Tu sei qui
Si tratta di un compenso economico creato dal legislatore del 1937 da assegnare ai dipendenti dello Stato, appartenenti alle Forze dell'Ordine e Militari, per incentivare e tutelare la natalità.
Ora, se si passa in rassegna la nutrita giurisprudenza amministrativa in materia di benefici demografici riconoscibili al personale militare, ci si accorge che nell'arco di diversi anni i Magistrati hanno emesso pronunce con interpretazioni della norma diametralmente opposte.
Il tutto con grave danno degli aventi diritto.
In estrema sintesi, abbiamo sentenze che riconoscono i benefici demografici al personale militare non dirigente, altre che lo negano, il tutto in un rimpallo continuo tra Tar e e Consiglio di Stato .... come purtroppo spesso siamo abituati ad osservare in Italia anche su altre questioni (... si vedano, a puro titolo di esempio, le incomprensibili oscillazioni sui benefici combattentistici ....).
Ad ogni modo, prendiamo spunto dal Tar Sardegna, il quale nel 2015 si orienta negativamente sulla questione: la pronuncia consegue alla domanda di alcuni finanzieri che rivendicano il diritto a percepire i benefici demografici del 2,5% di scatto di stipendio per il sostentamento dei figli.
Il loro ricorso viene respinto con argomenti tecnici attinenti alla dubbia applicabilità dell'art. 22 R.D.L. n. 2/37 convertito in L. n. 1/39, inoltre richiamando l'attenzione sul fatto che il sistema retributivo del personale militare è stato nel tempo profondamente modificato (progressione retributiva per classi e scatti sostituita dalla retribuzione individuale di anzianità), infine con la conferma che la dirigenza militare può beneficiare del diverso trattamento economico siccome si tratta di una "carriera a se'".
Ora, sarà pure così, ma il dato che rimane incomprensibile è questo: perché un semplice cambiamento del sistema di calcolo della retribuzione deve avere necessariamente ripercussioni sulla negazione del beneficio in parola, quando questo viene in realtà accordato al personale dirigente?
Eppure i figli li possono avere tutti, personale dirigente e non dirigente: perché la legge non dovrebbe presidiare in modo equo e paritario questa elementare verità?
Riflettendo su questo tema, penso alle norme di principio dell'Ordinamento dell'Unione europea sul divieto di discriminazione, scolpite nella Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali.
Cosa fare?
Semplicemente insistere con coraggio nella domanda, a costo di portarla avanti le più Alte Sedi di Giustizia, al solo scopo di far valere non solo un diritto, ma più ampiamente per rivendicare equità, uguaglianza e giustizia.
Avv. Francesco Pandolfi
Fonte Studio cataldi
Argomento:
Approfondimenti