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di Antonella Manotti - E'ormai noto - dato il risalto mediatico - che la Corte costituzionale ha dichiarato parzialmente fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1475, comma 2, del Codice dell’ordinamento militare ""nella parte in cui vieta ai militari di costituire associazioni professionali a carattere sindacale. Resta fermo il divieto di “aderire ad altre associazioni sindacali”.
Nel comunicato diffuso dalla Consulta si legge inoltre che: " La specialità di status e di funzioni del personale militare, impone il rispetto di “restrizioni”, secondo quanto prevedono l’articolo 11 della CEDU e l’articolo 5 della Carta sociale europea. Restrizioni che, in attesa del necessario intervento del legislatore, allo stato sono le stesse previste dalla normativa dettata per gli organismi di rappresentanza disciplinati dal Codice dell’ordinamento militare".
La decisione è stata presa a seguito dell'esame della richiesta di incostituzionalità dell’articolo 1475, sollevata dal Consiglio di Stato su ricorso presentato dalla Associazione Assodipro.
Si attende ora di conoscere nel merito le osservazioni della Corte che saranno depositate entro 60 giorni.
In base all'art. 136 della Costituzione, “la norma ritenuta illegittima, cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione della Corte. Si tratta di un effetto di annullamento puro e semplice, che cancella la norma incostituzionale dall’ordinamento giuridico.
In questo caso, però, nell' accoglimento parziale della questione di legittimità, possiamo individuare una cosiddetta ""sentenza monito" in cui la Corte rivolge appunto un “monito” al legislatore, segnalando profili di incostituzionalità, di contraddizione, di illogicità di norme legislative, la cui eliminazione spetterebbe innanzitutto al legislatore medesimo.
Ovviamente, bisognerà attendere di conoscere, nel dettaglio, le motivazioni della Consulta, che si è espressa in applicazione dell’art. 117, primo comma, Cost., rilevando il contrasto con le norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, come interpretate dalla Corte di Strasburgo per dare effettiva tutela ad un diritto fondamentale, la cui lesione nell’ordinamento italiano sia stata accertata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
L'evolversi” di questo tipo di sentenze può essere diverso: può accadere che il legislatore accolga il monito e modifichi la norma censurata nel senso indicato dalla Corte; può accadere che il legislatore ampli la sfera di azione (?) o trascuri del tutto di provvedere e costringa la Corre, a interventi successivi ...
Lo scenario che si apre, quindi, è abbastanza complesso e va attentamente monitorato
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In queste ore si succedono comunicati e prese di posizione; dalla comprensibile e condivisibile esultazione di chi è stato protagonista di tale processo, chi ne ha condiviso il percorso e di chi, invece, ( e sono in tanti) è rimasto finora all'ombra dell'ambiguità ed oggi magari si prende i meriti di impegni mai messi in campo, di iniziative mai viste.
Come Giornale, da anni in prima linea in questa battaglia, non possiamo non sottolineare che a vincere, oggi, è stata l’energia espressa da un nucleo di cittadini militari, fin dagli anni '70 e poi condotta con coerenza nel tempo, attraverso il perseguimento dei principi Costituzionali nelle attività associative, riempiendo i vuoti di una democrazia mortificata da leggi sbagliate e dallo scarso coraggio di una politica, ostaggio di pregiudizi incomprensibili. Una politica che ha delegato alla supremazia dei vertici militari il dialogo con il Parlamento, senza coinvolgere il personale militare, senza consentirne la crescita di una cultura partecipativa, che ha prodotto nel tempo veri e propri obbrobri legislativi...
Coloro che in questi anni hanno condiviso questa battaglia nell'ambito di un percorso che ha trovato nella CGIL una propria identità culturale e sociale, hanno quindi oggi il compito primario di preparare il terreno migliore per i colleghi e raggiungere il risultato da tempo perseguito.
