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A tredici anni dalla riforma che ha abolito la leva obbligatoria che bilancio si può trarre? Funziona il modello di Forze armate interamente professionale, che ora il vicepremier Matteo Salvini rimette in discussione, nonostante la contrarietà del ministro della Difesa Elisabetta Trenta e dell'altro vicepremier, Luigi Di Maio? Uno studio del Senato "Professione: difesa. Le forze armate italiane alla prova del modello professionale", a cura di Francesco Gilioli e Lorenzo Carmineo, offre molti dati su cui riflettere. L'analisi giunge alla conclusione che le Forze armate hanno retto meglio del previsto alla profonda trasformazione avvenuta a partire dal 1 gennaio 2015, quando la naia è stata abolita, pur in presenza di un forte ridimensionamento di spese e personale, portato a 150 mila unità dopo la crisi economica del 2011.
Negli altri Paesi. "Dopo la fine della Guerra fredda la maggioranza dei Paesi europei che non lo avevano ancora fatto hanno progressivamente abbandonato il modello di Forze Armate allora prevalente, quello basato sulla coscrizione obbligatoria, per indirizzarsi verso un sistema di tipo professionale, che risulta preponderante nei Paesi membri della Nato e dalla Ue. La Gran Bretagna in realtà aveva abbandonato la coscrizione obbligatoria fin dagli anni Cinquanta. In Spagna è stato sospeso dal 2002, in Germania dal 2011. La Francia dalla fine degli anni Novanta, ma nel febbraio scorso Macron ha ipotizzato la reintroduzione della coscrizione obbligatoria, estesa a entrambi i sessi. Nel marzo del 20017 il primo ministro svedese Peter Hultqvist aveva preannunciato l'arruolamento, a partire dal gennaio del 2018, di 4000 diciottenni ogni anno.
Il personale. Attualmente l'esercito italiano è composto da 150 mila unità. Inizialmente ci si era posti come obiettivo la riduzione a 190 mila entro il 2021, poi la crisi ha indotto nel 2012 a un'ulteriore riduzione. Nel 2000, anno di approvazione della legge 331, che segna il passaggio al modello professionale, le Forze armate erano composte da un organico di 265 mila uomini, il 44 per cento dei quali costituito da militari di leva.
Provenienza geografica del personale. Dal 2010 al 2017 la provenienza geografica degli aspiranti al reclutamento ha sempre visto, nei primi tre posti, le regioni Campania, Sicilia e Puglia. "Tale processo di regionalizzazione - scrivono Gilioli e Carnimeo - è oggettivamente in contrasto con le posizioni organiche esistenti, prevalentemente ubicate nelle aree centro-settentrionali. L'ultimo rapporto dell'Esercito sottolinea esplicitamente: "Essendo infatti il 49 per cento del personale proveniente dal Sud Italia, dove, in realtà si attesta solo il 17 per cento delle posizioni organiche, risulta evidente come sia oltremodo complesso garantire un adeguato tasso di regionalizzazione dell'impiego del personale. Da questa breve analisi può pertanto trovare conferma l'esistenza di un sostanziale - ancorché sicuramente involontario - ruolo di ammortizzatore sociale svolto oggi dalle Forze Armate"
Peace-keeping. La svolta verso la professionalizzazione nasce negli anni Novanta, quando si transita verso un sistema misto: al soldato di leva, raffermato o meno, si affiancano così il volontario in ferma breve e, per la prima volta, si introduce la figura del volontario di truppa in servizio permanente. Il compito principale si spostava dalla difesa dei confini nazionali alla proiezione fuori area nell'ambito delle missioni internazionali di peace-keeping e peace enforcing. L'Afghanistan e la partecipazione alla coalizione internazionale in Iraq conducono a un picco, nel 2003, di circa 12 mila uomini impegnati in operazioni fuori area.
Teatri di guerra. Nel 2018 l'Italia partecipa a 35 operazioni in 22 Stati di tre continenti, con un impiego massimo di 8000 unità di personale e una media di 6400 (nel 2017 la media era di 6700). "Nel corso del passaggio al modello professionale (2002-2005) si è assistito a uno straordinario sforzo di proiezione fuori area (Afghanistan e in Iraq), con una costante presenza media di oltre 10mila uomini nel periodo dal 2002 al 2006. Dal 2006 vi è stato un progressivo ridimensionamento quantitativo. Se nel periodo 2006-2011 ci si attestava ancora su 7500-8000 uomini, a partire dal 2012 si assiste, complice anche la crisi economica, a un ulteriore contenimento dello sforzo, con un'inversione di tendenza invece nell'ultima legislatura".
Ordine pubblico. Attualmente 7000 militari dell'esercito vengono impegnati a tutela dell'ordine pubblico in patria: dall'operazione "Strade sicure" agli eventi, come Expo o il Giubileo straordinario della Misericordia nel 2015-16.
Servizio civile. Fino a tutti gli anni Ottanta il modello era stato basato sulla coscrizione obbligatoria, anche se erano state introdotte delle riforme: dal 1972 era possibile l'obiezione di coscienza.
Le donne. Le donne sono entrate nel modo militare con la legge numero 380 del 1999 e il discendente decreto legislativo numero 24 del 2000, che dispongono il reclutamento su base volontaria del personale militare femminile.
I costi. Le risorse destinate dallo Stato italiano alla difesa non corrispondono al solo bilancio dell'omonimo ministero (20,2 miliardi nel 2017, ma da cui bisogna detrarre i 6 miliardi per l'Arma dei carabinieri), ma alcuni investimenti in materia di Difesa sono finanziati dal Mise (2,7 miliardi nel 2017), le missioni internazionali insistono su un fondo costituito presso il Ministero dell'Economia (1 miliardo nel 2017). Totale: 17,9 miliardi.