Periodico di informazione delle Forze Armate, Forze di Polizia e Pubblico Impiego

Più che aspettarsi comprensione e generosità, in questo momento di disimpegno generalizzato e di accentuazione degli egoismi è dunque più che mai necessario cercare alleati di scopo con i quali portare avanti le politiche necessarie a difendere gli interessi italiani in termini di sicurezza dei confini, approvvigionamenti energetici, difesa di partner commerciali e creazione di posti di lavoro.
È il caso della Libia, il cui valore strategico per il nostro Paese va dall'ENI — uno dei pochi grandi gruppi industriali rimasti all'Italia — all'immigrazione. Non è possibile lasciare che la politica sul nostro vicino di casa venga fatta a Washington, con il concreto rischio che le nostre esigenze vengano trascurate o apertamente contrastate, come sciaguratamente avvenuto nel 2011.

 

 

 

 

 

Per passare dall'opposizione al governo basta intercettare gli umori dei cittadini e trasformarli in voto. Per governare bisogna saper passare dalle critiche sparse a una visione organica. Il passaggio non è facile, tanto che negli ultimi 25 anni tutti i partiti giunti al governo cavalcando la protesta lo hanno fallito. Di fronte a problemi complessi servono esperienza, visione di lungo periodo e persone qualificate, come il Movimento 5 Stelle ha capito a Roma affidando ruoli delicati a magistrati, giornalisti dellANSA, professori universitari e dirigenti di enti pubblici, accettando persino di pagare loro stipendi molto elevati, sempre impopolari.
Questa maturazione mi spinge a formulare qualche consiglio — assolutamente non richiesto — per una eventuale politica di difesa e sicurezza a 5 Stelle. Il principio fondamentale è quello che dovrebbe ispirare qualsiasi governo: difendere sempre e dovunque gli interessi nazionali italiani. Anche in questo mondo globalizzato, il ruolo chiave è sempre giocato dagli Stati, i quali continuano a rispondere ai propri elettori, anche quando ciò impone politiche di costo respiro. La lunghissima crisi economica e l'ormai permanente crisi (innanzitutto umanitaria) dell'immigrazione ne sono la prova quotidiana, così come — a livello locale — l'ostilità dei nostri stessi territori a farsi carico delle difficoltà dei propri connazionali, per esempio nello smaltimento dei rifiuti.
Finora in Italia è mancata un'accurata politica di sistema che aiutasse a individuare l'interesse nazionale e a proteggerlo - con la forza se necessario, perché purtroppo altri non esitano a usarla per i propri fini. Insomma, deve cessare la generosità miope ed acquiescente, per essere sostituita dal perseguire costantemente i nostri interessi.
Più che aspettarsi comprensione e generosità, in questo momento di disimpegno generalizzato e di accentuazione degli egoismi è dunque più che mai necessario cercare alleati di scopo con i quali portare avanti le politiche necessarie a difendere gli interessi italiani in termini di sicurezza dei confini, approvvigionamenti energetici, difesa di partner commerciali e creazione di posti di lavoro.
È il caso della Libia, il cui valore strategico per il nostro Paese va dall'ENI — uno dei pochi grandi gruppi industriali rimasti all'Italia — all'immigrazione. Non è possibile lasciare che la politica sul nostro vicino di casa venga fatta a Washington, con il concreto rischio che le nostre esigenze vengano trascurate o apertamente contrastate, come sciaguratamente avvenuto nel 2011. Bisogna dunque essere in testa a tutti, evitando di accodarsi a scelte altrui delle quali poi pagheremmo noi le conseguenze. Per tracciare il quadro nel quale deve essere costruita la politica estera e di difesa italiana si può partire da pochi punti fondamentali.
Il primo riguarda i rapporti con gli Stati Uniti, il Paese al quale l'Italia deve in larghissima misura la libertà prima dalla dittatura interna e poi dalla minaccia esterna. Quest'ultima è stata assicurata tramite l'adesione alla NATO, la prima organizzazione internazionale alla quale poté aderire l'Italia sconfitta e punita come Paese aggressore nella seconda guerra mondiale. Nulla potrà cambiare questa dimensione storica, salvo che a distanza di settant'anni gli Stati Uniti hanno dichiarato il proprio scarso interesse per la difesa collettiva dell'Europa e la NATO è dominata dai nuovi membri dell'est, ossessionati dal terrore di una Russia che continuano a provocare, alimentandone il nazionalismo e rischiando ogni giorno di scatenare una crisi incontrollabile. In questo quadro è opportuno porre con forza questione quali le basi in Italia (che devono contribuire a difendere noi, non quale trampolino per azioni unilaterali), il Mediterraneo (non in termini di mera presenza, ma soprattutto di una visione che minimizzi il rischio per chi ne è al centro), persino la collocazione di enti e comandi (si pensi al rischio che deriva dall'aver accentuato il ruolo della Turchia a scapito di quello dell'Italia). La stessa uscita del Regno Unito dall'UE potrebbe offrirci l'opportunità per un ribilanciamento che superi il tradizionale modello dei two eyes che riserva ad americani e britannici le posizioni di comandante supremo e vice comandante della NATO.
