Periodico di informazione delle Forze Armate, Forze di Polizia e Pubblico Impiego

Nel  dettaglio le implicazioni in materia di gestione del rapporto di lavoro derivanti dall’approvazione della L. n. 76/2016 recante la regolamentazione delle Unioni civili tra persone dello stesso sesso e la disciplina delle Convivenze di fatto. In particolare, le conseguenze esplicite e implicite che si ricavano dalla legge a favore degli uniti civilmente sono quelle in tema di indennità sostitutiva del preavviso e TFR, congedo matrimoniale, recesso datoriale, diritti conseguenti alla sospensione del rapporto di lavoro, pensione e trattamenti di famiglia.

 

 

La nuova disciplina in materia di unioni civili è oramai legge. E’ stata infatti pubblicata nella G.U. n. 118 del 21 maggio 2015 la Legge 20 maggio 2016, n. 76 recante la regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e la disciplina delle convivenze di fatto. Nonostante il chiaro intento del titolo e contrariamente a quanto costituiva invece obiettivo originario della nuova disciplina, la legge, ha inteso regolare in modo più specifico proprio le unioni civili tra persone dello stesso sesso, estendendo solo a questa unione alcune delle garanzie, diritti e tutele previste dalla legge per i rapporti di “coniugio”, con tutte le più importanti implicazioni in materia di gestione del rapporto di lavoro che si possono facilmente intuire dal punto di vista amministrativo. Mentre ha scelto di regolare in modo per così dire più “fluido” la posizione dei “conviventi di fatto”.

La legge è organizzata in un unico articolo:

  • - I commi dall’1 al 35 sono destinati alle unioni civili tra persone dello stesso sesso quale “specifica formazione sociale ai sensi degli artt. 2 e 3 della Costituzione”. Unioni che si formalizzano mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale dello stato civile e alla presenza di due testimoni, attestate mediante certificazione da parte dell’anagrafe nella quale vengono riportati i dati anagrafici delle parti e dei loro testimoni, il regime patrimoniale scelto e la residenza, così come avviene in caso di matrimonio (civile o religioso che sia).

  • - I commi da 36 a 65 sono destinati alle convivenze di fatto intendendosi per tali due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile che possano attestare la stabile convivenza sulla base della dichiarazione anagrafica prevista dall’art. 4, e dall’art. 13, comma 1, lett. b) del D.P.R. n. 223/1989.

  • - I commi finali sono dedicati alle disposizioni finanziarie e danno conto, in particolare, degli oneri di natura previdenziale e assistenziale derivanti dalla nuova disciplina ma con prevalenza sull’incidenza delle disposizioni contenute nei commi da 11 a 20 dell’art. 1. Quelli di maggiore rilevanza in materia di spesa previdenziale corrente e futura nonché in materia di gestione del rapporto di lavoro in materia di unioni civili.

Proprio tenendo conto di tale prima distinzione, qualche commentatore ha iniziato a porre in evidenza le anomalie – anche in ottica costituzionale – della nuova disciplina, soprattutto se si pensa che, ad eccezione di una limitata estensione alle convivenze di fatto della disciplina in materia di impresa familiare (nuovo art. 230ter c.c.) e alla possibilità di regolare alcuni aspetti del regime patrimoniale mediante il “contratto di convivenza” - che peraltro non può regolare il caso “morte” costituendo quest’ultima un’ipotesi, invece, di risoluzione del contratto – nel caso delle convivenze di fatto non è prevista alcuna forma di tutela previdenziale. Tutela prevista espressamente, invece, con specifica previsione di spesa dai commi 66 e 67 per le unioni civili. Omissione voluta dal legislatore ma che non si comprende appieno soprattutto tenendo conto dell’importanza che potrebbe avere, anche per tali situazioni giuridiche, l’estensione dei principi di cui agli artt. 2 e 3 Cost. e l’applicazione – ad esempio, in analogia al diritto all’assistenza in caso di malattia previsto dai commi 39 e 40 - delle disposizioni dell’art. 33 della L. n. 104/1992 o dell’art. 42 del D.Lgs. n. 151/2001, che troveranno invece applicazione alle unioni civili.

Ma vediamo allora più in dettaglio quali saranno le implicazioni in materia di gestione del rapporto di lavoro derivanti dalla L. n. 76/2016.

A tal fine – con la sola esclusione, come noto, della disciplina in materia di adozione nonché di altre disposizioni del codice civile non espressamente richiamate dalla legge - la disposizione di maggiore rilevanza pratica, proprio per la sua portata generale, è quella contenuta nel comma 20 dell’art. 1 nel quale si specifica che “Al solo fine di assicurare l'effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge, nonché alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184. Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”. Tale previsione si accompagna a quelle più specifiche (di interesse anche dal punto di vista previdenziale e assistenziale) contenute nei commi da 11 a 19 del medesimo art. 1. Commi nei quali, con analogia rispetto a quanto previsto dagli artt. 143 e ss del codice civile il legislatore regola lo status civile e familiare delle persone dello stesso sesso unite civilmente.

