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Il corona virus sta ponendo con forza e forse inaspettata attualità, il tema del lavoro come vero punto di resistenza sociale.
Dal lavoro dei medici e degli infermieri, a quello degli operatori delle Forze di Polizia e delle Forze armate; dalle filiere alimentari, ai trasporti, ai servizi pubblici, dalla distribuzione, alle fabbriche…Una rete che in questi giorni – pur tra tante difficoltà -risponde alle nostre esigenze e ci consente di sopravvivere sentendoci comunità.
Questo, grazie a uomini e donne il cui lavoro, spesso, come consumatori, ignoriamo nei suoi valori sociali e culturali.
“Riscoprire” il Lavoro nella sua funzione-base di volano e di sviluppo sociale della democrazia, sollecita contestualmente interrogativi sulla velocità dei cambiamenti sociali, sulla delocalizzazione, il mercato, la globalizzazione,
sull’impatto delle trasformazioni tecnologiche, che hanno portato con sé piu’ precarietà, riduzioni dei diritti, frammentazione del mondo del lavoro.
Ma le dimensioni della minaccia che stiamo vivendo pongono la necessità di riflettere su un diritto fondamentale messo oggi sotto stress: il rapporto (Conflitto?), tra lavoro e salute.
Se verifichiamo, oggi, quanto sia importante che qualcuno lavori per consentirci di difendere la nostra salute, allo stesso modo ci poniamo il problema di chi e come si difende la salute di chi lavora?
Perchè, affrontare il tema della sicurezza e della “salute” nei luoghi di lavoro, non significa occuparsi di un’area qualsiasi di intervento sociale (la retribuzione, l’orario….), ma di una sfera più profonda che riguarda l’essenza stessa della persona. Non a caso il diritto alla salute è riconducibile ai diritti della personalità.
Il fatto peraltro che il diritto alla salute, compresa quella sul lavoro, sia affermato nel nostro ordinamento come diritto fondamentale dell’individuo, oltre che interesse della collettività (cfr. art.32, 1°comma, della Costituzione), sta a significare che esso riveste un rilievo preminente rispetto ad altri diritti pur riconosciuti dalla Costituzione. Ne consegue che la salute, quale fondamentale diritto del lavoratore ed interesse della collettività, non può essere considerata un mero auspicio o diritto accessorio.
La salvaguardia dell'integrità psico-fisica dei lavoratori rappresenta un momento privilegiato, non potendo il datore di lavoro invocare “Interessi altri”, o specificità di funzioni, per giustificare scelte organizzative che possano mettere a repentaglio la sicurezza dei propri dipendenti o collaboratoriTutto ciò, vale anche per i lavoratori del comparto Difesa e sicurezza, oggi in prima linea nell’affrontare l’emergenza sanitaria. Eppure, c’è chi pensa che la tanto declamata specificità, possa giustificare omissioni, arbitrarietà e abusi, consentendo deroghe a precise norme legislative e amministrative, esponendo così il personale, a rischi nella gestione dell’emergenza sanitaria in corso. Sono diffusi in alcuni territori casi in cui, i datori di lavoro/dirigenti militari, IGNORANDO OD INTERPRETANDO le norme emanate dal governo e recepite ai livelli centrali delle FF.AA. e delle FF.PP, si limitano ad assolvere gli obblighi di informazione e ad inoltrare semplicemente le disposizioni dell’organo di vertice senza che le stesse vengano “”contestualizzate,adattate alle contingenze e alle esigenze dei diversi territori e concretamente attuate senza mai perdere di vista gli obiettivi che esse si prefiggono di raggiungere.” (SILF – N.di R.). Gli ambienti di lavoro – ivi compresi quelli in cui operano i lavoratori con le stellette - dovrebbero essere luoghi di partecipazione, motivazione e cooperazione, in cui la persona, e le sue condizioni psicofisiche, siano debitamente considerate e non lasciate alla arbitraria gestione di dirigenti inadeguati, che non si assumono le loro responsabilità e che per il timore di decidere, sottovalutano situazioni in cui sarebbe necessario intervenire con rapidità.E così, mentre nel resto del mondo del lavoro, si discutono e si firmano protocolli con i sindacati, nelle amministrazioni militari emerge in tutta la sua sconfortante attualità, la mancanza di una azione di tutela efficace, espressione di una rappresentanza sindacale che abbia pieno riconoscimento e agibilità.
A tal fine, non sembra fuori luogo ricordare che l’intervento in materia di salute e sicurezza sul lavoro rientra a pieno titolo in quella scelta partecipativa, che caratterizza l’azione del sindacato.
Il riferimento è all’art.9, Stat.lav., del 1970, che ha rappresentato il primo riconoscimento legislativo dell’interesse collettivo alla sicurezza del lavoro, mediante la previsione di rappresentanze specifiche dei lavoratori, poi sviluppatesi nella figura del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Rls).
A che punto è l’attuazione di queste norme nel Comparto?
Se il Parlamento, in questi due anni avesse compiuto correttamente il suo mandato, applicando la sentenza della Corte Costituzionale, (120/2018) sul riconoscimento dei diritti sindacali per i militari, forse si sarebbero potuti offrire spazi di partecipazione, in un corretto scambio di relazioni, conoscenza e proposte, tra il datore di lavoro/Dirigente/militare e i rappresentanti sindacali.
Invece, la specificità militare è utilizzata, ancora una volta, come un grimaldello per scardinare i diritti dei lavoratori militari, anche quando si tratta di tutelare la loro salute.
Quando si uscirà da questa crisi, si dovrà riflettere sul vuoto legislativo che una stanca, sopita e poco coraggiosa politica ha lasciato, colmato solo dall’intervento di alcune sigle sindacali che con buon senso, coraggio e vicinanza ai colleghi, stanno esercitando il loro ruolo, pur nelle difficoltà derivanti dalla persistente inagigibilità.
Al pari, non potranno essere accettati colpi di spugna, “immunità” o deresponsabilizzazione di chi non ha adempiuto correttamente ai suoi compiti, prendendo atto dell’esistenza diffusa, all’interno delle amministrazioni militari, di una classe dirigente i cui comportamenti, il cui buonsenso, le cui capacità gestionali e strategiche lasciano sbalorditi.
Antonella Manotti