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Sono 5.200 i dipendenti pubblici, tra i 65 anni (limite ordinamentale) e 66 anni e tre mesi (requisito per la vecchiaia), messi in pensionamento obbligatorio da quanto è saltato, un anno fa, il trattenimento in servizio. Lo rilevano le tabelle del ministero P.A, presentate in commissione Lavoro alla Camera. I lavoratori usciti sotto i 40 anni di anzianità sono un terzo, appena 4 quelli sotto i 30 anni. Il ministero ha fornito anche i dati del personale pensionato in base alle regole pre-Fornero: quasi 3mila dipendenti.
A fare le cifre è il sottosegretario alla Pubblica Amministrazione, Angelo Rughetti, in risposta all'interrogazione della deputata Marialuisa Gnecchi (Pd), per conoscere quanti dipendenti pubblici siano stati sottoposti alla risoluzione del rapporto di lavoro, con conseguente "pensionamento coatto" dopo aver raggiunto il limite ordinamentale dei 65 anni di età. Per Gnecchi la questione sta nel capire quanti lavoratori, specie donne, siano usciti pur avendo una bassa contribuzione e quindi un assegno più leggero. Rughetti specifica, come riporta il Bollettino della Camera, che i numeri "sono stati forniti dall'Inps" e riguardano i lavoratori "iscritti alle gestioni pubbliche e cessati dopo il 31 ottobre 2014", quando è entrato in vigore il combinato disposto delle misure previste dal dl Madia, ovvero l'abolizione del trattenimento in servizio e il pensionamento d'ufficio (risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro).
Il sottosegretario chiarisce come ad andare a 65 anni esatti di età siano stati "1.337 uomini (su 2.044) e 857 donne (su 3.157)". A questi si aggiungono 2.984 pensionamenti avvenuti con i vecchi requisiti (con 61 anni di età e tre mesi, e 36 anni di contributi o le quote 96), per far fronte, ricorda Rughetti, alle "eccedenze di personale", in virtù della Spending Review. Anche in questo caso, stando ai dati presentati, quanti fatti uscire con meno di 30 anni di contributi risultano una minoranza