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Anche per il 2024 l’ipotesi che si fa strada è quella di confermare lo stanziamento di un miliardo (più altri 800 milioni per enti locali e sanità), che ha consentito un aumento per tutto quest’anno dell’1,5 per cento per tredici mensilità. A far capire che l’ipotesi più probabile sia questa, è stata la relazione sul coordinamento della finanza pubblica presentata dalla Corte dei Conti. “In attesa dei fondi per il rinnovo dei contratti scaduti nel 2021”, si legge nel documento, “a fine anno si esaurisce l’una tantum da un miliardo (più 800 milioni negli enti locali e in sanità) che, per il solo 2023, ha offerto un aumento lineare dell’1,5 per cento agli stipendi nella PA. A fronte delle elevate stime previste per il recupero dell’inflazione e del persistere della dinamica dei prezzi core oltre le attese”, dicono i magistrati contabili, “appare difficile non prevederne l’estensione”.
La questione è abbastanza semplice. Nelle settimane scorse il ministro per la Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo, aveva spiegato che per rinnovare i contratti pubblici scaduti ormai dal 2021, sarebbero stati necessari almeno 7-8 miliardi di euro. E per lasciare una porta aperta, aveva anche fatto inserire una frase all’interno dell’ultimo Def, il documento di economia e finanza, per dare una corsia preferenziale ai fondi per il pubblico impiego. Man mano però che il tempo passa, la strada appare sempre più in salita. Dal ministro del Tesoro si moltiplicano gli appelli a tenere ben stretti i cordoni della borsa, anche perché il prossimo anno tornerà il Patto di Stabilità e se l’Italia non rispetterà i parametri, rischierà di finire sotto una procedura d’infrazione da parte di Bruxelles. In quest’ottica quella del 2024 inizia a conformarsi coma una manovra di “proroghe”. Proroga per il taglio del cuneo fiscale (che da solo vale 10 miliardi), proroga per Quota 103 (il pensionamento con 62 anni e 41 di contributi), proroga per l’una tantum per i dipendenti pubblici.
L’ARAN
Probabilmente non è un caso che l’Aran abbia avviato una sorta di “operazione verità”, dal suo punto di vista ovviamente, sui livelli degli stipendi pubblici. La tesi sostenuta è che i funzionari pubblici, con i loro 31.700 euro di stipendio annuo medio, guadagnino più della media degli impiegati privati e non siano nemmeno tanto lontani dai settori storicamente più “appetibili” per i lavoratori, come quello bancario o energetico. L’altro elemento è che i dipendenti pubblici in questi anni avrebbero avuto aumenti più consistenti dei loro pari grado privati. Al di là dei dati, l’impressione è un tentativo di iniziare a preparare il terreno per l’amara pillola di un rinvio della contrattazione che sarà difficile finanziare nella prossima manovra. Dunque resterà, come dice la Corte dei Conti, solo la “una tantum” anche per il 2024.
I MINI AUMENTI
Di quanti soldi parliamo per i lavoratori? Praticamente nulla, visto che fino a dicembre la una tantum sarà pagata. In realtà se venisse meno, e non ci fosse il rinnovo del contratto, i dipendenti pubblici soffrirebbero dal primo gennaio prossimo un taglio dello stipendio. I calcoli sono quelli della Ragioneria generale dello Stato. Per esempio, a un dirigente di prima fascia perderebbe 66,80 euro al mese, mentre per uno di seconda fascia si tratterebbe di circa 52 euro. La busta paga di un ispettore generale subirebbe un decremento di 44,72 euro. Un funzionario di terza area, fascia sette, avrebbe 43,91 euro meno, che diventano poco più di 29 per un funzionario di terza area in fascia uno. Per quanto riguarda le forze dell’ordine e i militari: un commissario capo della Polizia di Stato riceverebbe in ciascuna delle tredici mensilità 34,46 euro in meno, mentre un agente si fermerebbe a 24,10.
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