Periodico di informazione delle Forze Armate, Forze di Polizia e Pubblico Impiego

Era stato sorpreso da militari dell’Arma dei carabinieri, in compagnia di un pregiudicato nell’atto di acquistare sostanze stupefacenti pagandone il prezzo e, a quel punto, aveva cercato di indurre i militari dell’Arma a desistere dal controllo mostrando il tesserino del Corpo della Guardia di Finanza. Tali condotte, unitamente a quella di avere tardivamente informato dell’accaduto il proprio comandante di Reparto, sono costate care all'appuntato scelto di mare appartenente alla Guardia di finanza al quale veniva inflitta la sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione 

con iscrizione senza alcun grado nel ruolo dei militari di truppa della Marina militare. Impugnato il provvedimento espulsivo, il TAR rigettava il ricorso ed analogo epilogo ha avuto il giudizio di appello innanzi al Consiglio di Stato che, con la sentenza n. 3736 del 31 agosto 2016, ha infatti ritenuto infondato il ricorso con il quale si eccepiva la violazione del criterio di proporzionalità. La Quarta Sezione del Consiglio di Stato sul punto ha richiamato quella giurisprudenza - elaborata con riguardo a finanzieri (e più in generale militari) dediti all’uso anche occasionale di droghe, ma evidentemente espressiva di un principio generale - secondo cui: a) la potestà disciplinare, nelle sue forme proprie, opera in sfera diversa da quella che inerisce al magistero penale; b) la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati al pubblico dipendente, in relazione all’applicazione di una sanzione disciplinare, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità salvo che per violazione delle norme procedurali o in alcune ipotesi-limite di eccesso di potere, sotto il profilo della abnormità e del travisamento dei fatti (fattispecie che qui non ricorrono); c) il principio di proporzionalità consiste in un canone legale di raffronto che, anche dopo la sua espressa codificazione a livello comunitario sulle suggestioni del diritto tedesco (art. 5, ultimo comma, del Trattato C.E., e ora art. 5, comma 4, del Trattato U.E.), non consente di controllare il merito dell’azione amministrativa; inizialmente delineato in sede di verifica degli atti adottati dagli organismi comunitari, il principio è stato successivamente utilizzato dalla Corte di giustizia anche per l’esame della legittimità della normativa di recepimento degli atti comunitari emanata dagli Stati membri (cfr. Corte giust. 18 maggio 1993, causa C-126/91); la rilevanza assunta dal controllo di proporzionalità nella giurisprudenza comunitaria ha posto il problema dei limiti entro i quali tale esame possa esercitarsi; a tale proposito, la Corte ha rilevato che il riscontro di proporzionalità riguardi «solo il carattere manifestamente inidoneo di un provvedimento adottato in tale ambito, in relazione allo scopo che l’istituzione competente intende perseguire, può inficiare la legittimità di un siffatto provvedimento» (cfr. Corte giust. 16 dicembre 1999, causa C-101/98,); ciò significa che il sindacato giurisdizionale non può spingersi ad un punto tale da sostituire l’apprezzamento dell’organo competente con quello del giudice, valutando l’opportunità del provvedimento adottato ovvero individuando direttamente le misure (per queste considerazioni, si veda puntualmente Cons. Stato, sez. IV, 9 ottobre 2010, n. 7383); d) ciò premesso, non è né illogica, irragionevole o sproporzionata la scelta di irrogare una sanzione destitutoria al militare appartenente alla Guardia di Finanza il quale risulti colluso con ambienti dediti al commercio illegale di sostanze stupefacenti, tenuto conto in primo luogo che l’appartenenza a un Corpo che è istituzionalmente preposto – fra l’altro – al contrasto allo spaccio ed alla diffusione degli stupefacenti impone di valutare la condotta ascritta all’appellante con la dovuta severità (cfr. ex plurimis Cons. Stato, Sez. IV, 16 febbraio 2010, n. 2927; sez IV, 4 maggio 2010, n. 2548; sez. IV, 13 maggio 2010, n. 2927; sez. IV, 26 ottobre 2010, n. 8352; sez. IV, 30 novembre 2010, n. 8352; sez. IV 18 novembre 2011, n. 6096 e n. 6099; sez. IV, 19 dicembre 2012, n. 6540; sez. IV, 11 marzo 2013, n. 1474; sez. IV, ord. 16 giugno 2016, n. 2239); e) infatti la condotta rimproverata è del tutto inammissibile per un appartenente al Corpo della Guardia di Finanza perché, ponendosi in conflitto con uno specifico dovere istituzionale, costituisce una violazione degli obblighi assunti con il giuramento di appartenenza e rende del tutto irrilevante qualunque considerazione circa l’irrilevanza penale del fatto, l’asserita mancanza di ripercussione sociale, i positivi precedenti dell’incolpato, ma giustifica la sanzione espulsiva ai sensi dell’art. 40, n. 6, della legge 3 agosto 1961, n. 833, a detta del quale il militare di truppa incorre nella perdita del grado quando è stato rimosso “per violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari, ovvero per comportamento comunque contrario alle finalità del Corpo o alle esigenze di sicurezza dello Stato, previo giudizio di una Commissione di disciplina”; f) né può ritenersi che la gravità del comportamento del militare incolpato debba o possa influire sulla misura della sanzione in essa contemplata. Come ha più volte affermato il Consiglio di Stato, la perdita del grado è infatti “sanzione unica ed indivisibile”, non essendo suscettibile di essere regolata tra un minimo e un massimo entro i quali all’Amministrazione spetti di esercitare il potere sanzionatorio. Dalle considerazioni che precedono, discende che l’appello è infondato e va perciò respinto, con conseguente conferma della sentenza di primo grado e dei provvedimenti impugnati.

Fonte: http://www.gazzettaamministrativa.it/    segnalazione del Prof. Avv. Enrico Michetti 

 

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