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Con la recentissima sentenza n.2383/2019 del 12.04.2019, il Consiglio di Stato ha chiarito come va inteso ed applicato anche per il personale delle Forze di Polizia, oltre che per il personale delle Forze Armate, il comma 1-bis dell’art.1 della legge 29.03.2001, n.86.
La pronuncia completa le coordinate ermeneutiche della normativa del 2001 e consente, a questo di punto, di proporre il quadro riassuntivo che segue....
L’art.1, intitolato “Indennità di trasferimento”, della legge 29.03.2001, n.86 e successive modificazioni ed integrazioni statuisce attualmente:
al comma 1, che “Al personale volontario coniugato e al personale in servizio permanente delle Forze armate, delle Forze di polizia ad ordinamento militare e civile e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, agli ufficiali e sottufficiali piloti di complemento in ferma dodecennale di cui alla legge 19 maggio 1986, n.224, e, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 28, comma 1, del decreto legislativo 19 maggio 2000, n.139, al personale appartenente alla carriera prefettizia, trasferiti d’autorità ad altra sede di servizio sita in un comune diverso da quello di provenienza, compete una indennità mensile pari a trenta diarie di missione in misura intera per i primi dodici mesi di permanenza ed in misura ridotta del 30 per cento per i secondi dodici mesi”;
al comma 1 bis, introdotto, a decorrere dal 1° gennaio 2013, dall’art.1, comma 163, della legge 24.12.2012, n.228, che “L’indennità di cui al comma 1 nonché ogni altra indennità o rimborso previsti nei casi di trasferimento d’autorità non competono al personale trasferito ad altra sede di servizio limitrofa, anche se distante oltre dieci chilometri, a seguito della soppressione o dislocazione dei reparti o relative articolazioni”.
Componendo i contrasti insorti in sede applicativa, la giurisprudenza è venuta via via chiarendo, che il diritto del personale delle Forze Armate e delle Forze di Polizia ad ottenere l’indennità di trasferimento, come ora disciplinata dall’art.1 della legge n.86/2001, è subordinato al ricorrere dei seguenti quattro presupposti:
il trasferimento deve essere avvenuto d’autorità, a seguito di soppressione o dislocazione del reparto di servizio o di sue articolazioni;
la nuova sede di servizio deve essere distante almeno 10 km dalla vecchia sede di servizio;
il comune sede della nuova sede di servizio deve essere diverso da quello in cui era ubicata la vecchia sede di servizio;
il comune sede della nuova sede di servizio non deve essere limitrofo, e cioè confinante, rispetto a quello sede della vecchia sede di servizio.
In ordine al primo presupposto richiesto – e cioè, il trasferimento disposto d’autorità – , l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, confermando quello che era ormai il pressoché univoco indirizzo maturato nella giurisprudenza amministrativa, ha definitivamente precisato, con la decisione n.1 del 29.01.2016, che:
“il trasferimento del militare ad altra sede, disposto a seguito della soppressione dell’ente o della struttura alla quale il suddetto dipendente era originariamente assegnato, si qualifica… necessariamente come trasferimento d’ufficio in quanto palesemente preordinato alla soluzione di un problema insorto a seguito di una scelta organizzativa della stessa Amministrazione e, quindi, alla tutela di un pubblico interesse”;
è ininfluente che il personale interessato sia stato invitato a presentare istanza di trasferimento e gli sia stata contestualmente offerta la possibilità di indicare, peraltro entro ben definiti ambii territoriali, le nuove sedi di gradimento, in quanto “assume un valore decisivo la circostanza che il mutamento di sede origina da una scelta esclusiva dell’Amministrazione militare che, per la miglior cura dell’interesse pubblico, decide di sopprimere un reparto (o una sua articolazione) obbligando inderogabilmente i militari di stanza a trasferirsi presso la nuova sede, ubicata in un altro luogo, onde prestare il proprio servizio”;
la clausola di gradimento “incide solo sugli effetti ubicazionali ovvero lato sensu geografici dell’ordine di trasferimento; essa comporta acquiescenza in senso proprio a tali effetti … ma non incide sul diritto di credito (a percepire l’indennità) che scaturisce direttamente dalla legge al ricorrere di determinati presupposti”.
Per quanto concerne il secondo presupposto – e cioè, la distanza di almeno 10 km tra vecchia e nuova sede di servizio (per sede di servizio intendendosi “il centro abitato o la località isolata in cui hanno sede l’ufficio o l’impianto presso il quale il dipendente presta abitualmente servizio”) –, la giurisprudenza ha confermato che anche la disciplina dell’indennità di trasferimento di cui alla legge n.86/2001 – come già quella di cui all’abrogata legge 10.03.1987, n.100 (per la quale v. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 28.04.1999, n.7) – “richiama, in modo esplicito, il trattamento economico di missione, il quale è tuttora subordinato, indiscutibilmente, al requisito della distanza minima di dieci chilometri (v. art.1 legge 26.07.1978, n.417, n.d.r.). Il rinvio non riguarda solo il criterio di quantificazione dell’indennità, ma anche uno dei presupposti sostanziali del trattamento economico stabilito per il trasferimento di ufficio. … sul piano della ragionevolezza, sarebbe difficile giustificare la diversità dei presupposti necessari per attribuire il trattamento di missione e l’indennità di trasferimento, richiedendo solo nel primo caso il requisito della distanza chilometrica minima. La norma del 2001, poi, non può essere letta in modo autonomo e separato dal contesto complessivo della disciplina generale riguardante la materia del trasferimento di ufficio dei dipendenti delle amministrazioni statali. In tale quadro, … la norma generale che richiede la distanza minima di dieci chilometri, quale elemento imprescindibile per la corresponsione di trattamenti economici di missione o di trasferimento, risulta ancora in vigore …” (v. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 14.12.2011, n.23).
