Periodico di informazione delle Forze Armate, Forze di Polizia e Pubblico Impiego

In questi giorni, su alcune testate giornalistiche, sono apparsi articoli stampa riportanti le nomine che il Consiglio dei Ministri ha recentemente approvato, con riguardo alle cariche istituzionali nel settore della sicurezza interna, tra cui il Comandante Generale della  Guardia di Finanza. Si tratta di importanti strutture dello Stato che assolvono incarichi delicati, per i quali, gli attuali criteri di scelta sono demandanti al Governo in carica. Si è ben consci di non vivere una stagione delle più serene per gli assetti socio-politici interni, in quanto si assiste ad una partita di gioco del “tutti contro tutti”. Non è questa la soluzione per riportare un clima di sereno confronto ed affrontare i reali problemi che affliggono il Paese. Il “tritacarne mediatico” di questo o quel personaggio pubblico, non giova alla chiarezza dei fatti e danneggia le istituzioni che assolvono importanti incarichi. In tutto questo “circo mediatico”, all’improvviso emerge un particolare accanimento proprio sulla nomina del Comandante Generale della Guardia di Finanza. Ragioniamo a bocce ferme! Nessuno ha intenzione di coprire chissà che cosa, né di ricorrere ad inutili corporativismi! Ma va detto, con assoluta convinzione, che lo stato di diritto è l’unica garanzia in un Paese liberal-democratico, al di là di “veline” o di aperte delegittimazioni giuridiche che si possano leggere! Ormai viviamo in un clima dove ci si abitua a guardare dal buco della serratura, disconoscendo i più elementari fondamenti di uno Stato di diritto. Sarebbe anche interessante capire il perché di due pesi e due misure, quando si tratta di vicende che riguardano la Guardia di Finanza. Ma questa è un’altra storia! Non si vuole prendere posizioni per chi impersoni una carica dello Stato. Sgombriamo ogni dubbio e ogni sciocco pettegolezzo di schieramento. Simili logiche non appartengono a nostri ragionamenti! Occorre quindi domandarsi: «è accettabile tirar fuori dal cilindro, anche se sarebbe interessante capire quale ne sia l’intento, un procedimento penale chiuso con un’archiviazione un decennio fa, lanciando velatamente dubbi ed ombre sulla vicenda che oggi sta colpendo Giorgio Toschi, ma che domani potrebbe capitare a chiunque?»

È logico dedurre che il “tribunale del popolo”, dopo aver visto sui media le notizie riguardanti un Comandante Generale abbia comminato la sua sentenza definitiva. Le motivazioni del giudice sono scritte negli atti di quel lontano periodo e non c’entrano nulla con la grancassa mediatica imbastita in queste ore. Quanto però letto finora sui media fa rabbrividire per diversi motivi. La deriva forcaiola e giustizialista vorrebbe tirar dentro la bagarre politica tra gli opposti schieramenti di partito anche una persona che dovrà ricoprire un incarico importate, dimenticando, e non è poco, che resta pur sempre una persona. Occorre ricordare ai detrattori del diritto che l’esser stati indagati non significa essere già colpevoli, ancor più se il procedimento viene archiviato anzitempo. Oppure abbiamo dimenticato le garanzie del giusto processo? Cosa ne facciamo quindi, le buttiamo, tipo il bimbo con l’acqua sporca? Ripristiniamo la santa inquisizione? Può un uomo essere massacrato mediaticamente nella sua dignità, senza che il giudice delle leggi abbia avviato un processo o ci sia una sentenza di condanna definitiva? Vogliamo incamminarci sulla strada della presunzione di colpevolezza per delegittimare una scelta politica? Non può essere questo il percorso da scegliere. Se si vuole aprire il dibattito sul metodo delle nomine degli alti dirigenti dello Stato, allora bisogna riscrivere un capitolo a parte. Noi siamo pronti a farlo, ma in un clima sgombro da preconcetti o da posizioni apodittiche dettate da logiche ormai stantie. Ma, in questo momento, onde arginare una deriva di pubblica delegittimazione, si vuol esprimere forte indignazione per il contenuto degli articoli diffusi dal giornale Il Fatto Quotidiano, contenenti gravissimi attacchi alla figura del Comandante Generale della Guardia di Finanza, che si risolvono in una vera e propria aggressione ai principi su cui si fonda uno Stato di diritto. 

Non sono accettabili ricostruzioni false di vicende processuali conclusesi ed archiviate, che si sono svolte nel rispetto della legge e delle garanzie della difesa. Quelle accuse si inseriscono in una strategia di delegittimazione della figura istituzionale che dura da troppo tempo, in violazione del principio di eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. Sono accuse che chiamano in causa non solo il Corpo della Guardia di Finanza, ma lo Stato di diritto, le sue regole e le sue Istituzioni. Continuando in tal modo, vi è il concreto rischio che simili attacchi possano indebolire la credibilità di tutte le Istituzioni democratiche. Il “metodo Boffo” non paga!

 

Guglielmo Picciuto

Delegato Co.Ce.R. della Guardia di Finanza

Argomento: 
Guardia di Finanza