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Gli scontri avvenuti a Firenze tra una frangia estremista e minoritaria, non rappresentativa - vivaddio! - delle legittime ragioni del No al referendum del 4 dicembre, e le forze di polizia, con diversi miei colleghi finiti in ospedale, è paradigmatica di un clima inaccettabile che da tempo sta inquinando il dibattito politico italiano sul tema della riforma costituzionale. In democrazia ci si confronta pacificamente su idee diverse.
Questo è il sale, anzi il bello, della democrazia. Un concetto, evidentemente, sconosciuto a coloro che si presentano in piazza con caschi e bastoni, pronti a sfidare i lavoratori in divisa che, è bene ricordarlo, sono gli unici ad essere titolati per quel che riguarda l'uso legittimo della forza. E sottolineo legittimo. Il dissenso, anche forte ed eclatante, non può e non deve mai sfociare in episodi di violenza. Punto.
Invece il referendum sta diventando l'ennesima occasione per spostare l'attenzione vera dalle questioni di merito all'ordine pubblico, così come avviene in materia di immigrazione o sfratti, ad esempio. Il baricentro, insomma, diventano le piazze e le forze dell'ordine. Il problema vero, invece, sta proprio nell'imbarbarimento del confronto politico che poi, ovviamente, si ripercuote nel dibattito tra i cittadini e soprattutto nelle citate piazze. Salvo poche, nobili eccezioni, è pacifico oggi affermare che il livello medio della nostra attuale classe politica è quello che è. Basta accendere la televisione e, soprattutto, essere un frequentatore dei social per comprendere come ormai al confronto si preferisca l'insulto e al dialogo gli urli.
Quando parlamentari della Repubblica affermano in libertà che votare Sì al referendum significa tornare indietro di 200 anni e instaurare una dittatura oppure sostengono che votare No sarebbe fonte di sciagure inimmaginabili, senza per altro spiegare concretamente il perché di queste asserzioni (se non con slogan vuoti e ripetuti suggeriti dagli uffici stampa), va da sé che non andiamo da nessuna parte e che soprattutto si aizzano animi di persone che sono, magari, già esasperate: penso ad un giovane che non trova lavoro, ad un cinquantenne che lo ha perso e vive di sussidi, ad un impiegato che fatica ad arrivare alla fine del mese col suo salario. Come i poliziotti del resto, che da quasi 8 anni attendono un contratto dignitoso (su questo aspettiamo l'esecutivo del premier Renzi alla prova dei fatti).
Se non vogliamo trovarci con piazze sempre più calde, da qui alle prossime settimane, è necessario davvero che tutti - a partire da coloro che hanno responsabilità politiche e di governo - si diano una calmata. Abbiamo già i nostri (numerosi) problemi come Italia e esacerbare gli animi non serve a nessuno, neppure a coloro che puntano a lucrare qualche consenso con posizioni che arrivano alla pancia senza passare per la testa. Purtroppo ho tutte le ragioni per temere che il cupio dissolvi della nostra democrazia, agitato come spauracchio da molti supporter di entrambe le posizioni al referendum, sia da tempo terribilmente in atto e, probabilmente, non ce ne siamo nemmeno accorti.
Daniele Tissone
Segretario generale sindacato di polizia Silp Cgil