Periodico di informazione delle Forze Armate, Forze di Polizia e Pubblico Impiego

 

La norma che si occupa delle sanzioni disciplinari per il personale dell’Amministrazione di pubblica sicurezza, prevede che "l’appartenente ai ruoli della Amministrazione della pubblica sicurezza che viola i doveri specifici e generici del servizio e della disciplina indicati dalla legge, dai regolamenti o conseguenti alla emanazione di un ordine, qualora i fatti non costituiscano reato, commette infrazione disciplinare ed è soggetto alle seguenti sanzioni: 1) richiamo orale; 2) richiamo scritto; 3) pena pecuniaria; 4) deplorazione; 5) sospensione dal servizio; 6) destituzione. 

Esaminiamo adesso, in breve, le varie sanzioni previste evidenziando, preliminarmente, un principio cardine in materia: la dovuta tempestività  delle contestazioni. In alcuni casi, infatti, si può verificare che la contestazione degli addebiti sia formalizzata con ritardo rispetto a quando l’autorità procedente ne ha avuto conoscenza, determinando così, salvo alcune ipotesi particolari, una censurabilita’ del procedimento disciplinare ivi compresa l’eventuale sanzione comminata. In materia di infrazioni, che possono sfociare in provvedimenti sanzionatori, vale quindi  il principio della immediatezza soggettiva e relativa.   Tale principio comporta che il datore di lavoro deve contestare i fatti subito dopo esserne venuto a conoscenza, potendo solo fare trascorrere il tempo strettamente necessario per gli accertamenti del caso, al fine di consentire una contestazione il più possibile specifica e circostanziata ( c.d. immediatezza relativa; in tal senso v. Cassazione civile, 18 luglio 1990, n. 7343 e, da ultimo, Cass., nn. 4507, 1226, 12141 ed 11933 del 2003 ).   Allo stesso modo, la disposizione contenuta nell’art. 103 del t.u. 10 gennaio 1957, n. 3, che risulta applicabile ai procedimenti disciplinari dell’Amministrazione di pubblica sicurezza in virtù del rinvio operato dall’art. 31 del D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 e che, com’è noto, fa obbligo all’amministrazione, una volta avuta contezza di una possibile infrazione disciplinare dal dipendente commessa, di contestargli "subito" i fatti a lui addebitati. Ciò non vuol dire che la contestazione debba essere fatta "immediatamente", ma che non può procastinarsi oltre la compiuta conoscenza del fatto storico che integra la violazione, alla quale si perviene con gli accertamenti del caso; ciò anche al fine di  consentire una adeguata e pronta difesa all’accusato, che verrebbe sicuramente inficiata da un ritardo nella contestazione degli addebiti. Detto ciò, vediamo quali sono le sanzioni disciplinari previste nel decreto su indicato. 

    Il richiamo orale 

previsto dall’art. 2 del D.P.R. 737/1981 è "un ammonimento con cui vengono punite lievi mancanze non abituali o omissioni di lieve entità causate da negligenza o da scarsa cura della persona o dell’aspetto esteriore. Può essere inflitto da qualsiasi superiore senza obbligo di rapporto".  

Il richiamo scritto.

Previsto all’art. 3, "è una dichiarazione di biasimo con la quale vengono punite: 1) la reiterazione in lievi mancanze; 2) la negligenza in servizio; 3) la mancanza di correttezza nel comportamento; 4) il disordine nella divisa o l’uso promiscuo di capi di vestiario della divisa con altri non pertinenti alla stessa; 5) il pernottamento senza autorizzazione fuori della caserma o dell’alloggio collettivo di servizio; 6) il contegno comunque scorretto verso superiori, pari qualifica, dipendenti, pubblico". Viene applicato,  per iscritto, dal capo dell’ufficio o dal comandante del reparto dal quale il trasgressore gerarchicamente dipende, mentre per i capi degli uffici o i comandanti di reparto è inflitto dal capo della Polizia - direttore generale di pubblica sicurezza.   

  La pena pecuniaria.

