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Il “Libro bianco per la sicurezza internazionale e la Difesa”, di recente pubblicazione, costituisce la base per lo sviluppo delle soluzioni attuative, che dovranno essere affinate e realizzate in tempi rapidi, per rendere lo strumento militare adeguato ad affrontare le nuove realtà che lo scenario internazionale presenta.
Momento essenziale della revisione è l’individuazione del modello organizzativo, che consenta di affrontare con successo le sfide odierne e in una prospettiva di medio termine.
Ma che cos’è un ‘libro bianco’? Un saggio di sociologia dell’organizzazione, con annessi piani di ingegneria istituzionale? Un insieme ragionato di propositi di realizzazione? Uno strumento di programmazione?
Non ‘libro dei sogni’, ma direttiva ministeriale
È ragionevole ritenere, sinteticamente, che i profili suddetti concorrano a delineare la natura proteiforme di simili documenti. Se si guarda all’esperienza italiana, in generale, non in ambito Difesa, i libri bianchi sono stati qualche volta definiti i “libri dei sogni”.
I compilatori del documento pubblicato dal Ministero evidentemente sono consapevoli del pericolo e nella parte finale dell’elaborato, gli attribuiscono la natura di direttiva ministeriale per tutte le articolazioni dell’Amministrazione della Difesa, sicché gli obiettivi indicati, ove riconosciuti come raggiungibili a normativa vigente, “vanno immediatamente perseguiti”.
L’elaborazione di dettaglio per la revisione della governance, l’adeguamento del modello operativo, una nuova normativa in materia di personale, la politica scientifica, industriale e di innovazione tecnologica saranno oggetto specifico di attività di una apposita struttura e di commissioni di alto livello tecnico giuridico, secondo un cronoprogramma definito.
In tale quadro si inserisce la revisione complessiva delle disposizioni normative e regolamentari esistenti, al fine di rinnovarle, semplificarle e adeguarle alle nuove esigenze.
Giustizia militare, una sorte segnata
Le previsioni concernenti la giurisdizione penale militare sono affidate a poche righe nel capitolo “Cittadini e forze armate”, par. 252: “Il Governo intende proseguire lo sforzo di maggiore efficienza del sistema e di razionalizzazione studiando anche la possibilità di forme giuridicamente evolute basate sul principio di unicità della giurisdizione penale e che prevedano di dotarsi, in tempo di pace, di organi specializzati nella materia penale militare incardinati nel sistema della giustizia ordinaria”.
La sorte della Giustizia militare appare segnata. Nessuna sorpresa: è già accaduto, senza traumi istituzionali, in Francia e Belgio.
Sostenere che la Costituzione, a normativa invariata, non consenta la riforma è una mistificazione, perché l’esistenza di organi specializzati di giurisdizione sarà assicurata con modalità ordinative differenti.
Come sanno gli esperti di diritto pubblico, la funzione non si identifica con la sua “copertura amministrativa”, anche se qualcuno cercherà di fare credere il contrario.
Le resistenze delle derive corporative
È dal 1956 che la giurisdizione penale militare, a seguito della drastica riduzione dell’area di competenza, vivacchia. Falliti i molteplici tentativi di ridarle fiato, mediante il recupero di classi di reati comuni, “militarizzandole”, il dibattito tra innovatori e conservatori si è stancamente trascinato fino ai giorni nostri.
È facile prevedere derive corporative alla programmata riforma. Sono nel conto le resistenze e la vischiosità degli apparati, nella dialettica tra pulsioni di categoria e travestimenti verbali, nella quale buona parte della magistratura militare non si riconosce: chi vive come problema professionale l’ossimoro della insostenibile leggerezza della materia riservata alla giurisdizione militare e non condivide la concezione minimalista dei cultori dello status quo.
La realizzazione di nuovi moduli organizzativi consentirà, nell’indirizzo del Governo, non solo la soluzione dei problemi della speciale giurisdizione, ma anche il reimpiego di risorse umane e di professionalità nell’ambito della Giustizia ordinaria, in affanno per note cause.
Sostenere che il mantenimento della conformazione attuale giovi alla speditezza o comunque propizi la ragionevole durata dei processi costituisce strumentale artificio dialettico.
Potenziali effetti positivi della riforma
I dati relativi alla “produttività” nell’ambito della giurisdizione militare sono al limite dell’insignificanza statistica, non per inerzia degli addetti, ma per la pochezza numerica e qualitativa del contenzioso penale. La sospensione, o se si preferisce, la fine del sistema di reclutamento obbligatorio, la leva, ha determinato la caduta verticale delle infrazioni, dovuta, sul piano qualitativo, anche ad altro fenomeno.
Il volontariato comprende soggetti, psicologicamente motivati, che molto frequentemente aspirano al passaggio nei corpi di polizia ad ordinamento militare o civile e informano la loro condotta in servizio a standard di correttezza non paragonabili a quelli sperimentati in regime di leva obbligatoria.
Quanto alla particolare attitudine della giurisdizione speciale a interpretare valori e principi dell’ordinamento militare, si tratta di una considerazione di principio, corretta in via tendenziale ma inattuata, ove si consideri che i reati di maggior gravità ricadono dal 1956 nella giurisdizione ordinaria.
La riforma, con un paradosso solo apparente, potrebbe porre le premesse per una revisione complessiva anche della parte sostantiva della normativa penale militare, facendo cadere preclusioni e riserve di fatto registratesi in materia.
Antonino Intelisano è procuratore generale militare presso la Cassazione.