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L'abrogazione dell'indennizzo per la dipendenza dell'infermità da causa di servizio, disposta dal decreto Salva Italia, non si applica ai procedimenti pendenti alla data in vigore del decreto, ovvero il 6 dicembre 2011. La ratio della nuova normativa, volta a equiparare lavoratori pubblici e privati in un'ottica di contenimento di spesa, non consente un'applicazione retroattiva della normativa, se ciò non è espressamente previsto. Questo è quanto emerge dauna recente sentenza della Cassazione .
Il caso
Protagonista della vicenda è un ex dipendente Inpdap, il quale rappresentava l'ente in contenziosi giudiziari nelle fasi di merito, con compiti altresì di responsabile della sicurezza e di componente del servizio autonomo attività ispettive e di componente per le procedure di delegificazione. In considerazione dell'altissimo carico di lavoro espletato, il lavoratore si ammalava di coronaropatia e chiedeva all'ente il riconoscimento dell'equo indennizzo dipendente dall'infermità da causa di servizio. Dopo la risposta negativa da parte dell'Istituto, la questione finiva dinanzi ai giudici che, sia in primo che in secondo grado, concedevano l'equo indennizzo in considerazione del forte stress causato dalla «abnorme responsabilità assunta» dal dipendente pubblico.
In Cassazione l'Inps, succeduta all'ex Inpdap, riteneva però che il quadro normativo di riferimento nelle more del giudizio fosse cambiato: l'articolo 6 del decreto Salva Italia (Dl n. 201/2011) aveva abrogato l'istituto dell'equo indennizzo per la dipendenza dell'infermità da causa di servizio, equiparando la tutela dei lavoratori pubblici a quelli privati, con l'eliminazione del trattamento più favorevole per i primi rispetto ai secondi. Per l'ente previdenziale, poi, tale nuova normativa doveva conseguentemente applicarsi anche ai procedimenti giudiziari in corso con il solo limite del giudicato.
La decisione
I giudici di legittimità, tuttavia, non accolgono il ricorso e bocciano la tesi dell'applicabilità dello jus superveniens anche al giudizio in esame. Il Collegio spiega, infatti, che il decreto Salva Italia ha soppresso l'indennizzo per la malattia professionale, tranne alcune ipotesi eccezionali, precisando che l'abrogazione non si applica ai procedimenti in corso o a quelli per i quali non sia scaduto il termine per la presentazione della domanda. Tale deroga, dunque, non consente interpretazioni volte a estendere retroattivamente la normativa. Il legislatore avrebbe dovuto, cioè, prevedere espressamente che la nuova disposizione si applicasse anche ai procedimenti non ancora definiti, mentre la sola ratio della novella legislativa, ovvero l'armonizzazione delle tutele e il contenimento della spesa sociale, non basta per estendere l'effetto abrogativo all'entrata in vigore del decreto medesimo. In sostanza, afferma la Suprema Corte, «la disposizione regolatrice dei diritti dei dipendenti pubblici collocati nel discrimine temporale tra la vecchia e la nuova normativa, si risolve in un'ultrattività della vecchia normativa».
D'altra parte, concludono i giudici, se si riconoscesse alla nuova disciplina un'efficacia retroattiva, tanto da farne applicazione ai giudizi pendenti, dovrebbe esserne vagliata la legittimità costituzionale, «anche rispetto ai parametri europei, in specie con riferimento all'articolo 6 Cedu, al fine di verificare la sussistenza delle stringenti condizioni cui la giurisprudenza della Corte costituzionale e delle Corti europee subordina la legittimità della retroattività in materia civile».
Fonte: Il Sole 24 ore