Periodico di informazione delle Forze Armate, Forze di Polizia e Pubblico Impiego

Non sempre gli incidenti dei militari in servizio rientrano come vittime del dovere. Ecco cosa dice la Corte di Cassazione.

Si sente spesso parlare di militari e forze dell’ordine rimaste vittime di dovere durante lo svolgimento delle loro attività. Piccoli o grandi incidenti comportano spesso gradi di invalidità permanente che poi lo Stato deve pagare anche con il pensionamento anticipato e l’esonero dal servizio.

L’infermità causa servizio

Però, non tutti gli incidenti che capitano ai militari, agli operatori di polizia, ai vigili del fuoco o altri funzionari pubblici sono rientrano fra i casi di vittime del dovere. La normativa in materia è spesso soggetta a interpretazione e i casi che vengo discussi ogni giorno dalle varie commissioni mediche sono spesso soggetti a ricorsi e procedimenti giudiziari lunghi, costosi ed estenuanti. Così, a fare chiarezza sulla questione è intervenuta recentemente la Corte di Cassazione con ordinanza numero 12611 del 25 giugno 2020. La decisione dei supremi giudici ha stabilito che “non è vittima del dovere il militare che durante lo svolgimento delle ordinarie esercitazioni ed addestramenti sotto il servizio di leva obbligatoria abbia subito un’infermità permanente. Ciò in quanto l’attività è priva di quel carattere di straordinarietà richiesto dalla legge per la concessione dei benefici”. La questione sottoposta al vaglio della Corte riguardava un militare di leva, ma è pacifico che la sentenza riguarda anche tutti coloro che svolgono attività di polizia e mantenimento dell’ordine pubblico.

Vittime del dovere

Come spiega meglio il Ministero dell’Interno, sono considerati vittime del dovere coloro che hanno contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali o operative.

Il ministero dell’Interno provvede al riconoscimento dello status di vittima del dovere per gli appartenenti alla Polizia di Stato, all’Arma dei Carabinieri, alla Guardia di Finanza, al Corpo Forestale dello Stato, alla Polizia Penitenziaria, alle Polizie Municipali e per gli appartenenti al Corpo nazionale dei Vigili del fuoco e stila la graduatoria delle vittime del dovere. Apposita attività solidaristica è dedicata agli operatori di polizia e altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subìto un’invalidità permanente in attività di servizio, o nell’espletamento delle funzioni di istituto, per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi: a) nel contrasto ad ogni tipo di criminalità; b) nello svolgimento di servizi di ordine pubblico; c) nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari; d) in operazioni di soccorso; e) in attività di tutela della pubblica incolumità; f) in attività di prevenzione e di repressione dei reati.

Cosa dice la Corte di Cassazione

Secondo la Corte di Cassazione, l’infermità permanente del militare, insorta a causa dello svolgimento di compiti ordinari di servizio consistenti in esercitazioni e addestramenti senza individuare alcuna condizione straordinaria nella determinazione dell’evento lesivo non comporta il riconoscimento di vittima del dovere. In altre parole se il militare o il poliziotto si fa male durante il normale e regolare svolgimento del proprio servizio, non può rientrare nella casistica di vittima del dovere. Una decisione che farà sicuramente discutere poiché è difficile definire il confine esatto fra attività ordinaria e straordinaria, soprattutto se questa viene svolta in particolari condizioni ambientali e operative o durante missioni di particolare natura.

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CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 giugno 2020, n. 12611

Benefici previsti per le vittime del dovere ex art. 1, co. 564, L. n. 266/2005 – Addestramenti che avevano determinato un notevole aggravamento della patologia – Condizione di permanente invalidità – Concessione di pensione privilegiata – Equiparazione alle “missioni di qualunque natura” o integrazione di “straordinarie condizioni ambientali e operative” – Non sussiste

Rilevato che

1. la Corte d’appello di Ancona, con sentenza n. 211 pubblicata il 15.6.18, ha respinto l’appello di C.M., confermando la pronuncia di primo grado di rigetto della domanda proposta dal predetto nei confronti del Ministero della Difesa e del Ministero dell’Interno per ottenere i benefici previsti per le vittime del dovere di cui all’art. 1, comma 564, l. n. 266/2005;

2. la Corte territoriale ha accertato che il C. durante il servizio di leva obbligatoria, nonostante avesse segnalato la preesistenza di una patologia al rachide, fosse stato sottoposto ad addestramenti che avevano determinato un notevole aggravamento della patologia, esitato nel riconoscimento di una condizione di permanente invalidità e nella concessione della pensione privilegiata;

3. ha escluso che tali esercitazioni, consistenti in ordinarie attività di allenamento, potessero essere equiparate alle “missioni di qualunque natura” oppure che integrassero “straordinarie condizioni ambientali e operative” di cui all’art. 1, comma 564 cit.;

4. avverso tale sentenza C.M. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo; il Ministero della Difesa e il Ministero dell’Interno sono rimasti intimati;

5. la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale;

6. la difesa del C. ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Considerato che

7. con l’unico motivo di ricorso C.M. ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1, commi 564, l. n. 266/05 e dell’art. 1, lett. c), D.P.R. n. 243/06;