Consiste nella riduzione in misura non maggiore di 5/30 di una mensilità dello stipendio e degli altri assegni a carattere fisso e continuativo. Tale sanzione viene applicata in caso di recidiva inerente una mancanza punibile con il richiamo scritto, o in caso di esercizio occasionale di commercio o di mestiere incompatibile. Altri casi : - il mantenimento, al di fuori di esigenze di servizio, di relazioni con persone che notoriamente non godono in pubblico estimazione o la frequenza di locali o compagnie non confacenti al proprio stato; - il contrarre debiti senza onorarli, ovvero contrarne con dipendenti o con persone pregiudicate o sospette di reato; - l’allontanamento dalla sede di servizio da uno a cinque giorni senza autorizzazione; - l’abituale negligenza nell’apprendimento delle norme e delle nozioni che concorrono alla formazione professionale; - l’inosservanza dell’obbligo di mantenere la permanenza o la reperibilita’; - la manifesta negligenza nel prendere visione dell’ordine di servizio; - l’omessa o ritardata presentazione in servizio sino ad un massimo di quarantotto ore; - la grave negligenza in servizio; - il ritardo o la negligenza nell’esecuzione di un ordine; - l’irregolarita’ nell’ordine di trattazione degli affari; - l’inosservanza del dovere di informare immediatamente i superiori della ricezione di un ordine la cui esecuzione costituisce manifestamente reato; - l’inosservanza delle norme di comportamento politico fissate per gli appartenenti ai ruoli della Amministrazione della pubblica sicurezza; - l’inosservanza delle norme che regolano i diritti sindacali degli appartenenti ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza; - l’emanazione di un ordine non attinente al servizio o alla disciplina o eccedente i compiti d’istituto o lesivo della dignita’ personale; - l’omissione o l’imprecisione nell’emanazione di ordini o di disposizioni di servizio; - qualsiasi altro comportamento, anche fuori dal servizio, non espressamente preveduto nelle precedenti ipotesi, comunque non conforme al decoro delle funzioni degli appartenenti ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza. 

  La deplorazione.

 Disciplinata dall’art. 5 del D.P.R. 737/1981, ed inflitta dagli stessi organi previsti dall’articolo 4, è "una dichiarazione scritta di formale riprovazione, con la quale vengono punite: le abituali o gravi negligenze nell’adempimento dei propri doveri; le persistenti trasgressioni già punite con sanzioni di minore gravità; le gravi mancanze attinenti alla disciplina o alle norme di contegno; le mancanze gravemente lesive della dignità delle funzioni; gli atti diretti ad impedire o limitare l’esercizio dei diritti politici o sindacali o del mandato di difensore o di componente di un organo collegiale previsto dalle norme sulla Polizia di Stato; la negligenza nel governo o nella cura delle condizioni di vita e di benessere del personale o nel controllo sul comportamento disciplinare dei dipendenti; la negligenza o l’imprudenza o la inosservanza delle disposizioni sull’impiego del personale e dei mezzi o nell’uso, nella custodia o nella conservazione di armi, esplosivi, mezzi, materiali, infrastrutture, carteggio e documenti". Ad essa consegue il "ritardo di un anno nell’aumento periodico dello stipendio o nell’attribuzione della classe di stipendio superiore, a decorrere dal giorno in cui verrebbe a maturare il primo beneficio successivo alla data nella quale la mancanza è stata rilevata. La deplorazione può essere inflitta anche in aggiunta alla pena pecuniaria in relazione alla gravità della mancanza e alla personalità del responsabile".  

La sospensione dal servizio.

Prevista all’art. art. 6 del D.P.R. 737/1981, consite nell’ "allontanamento dal servizio per un periodo da uno a sei mesi, con la privazione della retribuzione mensile, salva la concessione di un assegno alimentare di importo pari alla metà dello stipendio e degli altri eventuali emolumenti valutabili a tal fine a norma delle disposizioni vigenti, oltre gli assegni per carichi di famiglia". Viene applicata dal capo della Polizia, previo giudizio del consiglio centrale di disciplina nel caso in cui soggetto passivo sia un dirigente o avente ruoli direttivi e, negli altri casi, il parere preventivo viene dato dal consiglio provinciale di disciplina.  

