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di Morena Piccinini, presidente Inca - Consideriamo molto importante aver messo al centro del confronto tra le parti sociali e governo anche i temi delle pensioni in essere, della estensione della cosiddetta “quattordicesima” ad una platea più ampia di beneficiari e dell’innalzamento della soglia di esenzione fiscale per i pensionati. Parlarne dà un segnale di attenzione alle richieste avanzate dai sindacati dei pensionati nella loro piattaforma.
La parificazione della “no tax area” è un tema fondamentale se si vuole eliminare la intollerabile differenza di trattamento fiscale che esiste tra i redditi da pensione e quelli da lavoro dipendente. Eliminare questa diversità significa realizzare un’azione di giustizia sociale perché allo stato attuale la soglia di esenzione fiscale, più bassa per i pensionati, rende di fatto ancora più povere le pensioni basse. Per questa ragione è importante riaffermare il principio di parità di trattamento fiscale dei redditi, sia quelli da pensione che da lavoro dipendente.
Allo stesso modo consideriamo importante l’estensione della cosiddetta “quattordicesima” che, lo vogliamo sottolineare, è stata istituita nel 2007, quando allora il presidente del consiglio era Romano Prodi e il ministro del lavoro era Cesare Damiano, con lo scopo di riconoscere una mensilità aggiuntiva per rafforzare le pensioni basse, nate e sostenute da contributi previdenziali. Tanto basta che le tre tranche di tre importi diversi in ragione dell’anzianità contributiva, nascevano proprio dall’esigenza di valorizzare le pensioni scaturite da attività lavorativa, che risultavano di importo basso a causa di carriere fragili e discontinue o povere dal punto di vista reddituale. Non è un caso che il maggior numero di coloro che ne hanno beneficiato fossero donne.
Già nel 2007, si disse che quello strumento si sarebbe dovuto estendere, nella platea e nelle modalità di accesso, non appena ci fossero state risorse disponibili a tal fine. Quindi, sin dall’inizio, c’era la consapevolezza che la “quattordicesima” non fosse un intervento assistenziale, ma di natura prettamente previdenziale. Per questa ragione, è profondamente sbagliato ascriverlo nel novero degli interventi che oggi si vogliono mettere in campo per contrastare la povertà. Bisogna fare molta attenzione ed evitare quegli equivoci che, ci sembra, traspaiono dalle dichiarazioni del presidente dell’Inps, Tito Boeri, quando suggerisce al governo di ricondurre la possibile estensione della quattordicesima ad una funzione di sostegno alla condizione di povertà e, dunque, da legare al reddito familiare, anziché individuale; alla ricchezza complessiva, attraverso lo strumento dell’ISEE.
La povertà delle famiglie, e tra queste soprattutto quelle in cui sono presenti gli anziani, è un tema molto vasto che ha bisogno di interventi strutturali. Ne è consapevole anche il governo che, non a caso ha varato un disegno di legge delega per riordinare gli strumenti di contrasto alla povertà. Ma queste misure non vanno confuse con la logica, la filosofia e lo scopo con i quali era stata introdotta la quattordicesima a suo tempo e per la quale oggi si vuole una sua possibile e necessaria estensione. Sono due interventi di natura diversa, ben distinti che non si escludono a vicenda. Ed è evidente che quanto vengono rafforzate le pensioni basse, nate e sostenute da versamenti contributivi, tanto più le misure assistenziali potranno essere rivolte ad una platea diversamente composta, anche dal punto di vista familiare.
Ancora una volta bisogna evitare di confondere l’assistenza con la previdenza sia sul piano delle prestazioni che sotto il profilo delle risorse. Il fatto che all’Inps competa il pagamento delle prestazioni previdenziali e assistenziali non lo esime dal tenere assolutamente e rigorosamente distinte le poste di bilancio e i capitoli di spesa, perché già ora, troppo spesso, i risparmi previdenziali vengono utilizzati a fini assistenziali.
Questa confusione nei conti fa sì che ci sia uno spostamento di risorse tra una voce e l’altra, senza che sia fatta chiarezza su quanto spende lo Stato, in termini di assistenza o di previdenza. Non sono rari i casi in cui, per esempio, le norme restrittive con cui vengono concessi benefici economici, che riducono la platea a cui sono destinati, lasciano inutilizzate risorse che lo Stato stesso reincassa, oppure, quando la spesa previdenziale viene fittiziamente aumentata di poste di bilancio che, invece, dovrebbero essere di natura assistenziale, creando di fatto i presupposti per giustificare una continua rincorsa al contenimento della costo del sistema di welfare nel nostro paese. Senza il presupposto della trasparenza della spesa si rischia di ingenerare altre disuguaglianze colpendo ancora una volta le fasce più deboli della popolazione, mancando l’obiettivo di creare le condizioni per un benessere più diffuso.