Le conseguenze esplicite e implicite che si ricavano dalla legge a favore degli uniti civilmente sono dunque le seguenti:

 

Indennità

sostitutiva del preavviso e trattamento di fine rapporto

La legge riconosce espressamente (art. 1, comma 17) il diritto – proprio - al pagamento delle indennità previste dagli artt. 2118 e 2120 c.c. in caso di morte del prestatore di lavoro. Non solo, in caso di scioglimento del vincolo (analogamente a quanto avviene in caso di divorzio e con applicazione per quanto compatibile della L. n. 898/70), l’attribuzione del diritto all’assegno di mantenimento comporterà, in assenza di matrimonio o di una nuova unione civile, il diritto al pagamento di una quota parte del Trattamento di fine rapporto dell’ex coniuge (in pratica il 40% del Tfr riferito agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con l’unione civile).
Congedo matrimonialeAlle unioni civili troverà applicazione la disciplina in materia di congedo matrimoniale, dopo il necessario adeguamento da parte della contrattazione collettiva trattandosi di disciplina che, nata per gli “operai” ha trovato via via estensione anche alla categoria degli impiegati solo ad opera di un Accordo Interconfederale e della contrattazione collettiva di settore (AI 31 maggio 1941)
Recesso datorialeTroverà inoltre applicazione la disciplina in materia di nullità del recesso datorialecomunicato nel periodo in cui vige la tutela, così come disciplinata dall’art. 35 del D.Lgs. n. 198/2006, ossia entro l’anno dall’avvenuta celebrazione dell’unione civile;
Diritti conseguenti alla sospensione del rapporto di lavoroL’equiparazione del rapporto di coniugio derivante dal matrimonio e l’ampia formulazione della norma sopra riportata comporterà poi l’estensione agli uniti civilmente anche di tutti i diritti conseguenti alla sospensione del rapporto di lavoro così come previsti dalla legge per il “coniuge” quali ad esempio, a) le disposizioni in materia di permessi per l’assistenza in caso di disabilità accertata del coniuge (ai sensi dell’art. 33 della L. n. 142/1990); b) le disposizioni dell’art. 4 della L. n. 53/2000 e del D.M. n. 278/2000 per l’ipotesi deipermessi in caso di lutto e di eventi particolari; c) le disposizioni dell’art. 42, comma 5 e segg. del D.Lgs. n. 151/2001in materia di trattamento economico per l’assistenza, da parte del coniuge, a persona affetta da disabilità accertata (entro il limite massimo di due anni); d) le disposizioni dell’art. 8, comma 4 del D.Lgs. n. 81/2015 regolante lapriorità a richiedere la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale per le necessità di assistenza al coniuge affetto da patologie oncologiche;
PensioneIl diritto alla pensione ai superstiti ex art. 13 del R.D.L. n. 636/1939, nella forma della pensione di reversibilità (in caso di morte del pensionato) ovvero indiretta (in caso di morte dell’assicurato non titolare di pensione). Ma anche il diritto per il coniuge alla rendita ai superstiti in caso di infortunio dal quale derivi la morte del lavoratore (ai sensi degli artt. 85, 105 e 106 del D.P.R. n. 1124/1965).
Trattamenti di famigliaIl diritto ai trattamenti di famiglia (Assegni per il Nucleo Familiare, ex art. 2 del D.L. n. 69/1988 convertito in L. n. 153/1988 e relativa disciplina di settore) e alledetrazioni previste per legge per i familiari a carico ex art. 12 del D.P.R. n. 917/1986.

 

Tali effetti conseguono anche a seguito di rettificazione anagrafica di sesso qualora i coniugi abbiano manifestato di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili. In tal caso, al precedente status di “coniuge” derivante dal matrimonio, consegue l’automatica instaurazione dell’unione civile così come regolata dalla nuova L. n. 76/2016.

Appare chiaro, dal tenore della nuova disciplina e dalla breve analisi delle implicazioni che la nuova disciplina comporterà per il rapporto di lavoro che aumenteranno sicuramente gli adempimenti a carico dell’amministrazione del personale. Basti solo pensare alla necessità di richiedere ovvero di adeguare tutta la certificazione necessaria ad attestare l’unione civile ovvero il passaggio all’unione civile nei casi di rettificazione anagrafica di sesso, così come quella necessaria ad attestare la cessazione degli effetti civili dell’unione, così come avviene in caso di divorzio. Ma potrebbe anche, paradossalmente accadere che nei primi tempi di applicazione della nuova legge, al fine di non esporsi eccessivamente, il lavoratore preferisca non comunicare al datore di lavoro il proprio nuovo status civile se non in occasione dei soli eventi particolarmente gravi quali la morte o la disabilità accertata che daranno diritto all’accesso agli specifici trattamenti in favore del “coniuge”, preferendo lasciare di fatto “non amministrata” una parte della propria sfera personale e familiare il cui riconoscimento giuridico ha avuto un iter così discusso e travaglia.

 

Fonte: http://www.quotidianogiuridico.it/

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