Il secondo punto è che per modificare gli equilibri bisogna però anche essere credibili. Questo significa preservare e potenziare le nostre capacità militari, soprattutto quelle nelle quali eccelliamo. Se non è possibile fare tutto, bisogna dunque saper scegliere: guerra elettronica, droni, rifornimento in volo sono tra i fiori all'occhiello dellAeronautica Militare, ma anche  tra le capacità più rare in Europa. I Carabinieri sono invidiati in tutto il mondo, al punto da essere stati scelti dal Pentagono per formare la propria polizia militare. E così via. Se possibile, alle capacità militari bisogna abbinare le opportunità industriali. È il caso dell'addestramento al volo, che ci vede esperti riconosciuti. Formare piloti stranieri permette di ammortizzare i costi di struttura e creare opportunità di esportazione diretta e indiretta.
Terzo punto: per fare questo bisogna disegnare uno strumento militare equilibrato in termini delle capacità complessive. Per farlo bisogna che i militari — o meglio, i vertici militari del momento — siano tenuti sotto controllo, evitando che una componente segua una propria linea a detrimento non solo delle altre ma anche dell'equilibrio complessivo. Bisogna dunque evitare che si ripeta quanto accaduto con la legge navale, giustificata in termini di assistenza alla cantieristica navale e finanziata saccheggiando i bilanci delle altre forze armate. Il risultato è che mentre il Libro Bianco definisce un ambito operativo euro-mediterraneo, la Marina avrà caratteristiche oceaniche.
Quarto punto: incassare i dividendi. Lo straordinario impegno dei militari italiani in operazioni che solo raramente sono di nostro diretto interesse, non di rado pagato con sacrifici pesanti, deve essere riconosciuto ma soprattutto valorizzato. Bisogna cioè battersi perché alle nostre imprese vengano assegnati ruoli adeguati nella ricostruzione e nello sviluppo delle aree ex di guerra e perché vi siano corsie preferenziali per i nostri prodotti militari e civili. Tra gli ingrati dobbiamo purtroppo annoverare gli Stati Uniti, che hanno cancellato due programmi di grande interesse per l'industria italiana: il trasporto tattico C-27J e l'elicottero presidenziale Marine One. Sarebbe bene che il governo italiano facesse pesare questi crediti nella gara per l'addestratore T-X, che il nostro M-346 (per l'occasione ribattezzato T-100) ha tutte le carte in regola per vincere.
Quinto punto: attenzione all'Europa. Non si tratta di essere euroscettici, ma realistici. La mancanza di vedute comuni è all'ordine del giorno. Siamo ancora lontani dal giorno in cui un francese comandato da un italiano vada a combattere per difendere la Finlandia su richiesta di un Alto Rappresentante austriaco. Per questo è bene non illudersi sul fatto che qualcuno accetti di difenderci, meno che mai gratis. L'esperienza della moneta unica insegna a essere molto cauti riguardo  alle grandi utopie calate dall'alto. Molto meglio i piccoli passi fatti dal basso, ricercando sinergie che rispondono a esigenze concrete di due, tre o quattro Paesi. Tanto più genuina è l'esigenza, tanto più efficace la collaborazione, tanto maggiore il passo avanti verso l'obbiettivo finale oggi tanto lontano.
Questi sono dunque i consigli per un eventuale futuro governo a 5 Stelle. Ma, a ben pensarci, sono gli stessi che da uomo delle istituzioni ho sempre dato a ogni governo. Perché l'interesse nazionale e la sicurezza dell'Italia e dei suoi cittadini sono un bene che va molto al di là del singolo governo o della prossima campagna elettorale. Il ruolo guida di certi Paesi si basa proprio sul fatto che le elezioni non mettono in dubbio le scelte di fondo e non costringono a ricominciare ogni volta daccapo.

 

 

Gen. Leonardo Tricarico
*ex Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare, già Consigliere Militare del
Presidente del Consiglio dei Ministri (1999-2004) e attuale Presidente della Fondazione Icsa
 

 

Fonte - Affaritaliani.it

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