Relativamente al terzo presupposto, non considerato dalla previgente legge n.100/1987 – e cioè, la diversità tra il comune di provenienza e quello di destinazione –, la giurisprudenza ha precisato che il comma 1 della legge n.86/2001 “intende solo chiarire che l’indennità non spetta qualora il trasferimento, ancorché in sede situata a distanza superiore ai dieci chilometri, avvenga nell’ambito dello stesso comune” (v. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n.23/2011 cit.).
Con riguardo, infine, al quarto ed ultimo presupposto, introdotto dalla novella di cui alla legge n.228/2012 – e cioè, il trasferimento a sede di servizio non limitrofa, anche se distante oltre 10 km –, il Consiglio di Stato ha respinto, negli scorsi mesi, la tesi che “il riferimento alla sede limitrofa di cui al comma 1 bis va inteso in senso letterale, nel senso cioè di circoscrizione territoriale di competenza (Presidio, Tenenza, Compagnia etc.) confinante con un’altra”, ed ha ripetutamente ed univocamente affermato, invece, che “il comma 1 bis va interpretato in coerenza col disposto del comma 1: perciò se la nuova sede è posta in Comune non confinante (cioè non limitrofo) con quello in cui aveva sede il reparto soppresso l’indennità spetta, purché le due case comunali distino più di dieci chilometri; invece se la nuova sede è ubicata in Comune confinante (limitrofo) l’indennità non spetta anche se la distanza tra i Comuni eccede i 10 km” (v., ex plurimis, Consiglio di Stato, Sezione IV, 17.07.2018, n.4354). Questa conclusione è stata raggiunta, rilevando:
in primo luogo, che, a seguire il “criterio della circoscrizione territoriale”, si determinerebbe la conseguenza di introdurre “differenziazioni irragionevoli nell’ambito dei trasferimenti d’autorità disciplinati dall’art.1”, posto che “il trasferimento d’autorità “ordinario” seguirebbe la regola dei Comuni differenti mentre il trasferimento d’autorità per soppressione del reparto seguirebbe la regola delle circoscrizioni confinanti”;
in secondo luogo e comunque, che “il criterio della circoscrizione territoriale sarebbe praticabile solo nel caso di reparti aventi una circoscrizione territoriale di competenza”, ma, “allo stato non risulta esistente nell’ordinamento militare – a livello regolamentare o organizzativo – una individuazione o qualificazione delle sedi da considerare limitrofe” e, in ogni caso, i reparti rientranti nell’organizzazione operativa delle Forze Armate “non hanno una propria circoscrizione territoriale di competenza”.
Analogo principio è stato, di recente, specificamente affermato ed applicato dal Consiglio di Stato pure al personale delle Forze di Polizia ad ordinamento militare. Anche in questo caso, infatti, è stato rilevato: che “non esiste una univoca definizione normativa di sede limitrofa, realmente utilizzabile ai fini che ne occupano”; che il criterio della circoscrizione territoriale “è praticabile solo in caso di unità aventi un ambito di competenza territoriale circoscritto, cioè solo con riferimento sull’organizzazione territoriale dei Corpi”, mentre “è invece impraticabile nel caso di soppressione o aggregazione di unità che non avevano una giurisdizione limitata ma operavano su tutto il territorio nazionale o su una parte significativa di esso”; che “l’interpretazione sostenuta dall’Amministrazione introduce una differenziazione incomprensibile nell’ambito dei trasferimenti di autorità: secondo l’Amministrazione, infatti, il trasferimento di autorità “ordinario” (si pensi a quello per incompatibilità) segue la regola dei comuni differenti, mentre il trasferimento per soppressione di unità dovrebbe seguire la diversa regola dei confini territoriali di competenza. All’opposto, costituisce canone interpretativo di riferimento quello secondo cui – all’interno dello stesso testo normativo e anzi in due commi limitrofi – le definizioni ricorrenti vanno applicate e declinate in modo omogeneo, dovendosi presupporre che il Legislatore non possa aver conferito in via implicita o silente significati divergenti a istituti o definizioni di fattispecie sovrapponibili” (v. Consiglio di Stato, Sezione IV, 12.04.2019, n.2383).
Con gli univoci ed inequivocabili chiarimenti offerti da questi ultimi pronunciamenti, può ritenersi, allo stato, definitivamente chiarito il quadro applicativo della disciplina di cui all’art.1 della legge n.86/2001, come attualmente vigente. Resta naturalmente da vedere, se tanto basterà a far sì che, d’ora in poi, le Amministrazioni interessate provvedano a darne pronta applicazione, corrispondendo, senza frapporre ulteriori ostacoli, l’indennità di trasferimento che compete al personale interessato quando ricorrono i suddetti quattro presupposti.
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