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Intervista del ministro della Difesa al Corriere della Sera. "Gli Usa ci chiedono di più? Le missioni vanno rivalutate. L'Italia farà di tutto per avvicinarsi al 2% di spesa per la Difesa, ma va rivisto l’algoritmo"
«L’Italia – dice il ministro della Difesa Roberta Pinotti – sta lavorando attraverso i canali politici e diplomatici per arrivare, speriamo in tempi brevi, a una soluzione condivisa con la Turchia. In primo luogo attraverso la Farnesina naturalmente, ma ciascuno di noi sostiene lo sforzo con i rispettivi interlocutori. Ho già visto brevemente a Roma il collega turco Canikli e lo rivedo domani qui a Bruxelles per una bilaterale programmata da tempo. Mi sembra di capire che anche dal punto di vista di Ankara ci sia la volontà di arrivare a una soluzione. Mi auguro che avendo comunque Italia e Turchia rapporti storicamente importanti, si trovi una via d’uscita. La cosa non è nelle mani dei ministri della Difesa, che possono soltanto dare un contributo su un piano diverso».
Avete l’impressione che Erdogan voglia usare la crisi di Cipro per strappare concessioni all’Ue?
«Dagli incontri non ho tratto elementi per convalidare questa ipotesi».
Sempre sul tema Turchia: è stata oggetto di discussione nella riunione della coalizione anti-Isis la campagna militare turca contro i curdi in Siria?
«È stato solo ribadito quanto già detto in una precedente riunione della coalizione anti-Isis: da un lato viene riconosciuto il prezzo altissimo pagato da Ankara al terrorismo e il fatto che considera contigue ai terroristi alcune formazioni che combattono in Siria. Ma dall’altro occorre anche riconoscere il ruolo svolto dai curdi nel contrasto all’Isis. Il clima della discussione è stato civile, anche se franco».
Una richiesta degli Usa agli europei è di riprendersi i foreign fighter islamici catturati in Siria e Iraq. In che termini è stata formulata ed è vero che ci sono resistenze, come riportava un giornale americano?
«Il tema è stato introdotto. C’è stato un avvio di discussione su aspetti che dovranno essere approfonditi. Alcuni partner, americani e inglesi, hanno posto il problema di come assicurarli alla giustizia. C’è stato invece un dibattito strategico sulla Siria e soprattutto sull’Iraq, dove il Califfato è stato estirpato e dove occorre decidere che fare ora che si è ripreso il controllo del territorio. Si è parlato specificamente della stabilizzazione e l’addestramento fatto dalle nostre forze armate e in particolare dai carabinieri per la creazione delle forze di sicurezza è stato proposto come un modello da estendere. L’altro grande tema è quello della ricostruzione, ci sono quasi tre milioni di profughi che sono rientrati».
Cosa chiedono gli alleati americani all’Italia sull’Afghanistan?
«Ci è stato chiesto di rimanere. Noi abbiamo spiegato a Mattis che abbiamo bisogno che altri Paesi alleati possano condividere parte della nostra responsabilità nell’area occidentale del Paese. Abbiamo davanti a noi altre emergenze in Africa e nel Mediterraneo e dobbiamo distribuire meglio le nostre forze. Gli americani si sono dimostrati molto disponibili».
E in Siria?
«Non ci sono state richieste. Avevamo discusso mesi fa della possibilità di estendere anche in Siria l’addestramento delle forze di polizia, ma la nostra posizione è chiara: fin quando la situazione resta incerta dal punto di vista politico oltre che militare, la decisione rimane quella di appoggiare la coalizione dall’Iraq, dove, dopo gli Stati Uniti, nessuno ha messo tante forze come noi».
Il segretario generale della Nato oggi ha ribadito che gli alleati dovrebbero spendere di più per la Difesa. L’Italia è uno dei Paesi ancora lontani dal famoso 2%.
Intervista del ministro della Difesa al Corriere della Sera. "Gli Usa ci chiedono di più? Le missioni vanno rivalutate. L'Italia farà di tutto per avvicinarsi al 2% di spesa per la Difesa, ma va rivisto l’algoritmo"
«L’obiettivo del 2% è per il 2024 e l’Italia intende continuare su questa strada di responsabilità, tenendo conto anche delle condizioni di crescita del Paese. Ma bisognerà anche trovare un sistema per calcolare il peso delle missioni nell’ambito delle tre c , cioè capacità, cash e contribution, che poi è la presenza nelle missioni. Oggi quest’ultima non viene calcolata, ma dopo gli Stati Uniti, noi e la Germania siamo i Paesi che contribuiscono di più. Questo è stato riconosciuto nella discussione e sia Stoltenberg che Mattis hanno detto che entro il vertice di luglio occorrerà mettere a punto un sistema per misurare la partecipazione alle missioni».
Quali preoccupazioni le sono state espresse sulla continuità della politica estera e di difesa italiana, alla luce delle imminenti elezioni e di un risultato che appare molto aperto?
«La domanda su cosa succederà dopo il 4 marzo è stata fatta da tutti i miei interlocutori. In questi 4 anni abbiamo lavorato in grande sintonia con gli alleati su vari fronti, Nato, difesa europea, coalizione anti-terrorismo. E tutti si chiedono se sarà ancora così. Io ho detto che su Esteri e Difesa l’Italia ha sempre mostrato continuità e linearità. E non ci sarà un salto nel buio, che comporti un altro posizionamento del nostro Paese nelle scelte internazionali. Ci potranno essere accenti diversi, ma i fondamentali di un grande Paese non cambiano. E l’Italia è un grande Paese».
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