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La Corte di Cassazione, alla luce dei recenti interventi legislativi, ricorda che l’esercizio della facoltà, spettante all’Ente pubblico, di collocare a riposo un dipendente in possesso dei requisiti di anzianità ma non di quelli di età, può essere esercitato soltanto su richiesta del lavoratore stesso o comunque nel rispetto legalità, imparzialità e buon andamento dell’organizzazione. In particolare, il dipendente che voglia rimanere in servizio pur avendo maturato l’anzianità massima contributiva di 40 anni, può quindi pretendere dall’amministrazione un’idonea motivazione, sulla quale poi poter esercitare un controllo di legalità circa l’appropriatezza della facoltà di risoluzione esercitata rispetto alla finalità di riorganizzazione perseguita dall’ente datore di lavoro.

 
Con la sentenza n. 18099 del 14 settembre 2016, la Corte di Cassazione ha enunciato il principio secondo il quale l’Ente pubblico non può collocare forzatamente a riposo il dipendente pubblico che, pur avendo raggiunto l’anzianità massima contributiva, non ha ancora compiuto 65 anni di età.
Il solo possesso dei requisiti soggettivi ed oggettivi infatti non è sufficiente a disattendere la richiesta, avanzata dal dipendente, di trattenimento in servizio.

Anzianità contributiva e anagrafica

La riflessione della Suprema Corte muove dalla considerazione che la facoltà prevista in capo al datore di lavoro pubblico di risolvere il rapporto di lavoro al raggiungimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni deve comunque essere esercitata su richiesta dell’interessato eprima del compimento dell’età massima anagrafica.

Obbligo di motivazione da parte della PA

La determinazione dell’Ente deve altresì tenere in considerazione la struttura e la dimensione dell’organizzazione ed applicare principi di buona fede, correttezza, imparzialità e buon andamento.
Tenuto conto dei recenti interventi normativi e della circolare n. 2/ 2015 siglata dal ministro Madia per la semplificazione e la pubblica amministrazione, appare evidente che il dipendente chevoglia rimanere in servizio pur avendo maturato l’anzianità massima contributiva di 40 anni, può quindi pretendere dall’amministrazione un’idonea motivazione, sulla quale poi poter esercitare un controllo di legalità circa l’appropriatezza della facoltà di risoluzione esercitata rispetto allafinalità di riorganizzazione perseguita dall’ente datore di lavoro.
 
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