Purtroppo sappiamo che non sarà facile, perchè si assisterà probabilmente ad un moltiplicarsi di iniziative disorganiche, in cui a prevalere non sarà sempre l'interesse collettivo dei lavoratori militari, bensì quello personale; ci si troverà di fronte a divisioni, tanta diffidenza, poca lungimiranza. Ma è qui che si misurerà la maturità dei soggetti in campo.
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La partita è ora nelle mani del nuovo Parlamento.
Se è indubbio che, con la decisione della Consulta, viene a cadere dopo 40 anni, il divieto sancito dalla legge 382/78 (ora art. 1475, comma 2, del Codice dell’ordinamento militare) nella parte in cui si cui vieta ai militari di costituire associazioni professionali a carattere sindacale, è altrettanto scontato che l'esercizio di tale diritto dovrà essere soggetto ad alcune restrizioni che spetterà al legislatore regolamentare.
Ecco perchè sarà importante leggere la sentenza e capire se la Consulta abbia indicato già i paletti entro cui il legislatore dovrà e potrà muoversi.
Sul fronte politico l'iniziativa è tutta da "scoprire", stante i nuovi scenari aperti dal voto del 4 marzo.
Nell'approccio con le forze parlamentari, occorrerà presentare un progetto serio che abbia i piedi piantati bene in terra, nella consapevolezza che la nostra società sta vivendo un processo involutivo nel campo dei diritti del lavoro. Senza contare la visione diffusa, anche tra alcune forze politiche - di critica nei confronti di ciò che è il sindacato e del suo ruolo di mediazione.
Insomma, ci si avvia verso una strada per nulla facile, in cui non mancheranno pressioni forti da chi teme di perdere potere nella gestione paternalistica interna del personale.
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Da decenni ormai, l’intera cultura dei diritti ha conosciuto in Italia una inquietante eclisse. Chiusure ideologiche e regressione culturale hanno determinato un divorzio tra politica e società, proprio sul terreno dei diritti.
In questi anni difficili e di silenzio della politica, spesso i giudici sono stati i “custodi dei diritti”, assumendo un ruolo di supplenza e di attuazione della legalità costituzionale, com’è loro dovere, tenendoci anche al riparo da prevaricazioni politiche e...non solo...
Gli anni Settanta - proprio quando fu varata la cosiddetta legge di principio (la 382/78) ad esempio, furono una straordinaria stagione dei diritti, che mutarono nel profondo la società italiana e l’organizzazione istituzionale. Sicuramente vi fu la capacità delle forze politiche di allora, di guardare alle dinamiche sociali senza pretese di subordinarle a convenienze e strumentalizzazioni (divorzio e aborto furono approvati in anni di forte potere della Dc !). Sicuramente l’esistenza di canali di comunicazione tra cultura e politica, che si alimentarono reciprocamente, produssero innovazione non di facciata, ma veri strumenti istituzionali di cambiamento.
Un invito a riflettere - quindi - per tutte le forze politiche che vogliono misurarsi con la richiesta di cambiamento che sale dalla società, rispettandone le spinte propulsive che si ispirano alla nostra Costituzione. Il ritorno, insomma, della buona politica, che guardi alla società senza filtri ideologici e convenienze di maggioranza.
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Le parole d'ordine in questo momento dovranno essere:“Gestire la riforma”, ricordando quanto scrisse Franco Fedeli all'indomani della approvazione della legge di riforma della Polizia nel 1981.
Egli affermava tra l'altro, "" Dovremo tenere ben presente che nel Palazzo non sono scomparsi i “falchi neri”...Occorre una forza massiccia della base, il contributo generoso di ognuno per edificare questa nuova Polizia.
