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L'opzione sarà preclusa ai lavoratori del pubblico impiego e ai lavoratori domestici e del settore agricolo. Chi opera per la liquidazione mensile del TFR sarà vincolato alla sua decisione fino alla scadenza del triennio.
Via libera definitiva all'anticipo del TFR in busta paga. la misura contenuta nel disegno di legge di stabilità che prevede in via sperimentale, per i periodi tra il primo marzo 2015 e il 30 giugno 2018, che i lavoratori dipendenti del settore privato possono richiedere di percepire in busta paga, come parte integrativa della retribuzione, le quote maturande del TFR. La scelta può essere effettuata da tutti i dipendenti di datori di lavoro privati, i quali abbiano una anzianità di servizio presso lo stesso datore di lavoro di almeno 6 mesi ad esclusione però dei lavoratori domestici e del settore agricolo. Una volta effettuata la scelta il vincolo sarà triennale ed irrevocabile.
L'operazione comporterà tuttavia che tali somme saranno soggette a tassazione ordinaria e non separata. Di conseguenza, immaginando una aliquota marginale media del 27 per cento, per ogni 100.000 euro corrisposti ai dipendenti lo Stato chiederà 27.000 euro di imposte. A guadagnarci dunque, oltre che i lavoratori, sarà soprattutto lo stato considerato infatti che se il TFR restasse in azienda, o venisse trasferito alla tesoreria dell'Inps o alla previdenza complementare, le entrate dello Stato si attesterebbero ad un livello molto più basso.
Da un punto di vista reddituale inoltre la misura dovrebbe comportare diversi effetti per il lavoratore. Infatti le elargizioni saranno cumulate con il reddito del periodo d'imposta che quindi, come già anticipato, sarà tassato in modo ordinario, incidendo altresì sulla determinazione delle detrazioni d'imposta, degli assegni familiari e dell'ISEE. La somma sarà tuttavia esclusa dal reddito complessivo valutabile ai fini della percezione del bonus di 80 euro, anch'esso confermato nella legge di stabilità. Il TFR in busta paga inoltre non sarà soggetto a contribuzione previdenziale.
L'opzione sarà disponibile anche per i lavoratori che stanno versando il TFR in un fondo di previdenza complementare. Durante quel periodo, quindi, l'accantonamento al Fondo sarà costituito solo dal contributo del dipendente e del datore di lavoro mentre la quota del TFR finirà in busta paga del prestatore.
La scelta comunque è irrevocabile fino al 30 giugno 2018. Di conseguenza il lavoratore che abbia scelto di avere il TFR in busta paga non potrà, prima di tale data, tornare sui suoi passi (anche se resta da comprendere cosa accadrà se questi dovesse cambiare lavoro). Per i lavoratori che non chiederanno la liquidazione mensile in busta paga del TFR rimarranno in vigore le previgenti scelte, cioè il trasferimento della somme al fondo pensione sia con modalità esplicita che tacita, oppure il suo mantenimento in azienda sino alla cessazione del rapporto di lavoro.
Dal punto di vista dei datori di lavoro, la scelta dei dipendenti avrà conseguenze soprattutto per le aziende con meno di 50 addetti, che oggi, com'è noto, accantonano il TFR se il dipendente non lo devolve presso un fondo di previdenza complementare. Le aziende più grandi, infatti, lo devolvono comunque ad un fondo presso l'Inps. Ebbene nel caso in cui lavoratore scelga di incassare subito il TFR in busta paga, l'impresa potrà scegliere se pagarlo direttamente oppure accedere ad un finanziamento assistito la garanzia rilasciata da un fondo specifico istituito presso l'Inps e a quella dello Stato. Il finanziamento sarà elargito da una banca aderente all'accordo tra ministeri e ABI (l'Associazione Bancaria Italiana) ad un tasso non superiore a quello di rivalutazione del TFR. Per conseguire il prestito le aziende dovranno versare al fondo, tuttavia, un contributo mensile pari allo 0,2 per cento della retribuzione imponibile a fini previdenziali del dipendente. I dettagli circa il funzionamento di questo sistema di sperimentazione saranno meglio resi noti, comunque, con un decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
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