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Come si giustifica il fatto che gli attuali giudici della Corte Costituzionale prendano un stipendio di 360 mila euro l'anno, che, se non è il doppio di quello della Merkel, poco ci manca? A conti fatti, stiamo parlando di stipendi da mille euro al giorno per i 15 giudici costituzionali (ora sono 14, visto che da mesi i partiti non trovano l'accordo sul nome mancante). Giudici che alla fine del mandato di nove anni ricevono una liquidazione che può arrivare a 900 mila euro e una pensione di 20 mila euro al mese.********************************************************
La cancelliera Angela Merkel, per il suo incarico, riceve uno stipendio di 18.820 euro al mese, pari a 220.656 euro l'anno. Donald Trump, come aveva promesso in campagna elettorale, ha rinunciato allo stipendio presidenziale Usa di 400 mila dollari l'anno e, ricco di suo com'è, si è assegnato un compenso di un solo dollaro l'anno. In Italia, Sergio Mattarella, presidente della Repubblica, dal maggio 2015 riceve uno stipendio di 240 mila euro l'anno, che è il tetto massimo per il pubblico impiego introdotto dal governo di Matteo Renzi. Quest'ultimo, quando era a Palazzo Chigi, dichiarava un reddito di 112.804 euro l'anno, pari a 9.400 lordi al mese. Il successore, Paolo Gentiloni, un po' meno: 109.607 euro lordi nel 2016, poco più di 9.130 lordi al mese.
A questo punto è inevitabile una domanda: come si giustifica il fatto che gli attuali giudici della Corte Costituzionale prendano un stipendio di 360 mila euro l'anno, che, se non è il doppio di quello della Merkel, poco ci manca? A conti fatti, stiamo parlando di stipendi da mille euro al giorno per i 15 giudici costituzionali (ora sono 14, visto che da mesi i partiti non trovano l'accordo sul nome mancante). Giudici che alla fine del mandato di nove anni ricevono una liquidazione che può arrivare a 900 mila euro e una pensione di 20 mila euro al mese. L'economista Roberto Perotti, docente alla Bocconi (vedi ItaliaOggi di ieri), giudica «scandalosi» questi stipendi e queste pensioni, i cui importi sono rimasti nascosti per anni dentro bilanci a dir poco opachi. Ma al di là della polemica sui numeri, simili privilegi impongono anche alcune riflessioni politiche.
L'Italia ha un debito pubblico che supera il 130% del pil, e da anni, quasi ogni settimana, le istituzioni europee e mondiali di cui l'Italia fa parte (Fondo monetario internazionale, Banca centrale europea, Unione europea) sollecitano il nostro Paese a tagliare in modo netto e credibile questo debito, vera palla al piede dello sviluppo e della crescita. Infatti, per il Tesoro, un conto è pagare gli interessi su un debito superiore al pil (servono almeno 80 miliardi l'anno), altra cosa sarebbe pagarli su un debito più contenuto, magari sotto il 100% del pil, essendo una pura chimera il traguardo del 60% indicato nel Trattato di Maastricht e, ora, anche dal Fiscal compact. Tagliando il debito, il Tesoro potrebbe risparmiare alcune decine di miliardi l'anno, da destinare a investimenti e sviluppo. Elementare Watson.
Purtroppo, nonostante l'impegno iniziale di Renzi (almeno questo gli va riconosciuto), di questi tagli se ne sono visti ben pochi. Le collaborazioni sono state scarse, soprattutto ai vertici della Repubblica. Il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, com'è suo costume, ha fatto il pesce in barile. E se si esclude il presidente Mattarella, che si è immediatamente ridotto l'assegno quirinalizio, tutte le burocrazie degli organi costituzionali (in testa la Consulta) hanno alzato un muro invalicabile, a protezione di privilegi che non hanno eguali al mondo. In uno studio recente, il bocconiano Perotti ricordava che, a fronte dei 360 mila euro di stipendio dei giudici costituzionali italiani, i loro omologhi Usa ne prendono 166 mila (meno della metà), quelli inglesi 217 mila (143 mila in meno) e quelli canadesi 234 mila (126 mila in meno).
Una simile difesa dei privilegi è stata possibile in quanto la legge sulla spending review varata dal governo Renzi, con il tetto a 240 mila euro per gli stipendi, non era vincolante per gli organi costituzionali (senato, camera dei deputati, Consulta), i quali si possono autoregolamentare in tutto, a cominciare da stipendi e pensioni. Tale principio è stato ribadito da una sentenza della stessa Consulta, che nel maggio 2017 ha approvato sì il tetto di 240 mila euro, ma solo se riferito ai dirigenti pubblici, e non alle magistrature. Sentenza giunta dopo che i giudici della Consulta, con una spending review all'acqua di rose, si erano ridotti lo stipendio di 105 mila euro l'anno, portandolo da 465 mila a 360 mila euro. Vale a dire circa mille euro al giorno, festivi compresi. E se ne sono pure vantati, sostenendo che la loro è stata una spending review virtuosa.
Purtroppo, sono scelte come questa, firmata e difesa dal massimo organo di garanzia costituzionale, che spiegano come mai sia così difficile in Italia incidere sul bubbone della spesa pubblica parassitaria e improduttiva. Una scelta suicida sul piano dell'immagine internazionale, un pessimo biglietto da visita per il nostro Paese, che autorizza i falchi europei del rigore e il Fondo monetario a continui rimproveri e avvertimenti, che prima o poi (complice il Fiscal compact, che tra poco entrerà nella legislazione Ue) potrebbero tradursi in un commissariamento finanziario dell'Italia. È davvero questo che vogliono i giudici della Consulta?
(Fonte: Italia Oggi)