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PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Artini n. 2-00781, concernente chiarimenti in merito all'invio di un contingente di militari italiani in Iraq, con particolare riferimento alle modalità per garantire l'immunità dalla giurisdizione locale delle truppe italiane nel corso della missione.
Chiedo alla deputata Basilio se intenda illustrare l'interpellanza, che ha sottoscritto in data odierna.
TATIANA BASILIO. Presidente, sì, intendo illustrarla. Tra le misure annunciate dal Ministro della difesa, Roberta Pinotti, il 16 ottobre 2014, rientra l'invio in Iraq di un contingente di militari italiani la cui consistenza, a oggi, risulta prevista in circa 280 soldati. Di questi, circa 200 dovrebbero svolgere il compito di addestratori a favore delle milizie della regione autonoma del Kurdistan iracheno (i cosiddetti peshmerga), mentre un'ottantina ricoprirebbero il ruolo di consiglieri militari, presumibilmente con compiti di consulenza alle forze irachene e di intelligence. Il Capo di Stato Maggiore della difesa, Luigi Binelli Mantelli, ha dichiarato, il 18 ottobre 2014, che l'attivazione di una base addestrativa italiana in Iraq, dove opereranno i circa 200 addestratori, dovrebbe avvenire entro la fine del mese di dicembre 2014. La nuova base italiana verrà quasi sicuramente posizionata quindi a Erbil, la capitale della regione autonoma del Kurdistan iracheno, ma sarebbe ancora da definire il luogo esatto dove stabilirla. Lo Status of forces agreement (SOFA) è un tipo di intesa che garantisce l'immunità delle truppe straniere dalla giurisdizione locale a fronte di una serie di garanzie offerte allo Stato ospite, tra cui le modalità di indennizzo a seguito di eventuali danni arrecati dalle truppe. Dopo la scadenza del SOFA relativo alla missione «Iraqi Freedom» non è mai stato firmato un nuovo SOFA per le truppe straniere in Iraq, e sottolineo il «mai». La contrattazione condotta dagli Stati Uniti nel 2011 per un nuovo accordo BSA (Bilateral security agreement), dal quale avrebbe potuto derivare un nuovo SOFA per le forze della coalizione, fallì, contribuendo alla decisione del Governo statunitense di procedere col ritiro totale delle truppe. Il Governo statunitense ha ottenuto nel giugno 2014 un accordo bilaterale nella forma di scambio di note diplomatiche che ricalcherebbe sostanzialmente quello proposto dal Governo di Al Maliki nel 2011, il quale fu respinto dagli Stati Uniti, che lo consideravano inaccettabile perché non offriva sufficienti garanzie per le truppe. La validità del sopraccitato accordo è dubbia, perché, in base alla Costituzione irachena, avrebbe dovuto essere ratificato con un voto del parlamento iracheno, mentre ha solo la forma di uno scambio di note diplomatiche. Anche se ne fosse confermata la validità, il sopraccitato accordo tra Iraq e Stati Uniti non sembra poter essere esteso alle truppe degli altri Paesi della coalizione anti-Isis poiché non c’è una missione formalmente gestita da un ente comune come, ad esempio, l'Isaf in Afghanistan. In questo contesto, l'Australia ha optato per fornire i propri militari dispiegati in Iraq di passaporto diplomatico, soluzione adottata dopo aver ottenuto il consenso del Governo iracheno in seguito a un lungo periodo di negoziazione. Nessuna informazione, invece, è stata fornita dal Governo italiano riguardo a come si intenda ottenere la garanzia dell'immunità per i militari italiani impegnati in Iraq in questa operazione ancora abbastanza fumosa, intendo sottolineare. Nessuna informazione è stata fornita dal nostro Governo, quindi ci aspettiamo oggi, sottosegretario Rossi, che ci vengano date queste informazioni, anche perché abbiamo già chiesto contezza, in una audizione che c’è stata qualche settimane fa, due o tre settimane fa, con il Ministro Pinotti. Abbiamo