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Descrivere in maniera chiara e semplice usando un linguaggio comprensibile un fenomeno attuale è quanto mai difficile al giorno d’oggi. Il mobbing non è cosa facile, ma l’avvocatoUmberto Tasciotti si è mostrato all’altezza, e nel suo libro, Effetto Mobbing (edito da Aracne Editrice), spiega bene le mille sfaccettature di questo fenomeno. Lo scopo di questo volume è di porre all’attenzione del grande pubblico l’importanza di questo fenomeno. Innanzitutto partendo dalla sua definizione: il mobbing è un atto illecito che consiste in un comportamento lesivo verso un dipendente.
Durante la presentazione del libro – avvenuta venerdì 25 settembre 2015 presso la Società Dante Alighieri in piazza Firenze a Roma – sono emersi diversi punti su cui si deve riflettere per poter comprendere la complessità del problema. Punti che sono stati discussi ed affrontanti dai vari relatori, tra cui, oltre all’autore del libro, anche la Prof.ssa Simonetta Costanzo, l’Avv. Innocenzo Megali, il Dott. Maurilio Fraboni, l’Avv. Gianluca Di Ascenzio e l’editore del volume, Dott. Gioacchino Onorati, sotto la moderazione del Dott. Walter D’Amario.
Il primo, e forse più importante, punto sottolineato durante l’incontro è la mancanza di una definizione normativa di questa parola, il mobbing. Come afferma la Prof.ssa Simonetta Costanzo, esso è un fenomeno composto da un insieme a patologie ed è dunque difficile identificarlo immediatamente. La prima patologia con la quale viene immediatamente identificato è il disturbo da ansia, post traumatico da stress. Il mobbing è un fenomeno che colpisce 1 milione e mezzo di persone. Il 70% dei quali viene da pubblico impiego. Nel suo intervento la Costanzo ha parlato del soggetto che pratica mobbing come un soggetto sadico che non rispetta l’altro e lo sfrutta. Lo fa in quanto la vittima scelta ha inconsciamente creato un rapporto identificativo con l’azienda. Il fenomeno non riguarda solamente rapporti lavorativi verticali, ma anche quelli orizzontali ossia tra colleghi di pari livello.
Dal punto di vista legislativo, invece, è assai problematico per un avvocato avvalorare la tesi del dipendente. La Corte di Cassazione, come spiega l’avvocato Innocenzo Megali, ha delimitato 7 parametri che aiutano i giuristi ad individuare i requisiti con i quali un lavoratore può denunciare di subire mobbing: devono protrarsi per un congruo periodo di tempo; devono essere non episodici ma reiterati e molteplici; devono essere almeno due tra attacchi alla possibilità di comunicare, isolamento sistematico, cambiamenti delle mansioni lavorative, attacchi alla reputazione e violenze o minacce; deve procedere per fasi successive (conflitto mirato, inizio del mobbing , sintomi psicosomatici, errori e abusi, aggravamento della salute, esclusione dal mondo del lavoro); deve essere accertata la sussistenza dell’intento persecutorio; deve essere indubbia la sussistenza di un disegno premeditato.
In virtù di quanto appena descritto, per rendere effettiva la mozione l’avvocato deve dimostrare il carattere persecutorio insito nel rapporto lavorativo. Se accertato, c’è un iter ben preciso. Il primo step è il de-mansionamento, ossia il cambio di mansioni all’interno dell’azienda. Ulteriore passo, anche se dequalificante è concedere al dipendente un’altra attribuzione di mansioni, come ad esempio spostare il responsabile di un supermarket al centro in un minimarket in periferia, svilendo il suo lavoro. Questo ha un effetto negativo nella vita del mobbizzato in quanto chi subisce questi fenomeni in famiglia si sente un fallito arrivando a non parlarne, il ciò lo porta poi a non denunciare il fatto.
Al termine dell’incontro sono state poste delle domande agli ospiti in virtù delle quali è facile affermare come il mobbing sia purtroppo un fenomeno che non si può prevenire, ma può solo essere curato, una volta individuato. L’unico modo esistente per far si che non si verifichi in futuro è educare le nuove generazioni affinché non sviluppino i comportamenti che portano ad esso.