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Prosegue impietosamente la strage silenziosa tra le lavoratrici e i lavoratori di polizia. I suicidi si susseguono con una cadenza impressionante. Una strage trasversale che interessa uomini e donne di tutte le realtà del comparto sicurezza e delle forze armate.
L’ultima vittima è di martedì 9 aprile scorso. Una poliziotta in servizio a L’Aquila si è tolta la vita, solo pochissimi giorni dopo l’analogo gesto di un giovane collega di Firenze e di una poliziotta e mamma di due ragazzi di Caltanissetta. Ma è solo un frammento di una cronaca che non si chiude, per la quale la soluzione sembra lontana, e neppure è chiara un’efficace chiave di lettura e di elaborazione.
Si parla di numeri impressionanti, in percentuale doppi rispetto alla popolazione italiana, ma anche nettamente superiori a Paesi analoghi al nostro. Inferiori solo alla Francia, dove il fenomeno dei suicidi costituisce una vera e propria emergenza. E proprio in Francia, lo scorso 12 novembre, si è suicidata anche Maggy Biskupski, la poliziotta francese attivista e portavoce dell’Associazione Mobilitazione dei Poliziotti Arrabbiati (MPC), diventata una delle figure emblematiche del malessere dei poliziotti francesi.
Dopo anni caratterizzati da silenzi e volontà di nascondere il fenomeno dei suicidi nelle forze di polizia, oggi lo Stato è messo nell’angolo dalle dimensioni stesse del problema.
Dopo aver assistito a quasi un suicidio alla settimana negli ultimi mesi, sembra di cogliere i tratti di un’analoga sofferenza, di quel malessere diffuso patito negli anni ’70 che, seppure manifestato diversamente, fa riemergere nodi irrisolti di una professione difficile ed estremamente faticosa.
Pochi ricordano che il 24 ottobre 1971, a Torino, una sessantina di poliziotti, allora Guardie di Pubblica Sicurezza, organizzavano quella protesta clamorosa, passata alla storia e definita come la “marcia silenziosa e dignitosa”, marciando in uniforme dalla sede dell’allora Reparto Celere fino al centro cittadino. Furono perseguiti, arrestati e, i pochi rimasti, furono dispersi per la penisola, confinati nelle località più disparate. Le ragioni della protesta sono, in parte, sintetizzate nel testo dell’interrogazione parlamentare sui fatti, proposta dall’allora On.le Borra: “[…] per segnalare un sistema di trattamento più ingiustificatamente duro a Torino che altrove […] in considerazione dell’umano e comprensibile stato d’animo di un gruppo che appartiene ad un corpo impegnato in continuità in un difficile e grave compito, non adeguatamente compensato, spesso contrastato per opposti motivi […] L’interrogante, ritenendo necessario evitare irrigidimenti di pur doverosi richiami alla disciplina, chiede di conoscere altresì quali provvedimenti si intendano prendere per eliminare le cause del manifesto malcontento.”
Si trattò di un passaggio epocale, e anche di una scintilla iniziale della protesta che condusse alla smilitarizzazione e alla democratizzazione della polizia. Tempi e criticità diverse e uguali allo stesso modo, analoga la sofferenza.
Oggi, nonostante l’azione quotidiana delle rappresentanze sindacali nel settore della sicurezza sul lavoro, solo parte delle criticità è stata elaborata. Manca la consapevolezza di quanto sia importante realizzare il benessere organizzativo e tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori. La sofferenza che caratterizza le professioni di aiuto sociale non è mai stata completamente affrontata e risolta. Sono considerazioni che valgono allo stesso modo per infermieri, medici, psicologi, insegnanti/educatori, assistenti sociali, poliziotti, vigili del fuoco, psichiatri, operatori socio-sanitari ecc.
Per quanto riguarda la polizia, si parte ancora dal presupposto, sbagliato, secondo il quale i lavoratori della sicurezza possono e debbono avere la capacità di affrontare ogni situazione critica, senza alcun genere di supporto per affrontare una sofferenza che, troppo spesso, può diventare insostenibile a causa del forte impegno sul piano emotivo.
Ancora oggi non si riesce a tracciare una linea programmatica di prevenzione in termini di benessere e salute delle operatrici e degli operatori della Polizia di Stato.
I vertici delle forze di polizia, ancora oggi, non perdono occasione di sostenere che non esiste una linea di demarcazione netta tra la dimensione personale dei lavoratori di polizia e quella professionale, ma anche di riaffermare la tesi secondo cui “il rischio fa parte del nostro mestiere”. Il rapporto di lavoro è ancora legato al concetto di “appartenenza”, è così che vengono definiti lavoratrici e lavoratori di polizia. I poliziotti sono solo parte di questa società, appartengono a qualcosa o a qualcuno che, però, non si prende cura di loro. Sono elementi di una relazione estremamente destrutturante che, se non spiega la fenomenologia del disagio nel suo complesso, ne alimenta gli effetti negativi.
