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Sei lavoratori in divisa si sono tolti la vita nelle prime 3 settimane del 2020. Qualcosa si sta facendo, ma ancora non basta. Perché il primo obiettivo deve essere migliorare le condizioni di un lavoro stressante per definizione
Il nuovo anno è iniziato così come è terminato il vecchio: 6 suicidi tra gli appartenenti alle forze di Polizia nelle prime 3 settimane del 2020. Sono numeri che preoccupano e che generano tra gli addetti ai lavori, gli esperti e anche qualche opinionista il mantra: bisogna fare di più.
Il Silp Cgil, che da sempre su questo tema è in prima linea ed è protagonista al tavolo nazionale per la prevenzione e la gestione del disagio per il personale della Polizia di Stato, ritiene che qualcosa si stia facendo, ma che tutto questo non basta. Perché il primo obiettivo deve essere quello di interrogarci su cosa noi possiamo fare e facciamo al nostro interno per migliorare le condizioni di vita e di lavoro del nostro personale.
Lamentarsi ogni qualvolta accade un fatto del genere, come quello recentemente avvenuto a La Spezia, non serve a nulla. Come sindacato, da diversi anni e ancor prima che il fenomeno assumesse le dimensioni e l’interesse attuali, abbiamo affrontato in maniera concreta il tema promuovendo seminari itineranti con esperti anche di fama mondiale affinché si iniziasse a parlare, anche al nostro interno, di un tema ritenuto per molto tempo scomodo.
La professione dell’operatore di Polizia è stressante per definizione in quanto il background medio del poliziotto deve risultare di un livello più alto rispetto al resto della popolazione. Nel repertorio delle donne e degli uomini in divisa, dove la morte esiste, può essere necessario usare legittimamente la forza sfoderando un’arma o utilizzando la violenza per vincere, per esempio, una resistenza. Ciò può valere durante una rissa come nel corso di un servizio di ordine pubblico senza parlare dell’imprevedibile che, nel nostro lavoro, è sempre in agguato. In tali contesti, nelle professioni con alto contenuto di stress e di aiuto alle persone, debbono concretamente esserci cose da fare e alcune si stanno già facendo. Penso, ad esempio, alla modifica dell'articolo 48 del nostro regolamento di disciplina, quello che prevede il ritiro della pistola, delle manette e del tesserino, che porterà su nostra forte richiesta all'istituzione di un articolo 48 bis quale forma efficace di tutela per il personale che dovesse attraversare un momento di disagio emotivo di qualsivoglia natura.
Bisogna inoltre continuare a lavorare sulla formazione del personale sanitario che deve essere omogenea e realistica rispetto al contesto concreto che vivono le donne e gli uomini in divisa, con una necessaria implementazione del numero degli psicologi di Polizia da affiancare all’equipe medica. I casi di suicidio, bisogna dirlo con chiarezza, originano da sofferenze che possono essere legate alle condizioni e all'organizzazione del lavoro, ma anche a situazioni personali e familiari complesse (pensiamo ad esempio ai debiti, alla questione del gioco d'azzardo, alle malattie etc.). Occorre quindi puntare anche sull'informazione al lavoratore, con un cambio di mentalità necessario perché anche il poliziotto può trovarsi in difficoltà e, oltre ad essere aiutato, deve farsi aiutare.
Esiste inoltre il tema della sorveglianza sanitaria, con il quale è aperto il confronto tra sindacati e amministrazione, aspetto che necessita di necessari paracadute, oggi mancanti, su dove e come impiegare il personale non più in grado di svolgere servizi operativi. Le problematiche sono ovviamente tante e non è possibile riassumerle tutte al meglio in questa sede: al fondo resta la questione di un lavoro, quello del poliziotto, che fa parte delle professioni di primo soccorso e che conduce a precoce usura nel tempo. Perché se è vero che si entra sani tra le forze dell’ordine non è sempre vero che lo si rimanga per il resto del servizio. Tanto più, che le forme di maggior stress si annidano spessissimo tra le tipologie del servizio ordinario, e risiedono nella carenza di personale, nei turni di servizio che vanno oltre l’orario previsto, oltre al fatto di risultare in molti casi disagevoli, nella carenza di mezzi e strumenti tali da poter svolgere la professione al meglio.
Tutto ciò oltre al tema dell'arma in dotazione che, come sappiamo, rappresenta un problema specifico dei corpi in divisa, essendo lo strumento più utilizzato per gli eventi suicidari. Alla luce di tutto questo il sindacato c'è, è presente e continuerà ad esserlo. Il tavolo sul disagio che abbiamo fortemente voluto e ottenuto al Dipartimento della pubblica sicurezza, con alcune risposte che stanno arrivando e altre che sollecitiamo con forza ogni giorno, dovrà essere ancor più produttivo. In generale, bisogna lavorare di più su questo versante. Perché la salute dei poliziotti e il loro benessere psicofisico sono una priorità. Per loro stessi, per le loro famiglie, per i colleghi che prestano servizio accanto a loro, per il cittadino che deve sapere che chi svolge questo lavoro è sano oltre che lucido.
Daniele Tissone è segretario generale del Silp Cgil