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Con una recente sentenza il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima), con un'articolata motivazione ha accolto il ricorso del Maresciallo Aiutante Sostituto Ufficiale di Pubblica Sicurezza dei Carabinieri Carmelo Cataldi, ora in congedo, al quale era stata vietata "l’iscrizione e l’assunzione di carica sociale in seno a partito politico" ed erano stati inflitti, per un'asserita incompatibilità con l’adempimento dei doveri di Sottufficiale, 5 giorni di consegna di rigore, peraltro con l'espressa ammonizione «che, in caso di inottemperanza, sarebbe stato avviato il procedimento per la diffida ministeriale ed eventuale successiva decadenza dal servizio».
Secondo l'Arma dei Carabinieri infatti - si legge nella sentenza - «l’iscrizione e l’assunzione di carica sociale in seno a partito politico, costituisce comportamento suscettibile di assumere rilievo sotto il profilo disciplinare, ai sensi del nr. 9 dell’allegato ‘C’ al R.D.M.» (Regolamento di Disciplina Militare, di cui al d.P.R. n. 545 del 1986), trattandosi di «incarico incompatibile con l’adempimento dei Suoi doveri di sottufficiale», in proposito richiamando l’allora vigente art. 6, comma 1, della legge n. 382 del 1978, a norma del quale «Le Forze armate debbono in ogni circostanza mantenersi al di fuori delle competizioni politiche». L’amministrazione ha anche aggiunto che la carica politica ricoperta dal Maresciallo «implica necessariamente l’esercizio di funzioni attive a carattere propriamente politico, atteso che, quale Segretario Regionale, la S.V. siede – oltretutto con voto deliberativo – sia nel Consiglio Nazionale che nella Direzione Nazionale del partito, ex artt. 9 e 10 dello statuto del partito medesimo».
Il Maresciallo, rappresentato e difeso dagli avvocati Giorgio Carta e Giuseppe Piscitelli ha impugnato l'intero procedimento a suo carico sostenendo la piena legittimità dei suoi atti, compresa l'assunzione della carica di segretario regionale.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte gli ha dato pienamente ragione, ma vediamo nel dettaglio cosa dice la sentenza.
I giudici amministrativi hanno dapprima ricordato all'Amministrazione del Maresciallo che «la questione oggetto del presente giudizio è stata, da ultimo, approfondita da alcuni arresti giurisprudenziali che, per fattispecie del tutto analoghe, ed in considerazione del complessivo quadro normativo (costituzionale e legislativo) vigente, sono giunti alla condivisibile conclusione di ritenere illegittimo il divieto per i militari di iscriversi in partiti politici e di assumere nel loro ambito cariche direttive, alla luce di un’interpretazione letterale e sistematica delle norme (cifr. Tar umbria sent. n. 409 del 2011; TAR Veneto, sez. I, sent. n. 1480 del 2012)».
Successivamente, per rendere ancora più chiara la sentenza, i magistrati amministrativi hanno sottolineato che «il legislatore non ha mai stabilito per i militari un esplicito divieto di iscrizione ai partiti politici: ciò non ha fatto, espressamente, né nella legge n. 382 del 1978 (recante “Norme di principio sulla disciplina militare”) né nel Regolamento di disciplina militare (approvato con d.P.R. n. 545 del 1986)».
Il TAR Piemonte ha inoltre specificato che il legislatore non ha inteso in alcun modo modificare in senso restrittivo la materia, «nemmeno con il varo del Codice dell’Ordinamento Militare (d.lgs. n. 66 del 2010), ossia della disciplina che si propone di regolare, in modo organico, l'organizzazione, le funzioni e l'attività della Difesa e Sicurezza militare e delle Forze armate».
«Di conseguenza - conclude la sentenza -, il ricorso introduttivo deve essere accolto e deve, per l’effetto, disporsi l’annullamento dell’atto di ammonimento a recedere dalla carica politica rivestita. Parimenti, risultando fondata la censura di illegittimità derivata, e con assorbimento delle ulteriori censure, vanno accolti anche i motivi aggiunti, con conseguente annullamento della sanzione disciplinare inflitta al ricorrente (pari a giorni cinque di consegna di rigore)».
Giuseppe Paradiso