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Lo Stato non ha contribuito al "nation building" italiano, che è figlio di altri attori. È intervenuto solo in un secondo momento, un quarantennio dopo l'Unità, al momento del decollo industriale, quando vi è stato bisogno di infrastrutture e di grandi servizi pubblici, come le ferrovie e le poste, assicurando la stampella necessaria allo sviluppo economico. Alla debolezza dello Stato non si deve imputare soltanto questo decollo ritardato, ma anche la sua incapacità di cambiare, di innovarsi: di qui la forte continuità tra prefascismo e fascismo e poi tra fascismo e postfascismo. Queste le conclusioni principali dello splendido libro di Guido Melis, in cui il nostro maggiore storico dell'amministrazione ha raccolto dodici suoi saggi, scritti tra il 2007 e il 2011. I saggi sono raccolti in tre parti, dedicate alla costruzione dello Stato, alle istituzioni fascistene all'amministrazione dell'Italia repubblicana e si dividono in due gruppi: quello degli affreschi e delle sintesi generali e quello delle analisi e dei "carotaggi". Nel primo gruppo sono tratteggiati il modello iniziale, gli statuti del pubblico impiego, le riforme crispine, le modificazioni delle "élites" amministrative, le istituzioni fasciste, il riformismo amministrativo del secondo dopoguerra. Qui Melis illustra i fattori esterni che condussero all'Unità, spiega perché si adottò un centralismo debole, quale fu l'influenza del piemontesismo e poi della meridionalizzazione del personale pubblico, quali gli effetti della «giuridicizzazione» e della fuga dei tecnici dallo Stato. Illumina acutamente le ambiguità del fascismo, che si proclamò totalitario ma usò personale e leggi del periodo precedente, creando un sistema binario, nel quale inserì solo le nuove "élites" degli enti pubblici; si disse statalista, ma aggirò lo Stato creando enti pubblici; sfruttò il dualismo tra Stato e partito fascista. Analizza il riformismo amministrativo degli ultimi venti anni, ma spiega che la politica è stata sorda e gli stessi programmi di riforma, alla formulazione dei quali hanno partecipato prevalentemente studiosi, piuttosto che burocrati, sono stati discontinui.
Il libro contiene anche saggi su aspetti minori ma significativi della vicenda statale italiana, e questi ruotano intorno al Consiglio di Stato (Melis ha diretto negli anni scorsi una grande ricerca biografica su tutti i consiglieri di Stato). Uno riguarda Attilio Brunialti, studioso e consigliere di Stato, incappato, negli anni prima della grande guerra, in una indagine per corruzione; un altro ricostruisce la giurisprudenza del Consiglio di Stato nel periodo fascista, mostrando con quanta abilità il consesso abbia tutelato la continuità statale, inserendo le norme fasciste in quelle dell'Italia liberale; un altro ancora ricostruisce la vicenda, che ricorda molto quelle recentissime, della giurisdizione del giudice amministrativo sul pubblico impiego.
Al centro del libro c'è l'amministrazione, ma Melis non trascura mai la legislazione, l'alta magistratura, le altre componenti dello Stato, mescolando le vicende della storia generale con la biografia di alcuni dei protagonisti (da Francesco Crispi a Giovanni Giolitti, da Gaspare Finali a Carlo Schanzer, da Alberto Pironti a Ettore Conti, fino a Oscar Sinigaglia e ad Alberto Beneduce), sintetizzando pregresse ricerche, ma facendo anche parlare carte di archivio e ispirandosi sempre al metodo di non limitarsi alle norme e alle persone, ma di esaminare anche il concreto funzionamento delle istituzioni.
Questo libro di Melis appare quasi venti anni dopo la sua fondamentale Storia del l'amministrazione italiana (1861 - 1993), che è del 1996, per i tipi della stessa casa editrice. L'autore, in questo ventennio, ha contribuito come pochi al progresso della ricerca storiografica nel campo delle istituzioni, sia con proprie ricerche, sia organizzando e dirigendo indagini storiografiche collettive. Questo libro raccoglie solo una parte di questa ricca messe di studi, e costituisce una continuazione ideale e uno sviluppo del grande affresco del 1996. Ma contiene anche l'indicazione di un percorso di studi e si chiude con un'invocazione, quella che la buona politica rivolga la sua attenzione alla questione amministrativa e allo Stato.
FONTE: IL SOLE 24 ORE