedere con l’assistenza” costituisce un “odioso abuso del diritto”.

Con un altra sentenza (n. 8784/15), la Suprema Corte è tornata ad occuparsi della materia. Riguarda il caso di un dipendente licenziato “per aver partecipato ad una festa danzante”, durante i giorni di permesso chiesti per assistere la madre disabile grave. Anche in questa occasione, la Corte ha censurato il comportamento del dipendente perché aveva usufruito di una parte del permesso per altra "finalità del tutto estranea all’assistenza”. L’abuso dei permessi - precisa la Cassazione - sottolinea il particolare disvalore sociale di tale condotta che finisce con il porre a carico della collettività dei costi per soddisfare esigenze personali. Un simile comportamento costringe, inoltre,  il datore di lavoro a dover riorganizzare il lavoro costringendo altri dipendenti (che devono sostituire il lavoratore assente) a un maggiore impegno nella prestazione lavorativa". 

La Cassazione è andata oltre affermando che, ai fini della configurabilità del recesso per giusta causa, non occorre la prova che il dipendente abbia del tutto omesso l’assistenza, bensì può ritenersi sufficiente la prova della fruizione “di una parte oraria del permesso in esame per finalità diverse da quelle per il quale il permesso è stato riconosciuto”. Stesse motivazioni nella sentenza 5574/16 nel caso di un lavoratore licenziato perché si era recato nell'abitazione del parente assistito soltanto per 4 ore, pari al 17,5% del tempo totale concesso in base alla legge 104/92. Secondo la Cassazione, sulla giusta causa di recesso non incide il fatto che il dipendente si sia regolarmente recato dal famigliare disabile, non essendosi allontanato dalla propria abitazione per andare a svolgere altre attività lavorativa. Quello che rileva è l’accertamento di un incontestata ed evidente irregolarità sia sulla durata della permanenza e sia in termini di fascia oraria. 

Abusare, quindi, dei permessi concessi alla legge 104 equivale all’instaurazione di un comportamento considerato grave, in quanto reca un danno sia al sistema previdenziale pubblico, dal momento che ad anticipare l’indennità provvede l’Inps, sia alla stessa azienda che deve riorganizzare il lavoro interno, venendo meno una risorsa. Altra circostanza cui deve fare attenzione chi utilizza la Legge 104 è che il tempo del permesso deve essere necessariamente speso interamente all’assistenza del familiare. Non è corretta neanche l’interpretazione di chi ritiene che i benefici possano essere destinati al recupero delle energie psicofisiche  ridotte a causa della costante cura e assistenza nei confronti del disabile.

Nobilissimi sono i principi di questa legge, che, mette in primo piano i diritti di libertà e di autonomia delle persone con handicap permettendo loro una vita il più possibile agevole, affinché possano essere integrati in ogni contesto sociale (Famiglia, scuola, lavoro, ecc.). Uno strumento di grande conquista sociale che deve essere usato con responsabilità, maggiore oculatezza e attenzione. Da condannare con fermezza chi, dovendo provvedere all’assistenza,  ha trasformato i diritti dei disabili in privilegi per sé stesso. 

Non bisogna però fare di tutta l’erba un fascio perché, a fronte di situazioni che evidenziano un uso distorto dei permessi, ce ne sono tante altre che testimoniano un uso corretto, onesto e rispettoso della legalità. A questo punto è lecito chiedersi se la legge 104 debba essere cambiata, stralciata. Assolutamente no! Per combattere l’uso “improprio” dei permessi occorre, innanzitutto, far leva sul senso etico, di responsabilità personale e, solo in ultima analisi, svolgere un’attenta azione di controllo per scoprire i numerosi abusi.

Roberto Scipioni, dell'Inca nazionale

 

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