Periodico di informazione delle Forze Armate, Forze di Polizia e Pubblico Impiego

La Corte Costituzionale, con la sentenza del 3 marzo 2021, n. 38, ha ritenuto fondata la questione di legittimità sollevata nei confronti dell’articolo 68, comma 3 del d.P.R. n. 3/1957, nella parte in cui non esclude dal computo dei diciotto mesi di assenza per malattia i giorni di ricovero ospedaliero o di day hospital e quelli di assenza dovuti alle conseguenze delle cure, qualora un lavoratore sia affetto da gravi patologie che richiedano terapie invalidanti, in via temporanea o parziale.

La malattia

L’argomentazione proposta dalla Consulta inquadra anzitutto, per i dipendenti pubblici e privati, la malattia, in quanto causa di sospensione del rapporto di lavoro, come disciplinata dall’articolo 2110 del codice civile; tale disposizione tutela in via di principio la conservazione del posto di lavoro e il relativo trattamento economico, rinviando però al contratto o ad altre diposizioni di legge per gli aspetti più specifici del rapporto. È ben possibile dunque, osserva la Corte, che fa le due discipline emergano differenze anche sostanziali. Ciò però non comporta una lesione del principio di uguaglianza ex articolo 3 Cost.: i due tipi di rapporti lavorativi hanno sviluppato nel corso del tempo caratteristiche tali da cagionare una forte differenziazione nella disciplina, e ciò è ancora più evidente nel caso concreto. Dunque, non è parso possibile alla Corte operare una comparazione efficace tra le due fattispecie.

La decisione

Tuttavia, il mancato riconoscimento del periodo di comporto implica, secondo il Collegio, una intrinseca irrazionalità che sfocia in una violazione del citato articolo 3: la norma espone il ritardo storico del legislatore nei confronti della contrattazione, che, da parte sua, ha invece tenuto conto del progressivo sviluppo dei protocolli di cura e delle cosiddette terapie salvavita:  la disciplina normativa sconta infatti una certa arretratezza nella formulazione e della stessa ratio sottostante, comprensibile considerando la oramai lontana epoca di emanazione. La Corte ha infine rigettato la ricostruzione proposta dalla difesa dello Stato, secondo cui andrebbe “considerato l’interesse datoriale a potersi valere della prestazione lavorativa, che è resa anche allo scopo di realizzare finalità e valori costituzionalmente tutelati, connessi alla promozione e allo sviluppo della ricerca quali interessi primari dello Stato, come sancito dagli artt. 9 e 33 Cost.” Infatti, i valori protetti da questi articoli sono di certo meritevoli della massima considerazione, ma non possono in nessun caso costituire un ostacolo alla stabilità del rapporto di lavoro. (www.ilpersonale.it)

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