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Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad un crescendo di adesioni al ricorso promosso da più parti per la previdenza complementare del personale delle forze armate e delle forze di polizia, che doveva istituirsi alla luce della legge 335 del 1995, che aveva introdotto il nuovo sistema pensionistico su base contributiva.
Il così detto “secondo pilastro” della previdenza complementare, avrebbe dovuto essere avviato tramite una procedura di concertazione tra le parti, ovvero tra la rappresentanza militare e i sindacati di polizia e il governo pro-tempore, attivando su richiesta dei primi un tavolo apposito.
Qualche tentativo in verità fu fatto senza però dare nessun seguito all’incipit iniziale, lasciando andare le cose così come le conosciamo oggi, ovvero un nulla di fatto.
Il governo Dalema all’epoca dei fatti e a seguito della richiesta dell’8° mandato COCER, aveva assunto un impegno di spesa al fine di dare il via al sistema complementare ma la precarietà della rappresentanza militare con la sua inefficace azione di relazioni sindacali e il successivo mandato (il 9°), che non perseguì in modo efficiente questo percorso, di fatto il tutto si è arenato al solo intento, senza mai trovare né soluzione né volontà di realizzazione.
Ad oggi, una serie di sentenze di vari tribunali amministrativi pur accogliendo in prima istanza le motivazioni addotte dai ricorrenti nei vari giudizi, sollevava alcune incongruenze legate soprattutto alle procedure che avrebbero dovuto partorire il secondo pilastro e di conseguenza la giurisdizione del tribunale competente; il tutto dovuto da alcuni passaggi di competenze, che non erano stati assolti così come prevedevano le norme.
Quindi il danno esiste ma esistono anche delle deficienze, che sono attribuibili ai rispettivi sindacati e alla rappresentanza militare.
Tuttavia il TAR del Lazio subissato da decine di ricorsi presentati dal personale che nel frattempo accedeva al trattamento pensionistico senza alcuna previdenza complementare, preso atto della mancata attivazione del secondo pilastro, nominava un commissario ad acta per l’avvio delle procedure del tavolo tecnico per l’attivazione della stessa.
Il commissario ad acta, non aveva e non ha le competenze di poter attivare tale tavolo, ma solo quello di sollecitare le parti sociali (rappresentanza e sindacati) a richiedere alle rispettive amministrazioni e al governo, l’inizio di tale procedura.
A quanto ci risulta ad oggi, la richiesta di attivazione del tavolo tecnico non è stata partorita nella formalità dovuta e nessuna delle parti ha convenuto in un efficace procedimento perlomeno utile ad un avvio di incontri per definire concretamente tale condizione ed arrivare a soluzioni idonee a sanare un vuoto che si protrae da ben 25 anni.
Non sono mancate nel frattempo anche sentenze, che se in parte riconoscono il danno subito, di fatto sono impercorribili nell’esigere l’eventuale ammontare per questioni puramente burocratiche, come la mancanza di una quantificazione esatta di quanto spetterebbe ad ogni singolo ricorrente anche a seguito di una vera quanto assurda constatazione della volontarietà dell’adesione a tale sistema complementare, che la Corte dei Conti nella sua motivazione definisce “volontaria” e subordinata alla trasformazione del TFS (trattamento di fine servizio) con il TFR (trattamento di fine rapporto), in virtù di alcune norme che sono a capo dell’uno e dell’altro sistema e legato alle trattenute che avrebbero dovuto sostenere il fondo previdenziale in analogia con il privato.
Quindi, l’affermazione che sta a monte della motivazione che alcune organizzazioni e associazioni presentano come, vinto il ricorso per il riconoscimento del danno, in realtà sono motivazioni che non producono effetti validi al recepimento delle eventuali somme che sarebbero maturate, ma assumono un effetto etico, ovvero avete ragione teoricamente ma non avete maturato quello che chiedete e pertanto non vi spetta niente.
Il Consiglio di Stato è tornato a ribadire che “i dipendenti pubblici destinatari dell’attività contrattuale collettiva o del decreto presidenziale di recepimento degli esiti della procedura di concertazione sono titolari di un interesse “finale” e del tutto indiretto e riflesso, e non già di un interesse concreto, attuale e direttamente tutelabile in ordine all’avvio e conclusione dei procedimenti “negoziali” in questione, appartenenti – semmai – in via esclusiva alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (per quanto attiene alle Forze di Polizia a ordinamento civile) e ai Comitati centrali di rappresentanza, sempre quali organismi esponenziali d’interessi
collettivi (per quanto attiene alle Forze di Polizia a ordinamento militare e al personale delle Forze Armate), chiamati entrambi a partecipare ai predetti procedimenti negoziali” (v., fra le varie, Cons. St., Sezione IV, 04.02.2014, nn.502-504).
Quindi ad avviso di questa Associazione, le motivazioni adottate fin qui dai vari ricorrenti non trovano nessuna soluzione idonea a soddisfare le giuste rivendicazioni del personale militare se non addirittura a creare una moltitudine di sentenze che ostacolano il processo di riconoscimento di tale diritto, in quanto assumendo le varie Corti posizioni perentorie in merito alle responsabilità a tutti i livelli competenti (sindacati e rappresentanza militare), esclude la responsabilità dello Stato e delle sue articolazioni, ovvero non esiste responsabilità se non quella della inerzia di chi doveva iniziare una procedura negoziale.
Chi oggi propone un ricorso di questo tipo e con le motivazioni adottate nei vari processi di giudizio amministrativo contabile, può solo, a nostro avviso, innescare una discussione politica ma non certo un giudizio di condanna nei confronti dello Stato a sanare la situazione della previdenza complementare.
Non va poi sottaciuto, che una recente sentenza non solo non accoglie le tesi dei ricorrenti nelle motivazioni ma addirittura sottolinea la mancanza di riferimenti normativi utili alla ricostruzione dei fatti oggetto del contenzioso.
Va inoltre ribadito, che il personale attualmente in servizio non ha titolo per ricorrere al Giudice amministrativo per avere diritto alla pensione complementare in quanto l’eventuale danno si configurerebbe solo all’atto della decretazione dell’assegno pensionabile dove si desumerebbe concretamente l’ammontare del mancato dovuto e con non poche problematiche interpretative.
Si riporta quanto in sentenza della Corte dei Conti dell’Abruzzo sentenza n.40/2017
“pur in mancanza (o in attesa) della costituzione di un fondo di categoria “chiuso”, il “secondo pilastro” rimane pur sempre accessibile, in quanto qualunque lavoratore ha comunque la concreta possibilità di aderire ad un fondo pensione “aperto”, fruendo degli stessi benefici fiscali in relazione ai contributi versati, ai rendimenti maturati sul proprio montante individuale ed alle prestazioni erogate”.
Da tale lettura si desume, che il militare poteva comunque accedere ad altri istituti della previdenza complementare senza aspettare quello che avrebbero potuto attivare lo Stato, Amministrazioni e parti sociali, come a dire se volevate potevate, ma se non avete aderito a nessun fondo è stato per volontà propria e non certo per impedimenti posti in essere da altri.
Per un approfondimento del tema proposto, si rimanda ad una lettura più tecnica ma facilmente comprensibile, pubblicata sul sito dello Studio Coronas di Roma, con il quale questa associazione ha promosso molte iniziative a favore del personale militare. (clicca qui)
Presidente Assodipro
Giuseppe Pesciaioli