8. ha sostenuto come la sentenza impugnata avesse errato nell’adottare una nozione oggettiva di “particolari condizioni ambientali e operative”, parametrata alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti d’istituto da parte di soggetti idonei, laddove avrebbe dovuto considerare che lo svolgimento di quei medesimi compiti comportava per il C., affetto da patologia al rachide, fatiche ben superiori;

9. il motivo è infondato

10. l’art. 1, comma 563, della legge 266/05 stabilisce: “Per vittime del dovere devono intendersi i soggetti di cui all’articolo 3 della legge 13 agosto 1980, n. 466, e, in genere, gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un’invalidità permanente in attività di servizio o nell’espletamento delle funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi: a) nel contrasto ad ogni tipo di criminalità; b) nello svolgimento di servizi di ordine pubblico; c) nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari; d) in operazioni di soccorso; e) in attività di tutela della pubblica incolumità; f) a causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego internazionale non aventi, necessariamente, caratteristiche di ostilità”;

11. il successivo comma 564 equipara ai soggetti di cui al comma 563 “coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative”;

12. il comma 565 affida ad un regolamento da emanare entro novanta giorni il compito di disciplinare i termini e le modalità per la corresponsione delle provvidenze ai soggetti prima indicati o ai familiari superstiti;

13. il regolamento è stato emanato con d.P.R. n. 243/2006 e all’art. 1 ha stabilito: “Ai fini del presente regolamento, si intendono … b) per missioni di qualunque natura, le missioni, quali che ne siano gli scopi, autorizzate dall’autorità gerarchicamente o funzionalmente sopraordinata al dipendente; c) per particolari condizioni ambientali od operative, le condizioni comunque implicanti l’esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto”;

14. questa Corte di legittimità ha sottolineato la portata estensiva dell’espressione usata dal legislatore nell’art. 1, comma 564 cit., “missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali”, come riferita a tutti i compiti e le attività istituzionali svolte dal personale militare, che si attuano nello svolgimento di funzioni o compiti operativi, addestrativi o logistici sui mezzi o nell’ambito di strutture, stabilimenti e siti militari, dentro o fuori dai confini nazionali (Cass. n. 24592 del 2018) ed ha ricompreso nel concetto di missione, ad esempio, la partecipazione del militare di leva ad una esercitazione nel corso del periodo di addestramento (così Cass., S.U. n. 23396 del 2016; SU n. 15055 del 2017);

15. nel delineare l’ulteriore requisito delle “particolari condizioni ambientali od operative”, esplicitato dal d.P.R. del 2006 con riferimento alle “circostanze straordinarie”, la giurisprudenza ha fatto leva sul significato dei termini “particolare” e “straordinario”, intesi come fuori dal comune e dall’ordinario, relativi a ciò che devia rispetto alla normalità e al rischio proprio, prevedibile, connaturato all’andamento regolare e corretto delle attività di servizio;

16. ha quindi ritenuto integrato tale requisito nel caso in cui i compiti rientranti nella normale attività d’istituto, svolti in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, si fossero complicati per l’esistenza o per il sopravvenire di circostanze o eventi straordinari ulteriori rispetto al rischio tipico ontologicamente e ordinariamente connesso a dette attività; in particolare, si è sostenuto che la particolarità delle condizioni ambientali ed operative potesse consistere “anche in una situazione venutasi a creare nel corso della missione e non preventivamente determinata”, causata da “un grave errore organizzativo” e quindi dalla negligente o imprudente organizzazione del servizio da parte dell’amministrazione militare (cfr. Cass., S.U., n. 23396 del 2016; S.U. n, 759 del 2017; S.U. n. 15055 del 2017);

17. le pronunce finora richiamate, in coerenza col tenore letterale e con la ratio delle disposizioni in esame, hanno identificato le particolari condizioni ambientali ed operative in situazione oggettive, legate a circostanze o eventi straordinari, preesistenti o sopravvenuti, sia pure riconducibili a comportamenti negligenti ed imprudenti di terzi, ma comunque tali da amplificare il pericolo connesso ai normali compiti di servizio;

18. la Corte territoriale si è attenuta a tali principi ed ha correttamente interpretato ed applicato le disposizioni in esame laddove ha escluso che la categoria delle “particolari condizioni ambientali ed operative” potesse essere estesa fino a comprendere lo svolgimento di compiti ordinari di servizio che avesse causato, in ragione delle pregresse condizioni patologiche del soggetto, una infermità permanente; laddove peraltro, nel caso in esame, difetta del tutto qualsiasi rilievo di illegittimità della dichiarazione di idoneità al servizio obbligatorio di leva, che si assume incompatibile ex ante con le predette patologie;

19. deve quindi escludersi la violazione di legge denunciata;

20. ne discende il rigetto del ricorso;

21. non luogo a provvedere sulle spese poiché le controparti sono rimaste intimate;

22. è dovuto il versamento d’un ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dall’art. 13, comma 1-quater, d.p.r. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. n. 228 del 2012, in ragione della natura della pronuncia.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

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