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La Corte di Appello di Lecce, con sentenza n. 187/2020, ha riconosciuto ad un lavoratore civile dell’Arsenale della Marina Militare i benefici delle “vittime del dovere”, ammalatosi per esposizione prolungata all’amianto, anche se non ha compiuto alcuna “missione” all’estero od in patria. Il verdetto di secondo grado ha offerto una interpretazione estensiva della definizione di “missione”, presupposto previsto dalla normativa vigente, per il riconoscimento dei benefici previsti per le vittime del dovere. La Corte d’Appello ha, infatti, affermato che il lavoratore, pur non ufficialmente in “missione”, ha esercitato le sue funzioni in un ambiente in cui l’esposizione ad amianto gli ha causato l’insorgenza di una malattia professionale.
La recente sentenza del 21 febbraio scorso fa il punto su una problematica molto dibattuta nella giurisprudenza, vale a dire se ad un dipendente civile del Ministero della Difesa, che svolga attività “ordinarie” e durante le quali abbia contratto una malattia professionale, spetti anche lo speciale beneficio del riconoscimento delle prestazioni per le ”vittime del dovere”, e se tale beneficio possa essere cumulato con altre prestazioni.
A difendere gli interessi dei familiari del lavoratore deceduto (un operaio civile elettricista e circuista a bordo di unità navali dell’Arsenale della Marina Militare di Taranto, deceduto per mesotelioma pleurico causato dalla esposizione ad amianto a cui era esposto mentre era in servizio) è stato nominato l’avv. Massimiliano del Vecchio, consulente legale dell’Area Danni da Lavoro dell’Inca Nazionale, il quale, facendo propri i principi di diritto espressi in due recenti sentenze di Cassazione (S.U. n. 759/2017; Cass. n. 4238/2019) è riuscito a far ottenere ai parenti del lavoratore deceduto la effettiva ed integrale riparazione ad ogni pregiudizio sofferto.
Nello specifico, i familiari del lavoratore deceduto avevano proposto appello incidentale avverso la sentenza del Tribunale di Taranto, la quale non riteneva estendibile al de cuius i benefici per le c.d. “vittime del dovere”, non ritenendo liquidabile la prestazione per difetto del presupposto di riconducibilità del decesso ad una “missione”, laddove invece nella fattispecie veniva in rilievo l’ordinaria attività di operaio civile elettricista prestata dal deceduto a bordo delle navi.
In sede di gravame, la Corte di Appello ha invece rigettato questa interpretazione restrittiva, recependo integralmente l’indirizzo della giurisprudenza della Suprema Corte richiamata dall’appellante incidentale.
La giurisprudenza più recente ha infatti di molto dilatato il concetto di “missione” (presupposto per l’ottenimento del beneficio) soprattutto nell’interpretare quel “missioni di qualunque natura” presente nel dettato normativo (art 1 c. 564 l.n. 266/2005): “…il concetto di “missione di qualunque natura” deve essere correlato sia ad un’attività di particolare importanza, connotata da caratteri di straordinarietà o di specialità; sia ad un attività che tale non sia e risulti del tutto “ordinaria” e “normale, cioè, in definitiva, rappresenti un “compito”, l’espletamento di una “funzione” di un “incarico”, di una “incombenza” di una “mansione” che siano dovuti dal soggetto nel quadro di una attività espletata” (Cass. S.U. n.759/2017). Tale estensione deve però trovare un limite nella condizione ambientale ed operativa: questa deve essere “particolare” ovvero collocarsi al di fuori dell’ordinario svolgimento dell’attività “generale”.
Fatta questa analisi, appena due anni dopo la S.C. ha ulteriormente specificato il punto (S.C. 4238/2019), statuendo che la protratta esposizione ad una sostanza nociva nel corso della vita lavorativa non può e non deve considerarsi “normale”.
Dalla lettura di questa giurisprudenza, la Corte di Appello di Lecce non poteva che statuire quanto segue: al lavoratore civile dell’Arsenale della Marina Militare spetta il riconoscimento dei benefici delle “vittime del dovere” in quanto, pur non avendo compiuto alcuna “missione” all’estero od in patria, ha esercitato le sue funzioni in un ambiente in cui l’esposizione ad amianto gli ha causato l’insorgenza di una malattia professionale.
Peraltro, tale prestazione è compatibile con altre, in quanto la prestazione liquidabile alle vittime del dovere costituisce un beneficio assistenziale, e quindi ha natura diversa dalla rendita Inail, che costituisce un indennizzo di natura previdenziale, e dal risarcimento civilistico, che presuppone l’individuazione del soggetto che ha determinato la patologia contratta: in questo caso, infatti si è dovuto meramente ricercare la configurabilità del diritto al beneficio in riferimento alle mansioni assolte dalla vittima in un contesto ambientale pericoloso.
“La sentenza della Corte di Appello di Lecce-commenta l’Inca nazionale-dimostra come sia necessario a volte il secondo grado di giudizio per poter attribuire ad una vittima del lavoro l’integralità dei diritti ad essa spettante. L’Inca, attraverso la preziosa collaborazione dei suoi legali, ha da sempre proposto una lettura costituzionalmente orientata del dettato normativo e, avvalendosi della giurisprudenza più recente (che ha spesso ampliato gli ambiti della tutela nei confronti dei lavoratori) ha ottenuto risultati importanti. Questa sentenza, ottenuta grazie al decisivo apporto dell’Avv. Del Vecchio, è significativa in tal senso, ed attesta quanto sia necessaria una efficacia tutela in sede giudiziale per l’ottenimento della integrale riparazione ad ogni pregiudizio sofferto, dal lavoratore e dai suoi cari”.