Il suicidio tra gli appartenenti alle Forze di Polizia è una vera e propria emergenza, una condotta distruttiva, sintomo tragico di una profonda sofferenza interiore, di un disagio personale fatto di concause che si correlano a sofferenza della nostra esistenza quotidiana. C’è il desiderio disperato di dignità in un essere umano che sceglie il suicidio.
Ad oggi, i dati sul fenomeno del suicidio in divisa ufficialmente forniti dalla stessa Polizia di Stato, riferiti al periodo 1995 – 2001 e pubblicati sul periodico ufficiale “Polizia Moderna”, sono insieme insufficienti e preoccupanti. Un’analisi dei dati che tenga conto della specificità di lavoratrici e lavoratori di polizia, rappresentativi di un sottogruppo della popolazione selezionato ai fini di una maggiore resilienza fisica e psicologica ai fattori stressogeni restituisce un tasso di suicidi doppio rispetto a quello della popolazione generale.
C’è una relazione funzionale tra la professione, con questo modello organizzativo, con l’idea di “appartenenza” – termine invasivo e spersonalizzante adottato dalle Amministrazioni delle forze di polizia – e suicidio?
Gli esperti parlano dell’esito di un condizionamento sociale troppo intenso, correlato ad un percorso di imposizione dell’espressione di aggressività che viene richiesta agli operatori di polizia. Ai poliziotti viene proposta una visione cognitiva del “giusto o sbagliato”. Davanti a questa prospettiva il poliziotto è quasi obbligato ad adottare meccanismi di difesa tipici del ruolo sociale e professionale, che hanno l’obiettivo di condurre al distacco emotivo. Si spiegherebbe così la relazione positiva tra suicidio e appartenenza alle forze di polizia che i dati statistici restituiscono con straordinaria e impietosa evidenza.
La professione del poliziotto e del militare, ancora oggi, risulta caratterizzata dalla persistenza di elementi di stress che vanno dalla percezione dell’ineguaglianza sociale, a quella di un ambiente che tende all’isolamento, all’interno del quale la dimensione dei diritti è garantita in modo diverso dal restante mondo del lavoro. Si pensi proprio alla normativa sulla salute e sicurezza sul lavoro, pressoché disapplicata nell’ambito delle forze di polizia, con organismi di vigilanza interni e datori di lavoro che, quando vengono sanzionati, per gli effetti del DPR 90/2010, sono sollevati dall’effetto afflittivo del pagamento previsto dal D. Lvo 81/08, che invece sono assolte direttamente dal Ministro dell’Interno.
A ciò si deve aggiungere l’assenza di un modello organizzativo efficace che determina super impiego dei lavoratori, doppi turni, la famigerata “turnazione in quinta” che aggredisce i ritmi circadiani, insieme a un logoramento da burnout al quale si risponde in termini ancora militareschi, ricorrendo alle dinamiche della gerarchia e della subordinazione che sono distanti dai modelli organizzativi più attuali ed efficaci. A ciò si aggiungano gi effetti di importanti battute d’arresto nel processo di emancipazione democratica delle forze di polizia, com’è stato il G8 di Genova del 2001, un momento in cui la storia che ci ha riportato a prima delle lotte sindacali.
Nell’ultimo ventennio le forze di polizia sono state sotto una pressione eccezionale. Al centro del dibattito politico sistematicamente ancorato ai temi della sicurezza. Le forze di polizia hanno sempre di più svolto la funzione di supplenza delle Istituzioni e della politica. È venuto meno il ruolo di regolazione sociale del pubblico e, contestualmente, la dimensione economica mondiale è diventata strutturale, indirizzando importanti organi dello Stato verso missioni più funzionali al mercato. Si tratta di un’analisi che è sotto gli occhi di tutti, in particolare se letta alla luce di una crisi economica che persiste, senza soluzione di continuità da un decennio. Il super impiego è diventato strutturale nella nostra professione, facilitato dall’importante ricorso allo straordinario, sottopagato con cifre non dignitose, al quale si ricorre in misura del 30 % rispetto a tutto lo stanziamento riservato al pubblico impiego. È di tutta evidenza che la pubblica amministrazione a cui viene consentito di fronteggiare le numerose esigenze ricorrendo allo straordinario, potrà contenere i costi e non procederà a nuove assunzioni.
Il 15 settembre 2016, nel corso della seduta assembleare n. 680 del Senato della Repubblica, il Sottosegretario di Stato per l’Interno Domenico Manzione ha risposto all’interrogazione parlamentare n. 3/02082, in merito al fenomeno dei suicidi tra gli appartenenti alle Forze di Polizia I dati, tenuto conto degli organici delle forze di polizia, forniti da fonti ministeriali, restituiscono 64 eventi letali tra il 2009 e il 2014, con un tasso d’incidenza, tra gli operatori di polizia, pari allo 10,41 ogni 100.000 individui, mentre nello stesso periodo il tasso di eventi suicidari tra la popolazione in generale è stata del 6,58/100.000; nel 2015 il tasso, a parità di rapporto, era del 14,04 per i poliziotti contro il 6,96 per la popolazione e nel 2016 del 10,04 contro il 6,89.