Non mancheranno lusinghe, offerte sottobanco, auree promesse, tendenti a dividere il personale. Comincerà la “caccia” al poliziotto, spunteranno come funghi i “salvatori della Polizia”, “nuovi protettori” sorretti dai soliti “compari”. Ci sarà chi cavalcherà tutte le tigri del più bieco corporativismo, per mettere i poliziotti gli uni contro gli altri, per far germinare una pletora di sindacati e sindacatini a capo dei quali si porranno gerarchi e gerarchetti. Saranno in molti a speculare sulle aspirazioni frustrate, sulle attese tradite ...Cadere in questa trappola è pericoloso poiché rischia di vanificare dieci anni di lotte dei poliziotti.
La riforma potrà essere gestita solo se si sarà capaci di costituire un organo di rappresentanza efficiente ed unitario in nome del quale si è combattuto, sofferto, pagato.
Diffidare quindi degli eroi dell’ultima ora, dei falsi “puri” che si ammantano di una falsa autonomia per nascondere equivoche strumentalizzazioni. C’è una sola collocazione per i poliziotti ed essa è all’interno del grande movimento dei lavoratori, al fianco della stragrande maggioranza dei cittadini democratici....
(Nuova Polizia e Riforma dello Stato - N. di febbraio 1981)
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Il nostro giornale come sempre ci sarà come protagonista di una storia ancora tutta da scrivere ....con un inchiostro indelebile!!!!
Antonella Manotti
Direttore de' il Nuovo Giornale dei Militari
Concludo questa nota riportando alcune parole del compianto presidente di Assodipro Emilio Ammiraglia che nel febbraio 2015, mentre eravamo in fase di preparazione di un convegno in una e mail mi scriveva:
<<28.02.2015 17:18
...il viaggio di Assodipro in questa storia lo conosci bene. Siamo nati nel 1992, dimettendoci in massa dalle RRMM, in particolare noi dell’A.M della 1^ Regione Aerea in risposta alle arroganti pressioni dei vertici militari dell’epoca nei confronti del Parlamento che, attraverso il comitato ristretto della Commissione Difesa della Camera stava riformando le RRMM con la previsione del riconoscimento del ruolo negoziale. Ci dimettemmo in segno di rispetto verso la centralità del Parlamento pensando che la politica avrebbe saputo reagire alle ingerenza dei vertici militari; quella riforma non andò in porto, perchè la politica non seppe dimostrarsi all’altezza del compito che doveva svolgere, perchè erano in arrivo i tempi di tangentopoli ma soprattutto perchè essa si dimostrò connivente con gli stati maggiori. Da queste premesse l’inizio del processo giudiziario di Assodipro che tendeva alla rimozione dell’art. 8 della 382 che dopo alterne vicende oggi dopo le sentenze CEDU vede aprirsi una nuova stagione di riforme. Guarda caso tutto avviene in contemporanea ai lavori di un nuovo comitato ristretto della comm. difesa camera.
Abbiamo fatto un lungo viaggio; con biglietto di sola andata hanno provato a confinarci in Siberia. Hanno provato a silenziarci negandoci il diritto di parola criminalizzandoci con quelle schifezze delle veline che facevano circolare nelle caserme; hanno cercato in ogni modo di isolarsi dalla base militare ma......siamo rimasti in piedi a schiena dritta e con dignità abbiamo continuato a parlare per dimostrare quello che oggi la Corte EDU riconosce. Vedremo la politica quello che saprà fare: riforme dignitose o cosmetiche modificazioni? Sul punto io non sono fiducioso. .....Faremo anche in questa circostanza del nostro meglio; più che parlare chiaro non possiamo.
Abbiamo dimostrato che sulla questione le nostre idee non sono sterili mugugni ma critiche e proposte che esprimono una buona dose di riformismo democratico. Chi ha naso sindacale o sentito democratico non fatica a leggere una posizione che si può condividere.
Dimostreremo che la nostra idealità non è il massimalismo, il radicalismo, il settarismo, ma l’espressione del riformismo democratico che sembra esaurito in tanta parte della sinistra.
Chiamami quando sei in ufficio, ci prendiamo il tempo per una chiacchierata.
Un caro saluto.
Emilio Ammiraglia >>