 

La destituzione.

 Disciplinata dall’’ art. 10 del D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, consiste nella cancellazione dai ruoli dell’appartenente ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza la cui condotta abbia reso incompatibile la sua ulteriore permanenza in servizio. La destituzione è inflitta: per atti che rivelino mancanza del senso dell’onore o del senso morale; per atti che siano in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento; per grave abuso di autorità o di fiducia; per dolosa violazione dei doveri che abbia arrecato grave pregiudizio allo Stato, all’Amministrazione della pubblica sicurezza, ad enti pubblici o a privati; per gravi atti di insubordinazione commessi pubblicamente o per istigazione all’insubordinazione; per reiterazione delle infrazioni per le quali è prevista la sospensione dal servizio o per persistente riprovevole condotta dopo che siano stati adottati altri provvedimenti disciplinari; per omessa riassunzione del servizio, senza giustificato motivo, dopo cinque giorni di assenza arbitraria. La destituzione è inflitta con le stesse modalità previste per la sospensione dal servizio. La destituzione è la più grave sanzione disciplinare prevista per la Polizia di Stato. Con l’irrogazione di questa sanzione cessano i rapporti di lavoro tra l’agente di polizia e la Pubblica Amministrazione . L’art.8 prevede poi la cd destituzione di diritto: 

  L’appartenente ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza incorre nella destituzione di diritto: a) per condanna passata in giudicato per i delitti contro la personalita’ dello Stato; per i delitti di peculato, malversazione, concussione, corruzione; per i delitti contro la fede pubblica, escluso quello di cui allo art. 457 del codice penale; per i delitti contro la moralita’ pubblica ed il buon costume previsti dagli articoli 519, 520, 521 e 537 del codice penale e per i delitti previsti dagli articoli 3 e 4 della legge 20 febbraio 1958, n. 75; per i delitti di rapina, estorsione, millantato credito, furto, truffa, appropriazione indebita, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, circonvenzione di persone incapaci, usura, ricettazione; per ogni tipo di delitto a fine di eversione; per i delitti previsti dalla legge sul nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza e per qualsiasi altro delitto non colposo per il quale sia stata irrogata una pena non inferiore ad un anno di reclusione; ((2)) b) per condanna, passata in giudicato, che importi l’interdizione perpetua dai pubblici uffici; c) per applicazione di una misura di sicurezza personale di cui all’art. 215 del codice penale ovvero di una misura di prevenzione prevista dall’art. 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423. Nei casi contemplati dal precedente art. 7 e dal presente articolo il trattamento di quiescenza e previdenza e’ regolato dalle disposizioni vigenti qualifiche dirigenziali e direttive; con decreto del capo della polizia - direttore generale della pubblica sicurezza per il restante personale. Tuttavia, la Corte Costituzionale con sentenza 12-14 ottobre 1988, n. 971  ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 8 lett. a) del D.P.R. 737/81, insieme ad altre norme sul tema, nalla parte in cui non è previsto il procedimento disciplinare in questi casi. 

  Infine, ricordiamo che la definizione di illecito disciplinare è data dalla Circolare Ministeriale n. 333/800/9820.A del 28/12/1981 per la quale è tale qualsivoglia condotta posta in essere da un appartenente agli organi di Polizia di Stato mediante l’inosservanza di regolamenti o norme attinenti alla  condotta oppure nel caso di inosservanza di un ordine specifico ricevuto.

  Ricordiamo, inoltre, che secondo quanto previsto all’art 11 del dpr  737/1981, nel caso in cui per il medesimo fatto si venga sottoposto sia a procedimento penale che disciplinare, quest’ultimo rimane sospeso fino a che il primo non sia definito con sentenza passata in giudicato .  

Avv. Christian Petrina -

Fonte - http://www.alfaiuris.com/news

Argomento: 
Approfondimenti