Nello stesso periodo emerge la gravità correlata alla diversa realtà professionale delle forze di polizia, infatti si sono registrati 62 casi per la Polizia di Stato (tasso del 10,41), 92 per l’Arma dei carabinieri (tasso del 16,5), 45 per la Guardia di Finanza (tasso del 12,10). Per quanto riguarda la Polizia Penitenziaria la gravità del problema è impressionante, 47 suicidi (tasso del 35,17). Per una corretta lettura dei dati va ricordato che si deve tenere conto degli organici delle forze di polizia.
La realtà delle forze di polizia è complessa perché legata alla sua storia e a modelli organizzativi militari che sono quelli più difficili da elaborare in funzione della dignità del lavoro e dell’individuo.
Imparare a gestire le emozioni e a far fronte alle situazioni critiche è prioritario per chi opera nelle professioni dell’aiuto sociale. I fattori di stress, il burnout sono costantemente presenti. Il benessere dei professionisti del sociale deve essere considerata una risorsa da tutelare per raggiungere gli obiettivi fissati e salvaguardare chi svolge un mestiere così delicato.
Fare il poliziotto obbliga ad un forte coinvolgimento psichico ed emotivo. Richiede una forte capacità di elaborare strategie di gestione delle emozioni, di riconoscere i fattori di rischio. A fronte di un coinvolgimento emotivo importante, c’è un forte bisogno di risorse che sappiano garantire e tutelare una sana esistenza personale, famigliare e sociale.
Parliamo di dignità del lavoro, anche in questo senso. Per questo serve la consapevolezza di tutti, della politica, dei vertici delle forze di polizia, della dirigenza pubblica, anche degli stessi lavoratori, alcuni dei quali, troppo spesso sottovalutano l’importanza e il significato di questi temi.
Solo di recente, quando il fenomeno dei suicidi ha assunto proporzioni sconcertanti, è parso evidente che un confronto su questi temi non fosse più rinviabile. Il 9 aprile scorso, si è svolta la prima riunione del Tavolo per la Prevenzione e la Gestione delle Cause di Disagio per il Personale della PdS. L’organismo, creato con decreto dal capo della Polizia Franco Gabrielli, avrebbe come obiettivo quello di mettere in campo iniziative realizzare il benessere dei poliziotti, affrontando le difficoltà che possono sorgere in attività di servizio e promuovere specifici percorsi di sensibilizzazione.
Inutile ricordare che il benessere organizzativo è uno degli obiettivi della normativa sulla salute e sicurezza sul lavoro e la correlazione con la Direttiva sul Benessere Organizzativo nella Pubblica Amministrazione, pubblicata il 23 marzo 2004 dall’allora Ministro della Funzione Pubblica Luigi Mazzella, dà il segno del ritardo con il quale i vertici della polizia affrontano la sofferenza delle nostre lavoratrici e dei nostri lavoratori. Da allora sono trascorsi ben 15 anni, 11 anni dopo l’entrata in vigore del D. Lvo 81 del 2008. Un passo in avanti o l’ennesimo tentativo di spostare l’attenzione su un altro fronte?
Gli strumenti per intervenire sulla questione c’erano già. Sono quelli previsti dalla normativa sulla salute e sicurezza sul lavoro. Il D. Lvo 81/08, infatti, prevede l’obbligo di valutare il rischio da stress lavoro-correlato, significa poter intervenire a 360 gradi sull’organizzazione del lavoro, significa realizzare il previsto benessere organizzativo.
Anche la questione dei suicidi rende evidente quanto il mondo della sicurezza pubblica sia carente sotto il profilo della tutela della salute e della sicurezza dei suoi lavoratori, in particolare per quanto riguarda i rischi psicosociali che sono sistematicamente sottovalutati, spesso neppure presi in considerazione. Rischi di genere e rischi legati all’età, come per la valutazione del rischio stress lavoro-correlato, neppure compaiono nei documenti di valutazione dei rischi. Ecco perché il tavolo rischia di spostare la nostra attenzione e riaprire un ulteriore, inutile e fuorviante piano di confronto, mentre gran parte delle soluzioni sono lì, a portata di mano, e si troverebbero semplicemente effettuando una corretta valutazione dei rischi, in particolare quello dello stress per una professione che è unanimemente considerata tra le più stressanti in assoluto.
Il sindacato, in particolare il SILP CGIL, è stato protagonista di una campagna incessante, condotta in questi anni sul tema dello stress e del burnout in polizia. E insieme alla CGIL proseguirà nell’opera di diffusione e promozione dei diritti e della dignità di questi lavoratori perché questa è la nuova frontiera della dignità dei lavoratori di polizia.
Una differenza impercettibile con quella dignità del lavoro pretesa negli anni ’70, caratterizzata dalla ricerca delle migliori condizioni di lavoro e dal riconoscimento dei più elementari diritti anche per le lavoratrici e i lavoratori della sicurezza.
*Nicola Rossiello è Segretario Generale del SILP CGIL Piemonte