già chiesto contezza lì, quindi speriamo oggi di avere comunque delle informazioni un po’ più dettagliate. Il solo scambio di note diplomatiche tra l'Italia e l'Iraq non offrirebbe ai militari italiani in missione in Iraq sufficienti garanzie di immunità dalla giurisdizione locale, soprattutto considerando che la maggior parte di essi sarà dispiegata nella regione autonoma del Kurdistan iracheno, le cui istituzioni potrebbero non considerare vincolante una semplice nota diplomatica emessa da Baghdad. Da fonti di stampa (www.ilgiornale.it) si apprende che il 26 novembre 2014 sono giunti a Erbil sette militari italiani con il compito di preparare il terreno, ossia scegliere le infrastrutture, prendere contatti con i locali e altro, per l'arrivo del resto del contingente italiano che dovrebbe iniziare ad affluire in Iraq entro la fine dell'anno 2014, quindi a breve. Lei, sottosegretario Rossi, ha dichiarato il 22 ottobre al messaggeroveneto.gelocal.it che gli addestratori italiani inviati in Iraq avranno capacità addestrative in zona di contatto, lasciando intendere che saranno esposti, quindi, ad un livello di rischio molto elevato.
Premesso ciò, chiediamo al Governo quali ragioni abbiano spinto l'Italia a iniziare il dispiegamento di personale militare in Iraq prima che sia stato stipulato con le autorità di quello Stato un accordo di tipo SOFA. Ed inoltre, chiediamo anche se non intenda il Governo fornire dettagli di questa missione, e in particolare indicare i modi in cui prevede garantire l'immunità dalla giurisdizione locale delle truppe italiane in missione nel territorio iracheno.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la difesa, Domenico Rossi, ha facoltà di rispondere.
DOMENICO ROSSI, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, in effetti il Governo iracheno del Primo Ministro al-Abadi ha manifestato l'orientamento di non pronunciarsi direttamente sulle proposte di SOFA (Status of Forces Agreement)avanzate dai vari Paesi. Il Governo iracheno infatti preferisce riconoscere al personale militare impiegato in Iraq con compiti addestrativi per le forze di sicurezza irachene – e, dunque, non di diretta partecipazione alle ostilità – lo status previsto per il personale amministrativo e tecnico d'ambasciata, ai sensi della Convenzione di Vienna del 1961 sulle relazioni diplomatiche: che prevede, in particolare, l'immunità completa dalla giurisdizione penale locale.
È stata inviata pertanto, a cura del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, una nota al Governo iracheno con la quale è stato chiesto il riconoscimento formale dello status sopra indicato per il personale militare italiano munito di passaporto diplomatico: passaporto di cui viene/verrà munito il personale man mano inviato in teatro. Il Ministero degli affari esteri iracheno ha formalizzato tale riconoscimento con nota inviata all'ambasciata della Repubblica d'Italia a Baghdad. Quindi, il riconoscimento è già in atto; e, ripeto, prevede ai sensi della Convenzione di Vienna del 1961 l'immunità completa dalla giurisdizione penale locale.
Con riferimento, poi, all'affermazione che le istituzioni del Kurdistan «potrebbero non considerare vincolante una semplice nota diplomatica emessa da Baghdad», si osserva evidentemente che il Kurdistan è una regione autonoma dello Stato dell'Iraq; e quindi, la comunità internazionale e l'Italia non possono riconoscere il Kurdistan quale entità statuale sovrana.
In ragione di tali evidenze, e nella prospettiva dei rapporti di diritto internazionale tra i diversi Stati sovrani, l'unico interlocutore è il Governo della Repubblica dell'Iraq, e pertanto uno scambio di note verbali tra il Governo della Repubblica e il Governo della Repubblica dell'Iraq è vincolante all'interno di tutto il territorio iracheno, ivi compresa la regione autonoma del Kurdistan.
