Periodico di informazione delle Forze Armate, Forze di Polizia e Pubblico Impiego

 Si ferma poco sotto i 700 milioni la dote effettiva indirizzata alle buste paga dei dipendenti statali per il rinnovo dei contratti che dovrebbe ripartire anche alla luce delle risorse aggiuntive previste dalla manovra. Al di là dei complicati intrecci di regole, che imporrebbero di rivedere i meccanismi dei premi di produttività ipotizzati sei anni fa dalla riforma Brunetta e mai entrati davvero in campo, proprio dalle risorse dipende la possibilità di riavviare una trattativa sospesa ormai da oltre un anno e mezzo, cioè da quando la sentenza 178/2015 della Corte costituzionale ha messo in soffitta il blocco dei contratti. A giudicare dai numeri, e dalle prime reazioni sindacali espresse da tutte le sigle intervenute venerdì elle audizioni parlamentari sulla legge di bilancio, la sfida non pare semplice. Vediamo perché.

 

Per gli Statali la dote sale a 900 milioni Il fondo per la pubblica amministrazione costruito dalla legge di bilancio vale in complesso 1,92 miliardi, cioè la cifra scritta il 30 ottobre nelle slide con cui il premier Matteo Renzi aveva presentato a Palazzo Chigi la manovra appena varata in consiglio dei ministri. Nel conto, però, entrano anche i 300 milioni già messi sul piatto dei contratti dall’ultima legge di stabilità, e mai utilizzati perché le trattative per i rinnovi non sono nemmeno partite. Dagli 1,62 miliardi che restano vanno tolti 140 milioni, riservati alle assunzioni nella scuola, per cui la dote prevista dalla legge di bilancio per il cuore degli interventi sul pubblico impiego è di 1,48 miliardi. 
Una quota importante di queste risorse è assorbita dalla conferma del bonus da 80 euro introdotto l’anno scorso, ma solo per il 2016, dalla legge di stabilità. La relazione tecnica a quella manovra spiega che il bonus, del tutto analogo a quello strutturale previsto per i lavoratori dipendenti, costa 510 milioni all’anno, spesa che con la conferma va ovviamente replicata per il 2017. In questa corsa a tappe si arriva così a 970 milioni, ma per arrivare al traguardo della cifra effettiva servono ancora un paio di interventi di pulizia. Il primo è legato al fatto che il fondo serve anche, negli obiettivi espliciti della manovra, a finanziare nuove assunzioni nella Pa. Questa voce non è quantificata, ma dal momento che gli annunci parlano soprattutto di stabilizzazioni il costo dovrebbe essere ridotto a poche decine di milioni. Più pesante è la voce degli “oneri riflessi”, cioè i costi contributivi prodotti dai ritocchi alle buste paga: si tratta di 482 milioni che limano i finanziamenti aggiuntivi per gli stipendi statali fino a portarli intorno a quota 450 milioni. Oneri analoghi pesano in misura proporzionale anche sui vecchi 300 milioni, per cui i fondi complessivi da distribuire agli statali si fermano sotto i 700 milioni. Fin qui, ovviamente, i numeri per la pubblica amministrazione centrale, a cui si aggiungono le risorse chiamate a finanziare i rinnovi per sanità, regioni ed enti locali. Si tratta di una cifra di poco inferiore a quella degli statali, che porta le somme complessive per i dipendenti pubblici intorno agli 1,2 miliardi ma che va trovata all’interno del fondo sanitario e dei bilanci degli enti territoriali. A misurare le somme da mettere in circuito è prima di tutto l’inflazione piatta del periodo, dal momento che la sentenza costituzionale ha “salvato” la legittimità dei blocchi del passato. Il governo ha quindi fatto i conti sulla base di un Ipca (indice dei prezzi al consumo armonizzato) ai minimi: ma dopo sette anni di blocco non sarà facile arrivare a un’intesa da poco più di 20 euro lordi.

Fonte: Il sole 24 ore 
 

Argomento: 
Attualità e Politica