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L’ANAC - Autorità Nazionale Anticorruzione - lo scorso 3 agosto ha pubblicato il testo definitivo del Piano Nazionale Anticorruzione 2016 in cui, tra l'altro, si prevede he non sarà più consentito alle amministrazioni regolamentare una stessa procedura con più strumenti normativi; per esempio, con il Piano triennale e con altre disposizioni di rango inferiore (lettere, fogli d’ordine, circolari, codici etici, ecc..). In tutti questi casi, evidentemente, si corre il rischio di creare interpretazioni discordanti che generano incertezza e confusione. Alla luce di questa norma l'autore dell'articolo evidenzia la discrasia che può scaturire dagli interventi normativi con cui è stato introdotto in Guardia di Finanza l’istituto del whistleblowing.
L’ANAC - Autorità Nazionale Anticorruzione - lo scorso 3 agosto ha pubblicato il testo definitivo del Piano Nazionale Anticorruzione 2016[1] (di seguito PNA).
Prima di giungere all’elaborazione del testo sono stati costituiti una serie di tavoli tecnici di studio e approfondimento. Il Piano è stato adottato preliminarmente dal Consiglio dell’Autorità il 18 maggio 2016; lo schema è stato poi sottoposto a consultazione pubblica aperta dal 20 maggio al 9 giugno 2016. Sono stati coinvolti 52 soggetti istituzionali, nazionali e internazionali, che hanno fornito i loro contributi; complessivamente, ne sono pervenuti ben 48 da parte di regioni, enti locali, enti del servizio sanitario nazionale, enti pubblici, società, ordini professionali, associazioni, dipendenti pubblici, soggetti privati.
All’esito del lungo iter si è finalmente giunti all’approvazione del documento finale[2].
Il Piano concentra nelle mani dell’ANAC tutte le competenze in materia di prevenzione della corruzione e della trasparenza previste dalla legge 190/2012[3].
Ogni amministrazione destinataria è ora chiamata ad adottare - o aggiornare - concrete misure all’interno del Piano Triennale per la Prevenzione della Corruzione (di seguito PTPC), in aderenza alle indicazioni fornite dal PNA. L’Autorità anticorruzione, infatti, ha poteri di sanzione in caso di mancata adozione del PTPC ovvero di carenze talmente gravi da equivalere alla non adozione[4].
Nel PNA si afferma, tra l’altro, che “la nuova disciplina persegue l’obiettivo di semplificare le attività delle amministrazioni nella materia, ad esempio unificando in un solo strumento il PTPC e il Programma triennale della trasparenza e dell’integrità (PTTI)”. Ciò in quanto l’ANAC, probabilmente, ritiene che la disorganicità, la scarsa chiarezza e la stratificazione delle norme non aiutino la lotta alla corruzione (anzi, piuttosto...). Una serio contrasto alla corruzione, infatti, richiede regole chiare e, soprattutto, chiarezza e trasparenza nelle procedure da seguire.
In futuro, pertanto, non sarà più consentito alle amministrazioni regolamentare una stessa procedura con più strumenti normativi; per esempio, con il Piano triennale e con altre disposizioni di rango inferiore (lettere, fogli d’ordine, circolari, codici etici, ecc..). In tutti questi casi, evidentemente, si corre il rischio di creare interpretazioni discordanti che generano incertezza e confusione.
Mi riferisco, per esempio, agli interventi normativi con cui è stato introdotto in Guardia di Finanza l’istituto del whistleblowing. Stando al PTPC[5] - che ha recepito le indicazioni dell’ANAC - l’appartenente al corpo non è tenuto a riferire anche al superiore gli illeciti segnalati all’Autorità giudiziaria, oppure alla Corte dei Conti o all’Autorità nazionale anticorruzione; secondo il Codice Deontologico[6], invece, egli sarebbe tenuto a farlo. Si consideri che in passato si è addirittura proceduto a sanzionare disciplinarmente con la consegna[7] un ufficiale di polizia giudiziaria “per essersi recato presso l’autorità giudiziaria militare per rappresentare fatti attinenti il servizio nel mancato rispetto dei rapporti gerarchici e senza informare tempestivamente, preventivamente o successivamente, il superiore diretto dell’avvenuto incontro con l’autorità giudiziaria”[8]. Nel caso di specie, il fatto ritenuto penalmente rilevante coinvolgeva proprio l’operato e il comportamento dei superiori gerarchici.
Sul punto la normativa di riferimento era già sufficientemente chiara e non dava spazio ad equivoci: “..il pubblico dipendente che denunci all'Autorità Giudiziaria oppure alla Corte dei conti, oppure riferisca al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia.[9]”.
Ora il Piano nazionale Anticorruzione ha sgombrare definitivamente il campo da ogni dubbio residuale, il documento ha precisato:
“Si richiamano, infine, le pubbliche amministrazioni al rispetto dell’art. 54-bis del d.lgs. 165/2001 e, in particolar modo, si evidenzia che non vi è una gerarchia fra i canali di segnalazioni previsti dal legislatore, non dovendosi, quindi, sanzionare (disciplinarmente) il dipendente che non si rivolge all’interno della propria amministrazione per denunciare situazioni di maladministration[10]” (punto 7.5, pag. 37).