Per quanto riguarda infine in senso generale la missione, oltre a ricordare che il Governo italiano pone particolare attenzione alla problematica del cosiddetto califfato islamico, come affermato dal Ministro della difesa in sede di audizione il 16 ottobre scorso, allorché il Ministro Pinotti ha affermato: «Di fronte ai massacri di gente inerme non abbiamo la possibilità di voltarci dall'altra parte. Abbiamo un dovere morale di reagire e una necessità razionale per farlo, perché lo Stato islamico non può progredire oltre nella sua espansione territoriale. Per questo il Governo considera necessario continuare a contribuire alla vasta coalizione internazionale», è stato in quell'ambito che le misure dell'intervento italiano sono state illustrate prima dal Ministro Pinotti e poi dal sottosegretario di Stato del Ministero degli affari esteri, sia nel corso della audizione già citata del 16 ottobre, e sia in quella successiva del 20 novembre scorso dinanzi alle Commissioni esteri e difesa di Camera e Senato.
PRESIDENTE. Il deputato Artini ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.
MASSIMO ARTINI. Signor Presidente, indubbiamente, devo ammettere, la risposta è chiara: finalmente dopo almeno due mesi c’è definito quello che è lo status in merito all'immunità dalla giurisdizione dei nostri militari in Iraq. È indubbiamente chiaro il fatto che si è voluto estendere quello che la Convenzione di Vienna nel 1961 aveva definito per quelli che sono i tecnici e gli addetti delle ambasciate, che – mi premurerò di controllare – non penso sia riferito ai militari che vanno in teatro a fare addestramento, a fare altre cose.
Lo spunto di preoccupazione è che questa deroga a quella che era una Convenzione anche a livello internazionale, di estendere quell'immunità diplomatica a membri dell'ambasciata, vada a creare un precedente per cui in qualsiasi situazione si può estendere con un passaporto diplomatico tutto questo tipo di azioni in qualsiasi parte del mondo. È questa la parte che un po’ preoccupa. Indubbiamente è salvaguardata l'immunità dei militari che sono lì, io ne ragiono a un certo punto come estensione il fatto di non essere riusciti a fare un accordo globale che riguardi quel tipo di azione, anche perché – a quanto mi è dato sapere – non c’è una risoluzione ONU mirata a quel tipo di azione in Iraq. Questa preoccupazione ci deve far riflettere sull'azione della nostra Repubblica, del nostro Governo in Iraq, su come si vuole andare avanti e su come si vuole agire anche in questo settore, perché aver dato questa ampia libertà a tutti i soldati che si troveranno lì con un passaporto diplomatico, né più né meno come se fossero membri del Ministero degli affari esteri, è non dico sconcertante ma preoccupante, per cui su questa parte sarà opportuno riflettere anche sulla base della Convenzione e se effettivamente è il passaggio più corretto. Su questo le dico che in Commissione potrebbe essere fatta un'ulteriore richiesta di un atto di indirizzo, anche con altri membri, perché è opportuno che su questo si discuta, perché, lo ribadisco e concludo, non ci sembra corretto estendere questo tipo di status a delle persone che fanno altre cose, perché anche l'addestramento militare dovrà essere coperto da forze che fanno – mi perdoni il gioco di parole – force protection, cioè le sette persone che attualmente sono a Erbil a controllare dove mettere una struttura e dove potersi collocare dovranno anche pensare a quale stato di protezione dare ai nostri militari e quei militari che saranno in status di force protection senz'altro non staranno solamente ad addestrare, avranno anche altri compiti e siccome la situazione non è tranquilla – anzi, per niente – ci potrebbe essere il rischio che qualcuno come diplomatico possa rispondere al fuoco o comunque fare qualcosa che senz'altro non penso sia una cosa che viene fatta nelle ambasciate.