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Ancora una volta la Cassazione interviene sulle malattie professionali causate da esposizioni all’amianto, sottolineando che oltre ai danni fisici provocati dall’inalazione delle microfibre di asbesto vanno risarciti quelli morali derivanti dalla paura di contrarre il mesotelioma che, come noto, non lascia scampo.  Il caso esaminato dalla Cassazione riguarda un socio lavoratore di una compagnia portuale, addetto allo scarico e carico delle merci, affetto da placche pleuriche derivanti da una lunga esposizione alle fibre di asbesto (1968-2000). 

La sentenza n. 24217/17, depositata il 13 ottobre, ha quindi bocciato il ricorso proposto da una Autorità portuale, che sosteneva, invece, la insussistenza del nesso causale tra la patologia e lavoro, ma solo “la probabilità di un futuro danno biologico temporaneo”.  Un punto sul quale l’Alta Corte ha ritenuto di pronunciare  parole inequivocabili: “…la prova del nesso causale consiste anche nella relazione probabilistica concreta tra comportamento ed evento dannoso, secondo il criterio, ispirato alla regola della normalità causale, ossia del ‘più che probabile che non…’”. Un principio ben illustrato dalle considerazioni conclusive della perizia medica disposta dal Tribunale d’appello, secondo la quale l’esposizione alle microfibre d’amianto era stata sufficientemente documentata dalla Tac, a cui si era sottoposto il lavoratore nel 2000 e considerando anche i  trentadue anni di lavoro svolti a contatto con le fibre di asbesto.

Con lo stesso verdetto, la Cassazione ha anche respinto l’obiezione dell’Autorità portuale che riteneva di dover essere sollevata dalla responsabilità di assicurare l’integrità psicofisica del lavoratore attraverso misure di sicurezza e prevenzione adeguate, come vuole la normativa, perché non risultava essere suo dipendente, ma socio lavoratore di una compagnia portuale. Su questo punto specifico il verdetto conferma l’orientamento espresso in altre analoghe circostanze precisando che “…il rapporto di lavoro fra compagnie portuali – e singoli lavoratori soci -  si instaura solo quando le prime esercitano direttamente l’attività di impresa per le operazioni di carico e scarico e non già quando le compagnie medesime si limitano a fornire alle imprese portuali la manodopera qualificata, ipotesi quest’ultima nella quale la compagnia portuale funziona, in pratica, da ufficio di collocamento e rimane pertanto esente da ogni responsabilità, anche in sede di rivalsa, per gli infortuni occorsi ai lavoratori”. Da ciò la conclusione che, nel caso esaminato, sull’Autorità Portuale ricade “l’esclusiva incombenza del rispetto della normativa (…), indipendentemente dalla diretta dipendenza dei lavoratori”.    

Infine, la sentenza ha considerato inammissibile l’obiezione sollevata dall’Autorità Portuale circa la incumulabilità delle prestazioni Inail previste nel Fondo per le vittime dell’amianto e riconosciute già al lavoratore con quelle risarcitorie richieste in sede civile. Secondo l’Alta Corte “l’istituzione di un Fondo dedicato non implica “l’esclusione di alcuno degli altri diritti stabiliti dall’orientamento per i soggetti destinatari della specifica misura di prevenzione e tutela contro l’esposizione all’amianto né che possa opporsi alcuna compensazione o calcolo differenziale tra le prestazioni erogate dal predetto fondo e il diritto al risarcimento del danno spettante alle stesse vittime”.    

di Lisa Bartoli

fONTE: INCA