E’ evidente che adesso le due disposizioni - punto 3.9, prima alinea, del PTPC e l’art.10, secondo comma, del Codice Deontologico - non possono più coesistere[11].
Allo stato, infatti, l’amministrazione ottempera formalmente alle previsioni dell’ANAC, ma senza rinunciare al controllo preventivo, rispetto all’attività d’indagine, sul personale. Tale insidioso vincolo comporta l’esposizione del segnalante e la possibile impunità per il segnalato.
E’ un po’ come avere la botte piena e la moglie ubriaca.
Auspico che il codice deontologico sia presto “aggiornato”.
Post scriptum per l’Autorità Nazionale Anticorruzione.
“Bene la precisazione, ma siamo ancora molto lontani dalla meta. Si renderà operativa la disciplina del whistleblowing solo quando si riuscirà a prevedere un sostegno economico a chi effettua le segnalazioni, sul modello della legislazione americana. Negli Stati Uniti ai whistleblowers è garantito fino al 30% delle risorse recuperate grazie alle denunce. Vale su tutti l’esempio di Bradley Birkenfeld, l’ex banchiere dell’Ubs che aiutò il Dipartimento alla Giustizia Usa a scovare gli evasori fiscali americani che avevano dei conti nella banca svizzera. Nel settembre 2012 il Whistleblower Office gli riconobbe un premio di 104 milioni di dollari per aver fatto recuperare all’amministrazione americana enormi quantità di soldi degli evasori fiscali. La Ubs, invece, fu condannata al pagamento di una multa di 780 milioni di dollari.”
La situazione italiana è ben diversa. Vale su tutti l’esempio del Colonnello della Guardia di Finanza Aldo Vitali che ben quattro anni prima che venisse alla luce lo scandalo dei petroli – noto anche come "scandalo dei 2.000 miliardi truffati all’erario" - inoltrò ai suoi superiori una segnalazione nella quale precisava alcune ipotesi su come il contrabbando stava avvenendo. L’ufficiale come premio ottenne un trasferito non gradito e la valutazione caratteristica peggiorativa (venne valutato “ufficiale troppo credulone e quindi poco serio”).
[1] Approvato - in attuazione del d.l. 90/2014 - con delibera n. 831 del 3 agosto 2016.
[2]http://www.anticorruzione.it/portal/rest/jcr/repository/collaboration/Digital%20Assets/anacdocs/Attivita/Atti/determinazioni/2016/831/del.831.2016det.PNA.pdf
[3] Recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione”.
[4] “Salvo che il fatto costituisca reato, l'Autorità nazionale anticorruzione applica, nel rispetto delle norme previste dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, una sanzione amministrativa non inferiore nel minimo a euro 1.000 e non superiore nel massimo a euro 10.000, nel caso in cui il soggetto obbligato ometta l'adozione dei piani triennali di prevenzione della corruzione, dei programmi triennali di trasparenza o dei codici di comportamento” (art. 19, co. 5, lett. b) del d.l. 90/2014.).
[5] Punto 3.9, prima alinea, del PTPC: http://www.gdf.gov.it/amministrazione-trasparente/altri-contenuti/corruzione/piano-triennale-di-prevenzione-della-corruzione/archivio/anno-2016/p-t-p-c-guardia-di-finanza-2016-2018.pdf.
[6] “Fermo restando l’obbligo di denuncia all’Autorità Giudiziaria, l’appartenente al Corpo segnala al proprio superiore gerarchico … eventuali situazioni di illecito all’interno della Guardia di finanza di cui sia venuto a conoscenza” (art.10, comma II, del Codice); per un approfondimento, vedi anche: http://www.nuovogiornaledeimilitari.com/la-guardia-di-finanza-si-e-dotata-di-un-nuovo-codice-deontologico
[7] Per un approfondimento sulla sanzione della consegna si legga: http://www.ficiesse.it/home-page/5518/il-paradosso-di-un%E2%80%99europa-piu-attenta-a-forme-e-dimensioni-dei-cetrioli-che-non-al-diritto-di-liberta-personale-dei-cittadini-militari-_prima-parte_---di-cleto-iafrate
[8] Cfr., cliccando sul link che segue, la sentenza nr. 03158/2014.
[9] Vedi art. 54-bis, comma I, del D.Lgs. n. 165/2001.
[10] La parte sottolineata mi pare una chiara presa di posizione rispetto ai fatti esposti nella sentenza riportata in nota 8.
[11] Paradossalmente l’amministrazione sarebbe ancora legittimata a sanzionare disciplinarmente, per violazione del codice deontologico, il dipendente che effettui una segnalazione senza avvisare la gerarchia; e ciò non è più consentito dal PNA.
CLETO IAFRATE
Direttore del “Laboratorio delle idee” di Ficiesse
(altri contributi dell'autore)