Periodico di informazione delle Forze Armate, Forze di Polizia e Pubblico Impiego

Ferma restando la presunzione di innocenza e l’assoluto apprezzamento per la stragrande maggioranza dei Carabinieri e degli addetti delle Forze dell’ordine che non deve essere intaccato dalle condotte di poche mele marce, dagli atti sinora disponibili della vicenda di Piacenza emerge un elemento che fa riflettere, perché lo si può rintracciare anche in altre vicende di cronaca che hanno interessato l’Arma (Cucchi, Ganzer, Aulla, Cerciello, ecc.) negli ultimi tempi. L’ossessione per i risultati repressivi, in particolare gli arresti. Come se, in qualche modo, il raggiungimento di tali risultati fosse l’unica cosa che conta, tanto da indurre la scala gerarchica a non controllare troppo o, peggio, a giustificare qualche “eccesso”. D’altra parte, l’immagine delle Forze di Polizia e le carriere del personale (in particolare degli ufficiali) oggi dipendono in larga parte proprio da quei risultati repressivi.

L’indagine di Piacenza è stata innescata da una segnalazione di un alto ufficiale dei carabinieri arrivata dopo una convocazione della polizia locale che lo avevano citato come teste in un caso di maltrattamenti e hanno raccolto le sue dichiarazioni spontanee. Come dire l’alto ufficiale qualcosa sapeva, ma lo ha segnalato solo quando a iniziato a rischiare di persona?

Solo uno dei carabinieri in servizio nella stazione di Piacenza Levante non è indagato. Si tratta di un giovanissimo Maresciallo recentemente assegnato a quella stazione. Lo stesso Ispettore si sfoga con il padre in ordine alle cattive condotte dei colleghi a cui lui non voleva adeguarsi. “Se lo possono permettere perché portano i risultati, portano un sacco di arresti l’anno – si legge in un’intercettazione riportata nell’ordinanza di custodia cautelare. Parole che, secondo quanto scrive nella stessa ordinanza il GIP Luca Milani, evidenziano “lo sfondo cupo e inquietante” della vicenda e cioè che “in presenza di risultati in termini di arresti eseguiti, gli ufficiali di grado superiore erano disposti a chiudere un occhio sulle intemperanze e sulle irregolarità compiute dai militari loro sottoposti”.

Su questo tema occorre fare, presto, una seria riflessione perché la cultura del “risultato repressivo ad ogni costo” può offrire terreno fertile per eccessi o, peggio, deviazioni. Nelle Forze dell’Ordine non può e non deve accadere.

A tal riguardo, crediamo che il riconoscimento di un sindacato vero (non quello sbiadito previsto nell’attuale testo Corda), unitamente all’introduzione di indicatori di risultati di outcome (anche di natura preventiva) e non solo di output (solo repressivi), possa risultare decisivo.

             

SEGRETERIA GENERALE SILF

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