Periodico di informazione delle Forze Armate, Forze di Polizia e Pubblico Impiego

Per potere applicare il divieto di monetizzazione delle ferie occorre per la giurisprudenza comunitaria, per molti aspetti fatta propria dalla Corte di Cassazione, che l’ente dimostri di avere messo in condizione il dipendente di fruire delle proprie ferie. Mentre per il Consiglio di Stato continua ad essere necessario che il lavoratore dimostri di avere presentato la relativa istanza.

Sono queste le indicazioni fornite dalla più recente giurisprudenza: è evidente che siamo in presenza di contrasti interpretativi di non poco conto.

Per la giurisprudenza comunitaria il datore di lavoro deve assumere tutte le iniziative per consentire al dipendente la fruizione delle ferie spettanti, assumendo che lo stesso -regola che ricordiamo si applica anche nel pubblico impiego- può disporre il collocamento in ferie d’ufficio del dipendente.

Per la giurisprudenza amministrativa invece solamente il rigetto da parte dell’ente della richiesta di ferie legittima la monetizzazione, fattispecie a cui si devono aggiungere quelle già indicate dal Dipartimento della Funzione Pubblica, cioè la presenza di ragioni oggettive, eccezionali e non appartenenti alle prerogative dell’ente e/o dei dipendenti che ne hanno impedito la fruizione.

LE INDICAZIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA

Le ferie che non sono state godute dai dipendenti cessati dal servizio non possono essere monetizzate solamente se l’ente dimostra di avere messo in condizione il lavoratore di usufruirne.

Sono queste le indicazioni di maggiore rilievo contenute nella sentenza della Corte di Giustizia Europea 18 gennaio 2024 C-218/2022.

Viene dettato il seguente principio: le norme comunitarie “devono essere interpretate nel senso che ostano a una normativa nazionale che, per ragioni attinenti al contenimento della spesa pubblica e alle esigenze organizzative del datore di lavoro pubblico, prevede il divieto di versare al lavoratore un’indennità finanziaria per i giorni di ferie annuali retribuite maturati sia nell’ultimo anno di impiego sia negli anni precedenti e non goduti alla data della cessazione del rapporto di lavoro, qualora egli ponga fine volontariamente a tale rapporto di lavoro e non abbia dimostrato di non aver goduto delle ferie nel corso di detto rapporto di lavoro per ragioni indipendenti dalla sua volontà”.

La prima considerazione è la seguente: “secondo costante giurisprudenza della Corte, il diritto di ogni lavoratore alle ferie annuali retribuite deve essere considerato un principio particolarmente importante del diritto sociale dell’Unione europea, al quale non si può derogare” e che “dispone che gli Stati membri prendono le misure necessarie affinchè ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane, secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali”.
Altra importante indicazione è la seguente: “il diritto alle ferie annuali costituisce solo una una delle due componenti del diritto alle ferie annuali retribuite quale principio fondamentale. Tale diritto fondamentale include quindi anche il diritto a ottenere un pagamento nonché, in quanto diritto connaturato a detto diritto alle ferie annuali retribuite, il diritto a un’indennità finanziaria per le ferie annuali non godute al momento della cessazione del rapporto di lavoro”.

Ci viene detto che “un lavoratore che non sia stato in condizione di usufruire di tutte le ferie annuali retribuite prima della cessazione del suo rapporto di lavoro, ha diritto a un’indennità finanziaria per ferie annuali retribuite non godute. A tal fine è privo di rilevanza il motivo per cui il rapporto di lavoro è cessato. Pertanto, la circostanza che un lavoratore ponga fine, di sua iniziativa, al proprio rapporto di lavoro, non ha nessuna incidenza sul suo diritto a percepire, se del caso, un’indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite di cui non ha potuto usufruire prima della cessazione del rapporto di lavoro. Tale disposizione osta a disposizioni o pratiche nazionali le quali prevedano che, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, non sia versata alcuna indennità finanziaria per ferie annuali retribuite non godute al lavoratore che non sia stato in condizione di fruire di tutte le ferie annuali cui aveva diritto prima della cessazione di tale rapporto di lavoro, in particolare perché era in congedo per malattia per l’intera durata o per una parte del periodo di riferimento e/o di un periodo di riporto”.

In conclusione, “se il lavoratore, deliberatamente e con piena cognizione delle conseguenze che ne sarebbero derivate, si è astenuto dal fruire delle ferie annuali retribuite dopo essere stato posto in condizione di esercitare in modo effettivo il suo diritto alle stesse” la norma comunitaria “non osta alla perdita di tale diritto né, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, alla correlata mancanza di un’indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite non godute, senza che il datore di lavoro sia tenuto a imporre a detto lavoratore di esercitare effettivamente il suddetto diritto”.  Ed inoltre, “il datore di lavoro è segnatamente tenuto ad assicurarsi concretamente e in piena trasparenza che il lavoratore sia effettivamente in condizione di fruire delle ferie annuali retribuite, invitandolo, se necessario formalmente, a farlo, e nel contempo informandolo, in modo accurato e in tempo utile a garantire che tali ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo e la distensione cui esse sono volte a contribuire, del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato, o non potranno più essere sostituite da un’indennità finanziaria”.

LE INDICAZIONI DEL CONSIGLIO DI STATO

La monetizzazione delle ferie non godute non spetta se il dipendente non ha avanzato all’ente la specifica richiesta. Lo ha affermato l’Adunanza Generale del Consiglio di Stato con il parere n. 148/2024, che si è espresso sul ricorso straordinario presentato al Presidente della Repubblica sul rigetto della richiesta di monetizzazione delle ferie non godute da parte dei congiunti di un appartenente alla Guardia di Finanza collocato in quiescenza nel frattempo deceduto. 

Leggiamo il seguente principio: “La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato – in linea con la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 95 del 2016) e quella della Corte di giustizia (prima sezione, sentenza 25 giugno 2020, C-762/18 e C-37/19) – è ormai consolidata nel senso di ritenere che il diritto al compenso sostitutivo delle ferie non godute spetta quando sia certo che la loro mancata fruizione non sia stata determinata dalla volontà del lavoratore e non sia ad esso comunque imputabile (Cons. Stato, sez. I, 3 luglio 2023, n. 982; sez. II, 30 marzo 2022, n. 2349, sez. IV, 13 marzo 2018, n. 1580, sez. III, 17 maggio 2018, n. 2956, e 21 marzo 2016, n. 1138). Ove invece il dipendente abbia avuto la possibilità di fruire delle ferie (e quindi in assenza di una indicazione di senso contrario proveniente dal datore di lavoro), vige il divieto di monetizzazione di cui all’art. 5, comma 8, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135, che pertanto opera laddove il dipendente medesimo non abbia fatto espressa richiesta delle ferie medesime (Cons. Stato, sez. I, 3 luglio 2023, n. 982; sez. II, 30 marzo 2022, n. 2349, sez. IV, 12 ottobre 2020, n. 6047, e 2 marzo 2020, n. 1490)”.

 

FONTE: https://leautonomie.it/la-giurisprudenza-sul-divieto-di-monetizzazione-delle-ferie-non-godute/

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