Periodico di informazione delle Forze Armate, Forze di Polizia e Pubblico Impiego

Il 2022 è stato un anno ricco di novità per le buste paga dei dipendenti pubblici: quattro rinnovi contrattuali che hanno interessato il personale non dirigente di amministrazioni centrali, enti territoriali, sanità e scuola; gli adeguamenti delle indennità per i ministeriali; pagamento di arretrati che ha gonfiato i cedolini.

Tanta grazia non è però bastata a modificare gli andamenti di lungo periodo delle retribuzioni (tra 2013 e 2022), che nel pubblico impiego, sono cresciute del 6,1%, cioè meno della metà di un’inflazione del periodo pari al 13,8%. L’aggancio al carovita ha funzionato molto meglio nel settore privato. Soprattutto nell’industria, dove i contratti hanno tenuto il passo (+13,1%). Un po’ meno nei servizi, dove comunque gli aumenti (+9,8%) sono stati più vivaci di quelli pubblici.

Se si guarda solo al 2022, anno per il quale i dati sono limitati a settembre, si registra una consistente perdita del potere d’acquisto per tutti i comparti. Ciò a causa dell’inflazione annua, che a settembre era pari al 7,1% (ma la media annua a fine anno è salita all’8,1%). Per il settore pubblico l’aumento nominale dei salari si è limitato allo 0,9% (+1% per i non dirigenti, +0,7% per i dirigenti), mentre nel settore privato, esclusi i dirigenti, si è attestato intorno all’1% (+1,5% per l’industria, +0,5% per i servizi).

I numeri sono dettagliati nel Rapporto sui rinnovi contrattuali nel pubblico impiego, appena pubblicato dall’Aran. Le cifre, che per ragioni tecniche fotografano la situazione a fine settembre, necessitano di qualche piccolo ritocco, che però non cambierà il quadro. L’inflazione del decennio andrà infatti aggiornata al rialzo, verso quota 18,5%, perché la stima preliminare Istat parla di un incremento 2022 dell’11,6%, e non più del 7,3%, come indicato nei documenti di finanza pubblica (bisognerà attendere martedì prossimo per la stima definitiva).

Anche la crescita effettiva delle buste paga pubbliche a consuntivo sarà un po’ più alta per i contratti arrivati al traguardo solo a fine anno (ultimo quello della scuola). E proprio questo secondo aspetto evidenzia il problema di fondo: l’impatto dell’entrata in vigore dei rinnovi contrattuali porterà un apice degli incrementi incrementi di cassa stimato dall’Aran iintorno al 9%, ma si tratta in larga parte di un effetto ottico alimentato dagli arretrati, che sono ovviamente un una tantum e dipendono dal fatto che le intese riguardano un triennio già scaduto.

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