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Una riflessione sul dibattito in corso in materia di tutela della salute e prevenzione nelle Ff.AA. Alla luce della relazione della Commissione Parlamentare di inchiesta sull'Uranio e delle proposte di legge all'esame del Parlamento.
Come è noto la Commissione parlamentare di inchiesta sull’Uranio impoverito, istituita il 30 giugno 2015, sta portando avanti un importante lavoro di indagine sul tema della sicurezza e della salute del personale dell’Amministrazione della Difesa.
Un approdo altamente significativo dell’attività della Commissione è stata la proposta di legge A.C. 3925 che vede come primo firmatario l’on. Scanu ed altri 150 deputati di vari gruppi politici.
Secondo la seconda relazione della Commissione, depositata recentemente ( si tratta della seconda intermedia) le attività condotte hanno chiarito che le criticità già poste in luce dalle tre precedenti Commissioni, non solo non sono state eliminate, ma sotto più aspetti si sono aggravate. Perché – si legge - quelle criticità sono, e continueranno ad essere, alimentate da un problema irrisolto: l’universo della sicurezza militare non è governato da norme adeguate. C’è bisogno di una nuova legge. Senza di che resteranno immutate le scelte strategiche di fondo che attualmente ispirano la politica della sicurezza nel mondo delle Forze Armate. Quelle scelte strategiche che paradossalmente trasformano il personale dell’Amministrazione della Difesa in una classe di lavoratori deboli. Quelle scelte strategiche – dice la Commissione - che per giunta umiliano i militari ammalati o morti per la mortificante sproporzione tra la dedizione dimostrata dal militare in attività altamente pericolose e la riluttanza istituzionale al tempestivo riconoscimento di congrui indennizzi”
La Commissione, quindi, ha avuto il merito di aprire un fronte di discussione ampio ed articolato al fine di migliorare la tutela della salute del personale, sia sul versante della prevenzione dei rischi, sia su quello degli indennizzi.
Nel frattempo, il dibattito sui contenuti della proposta di legge che è stata assegnata all’esame delle commissioni congiunte Lavoro e Affari Sociali della Camera, insieme ad altri tre progetti, ha fatto emergere alcune perplessità in ordine alla possibilità che un ente economico esterno come L’INAIL, possa intervenire autonomamente nel settore dell’assistenza del personale. (Ipotesi contemplata nella pdl). Perché si tratta indubbiamente di una operazione complessa, calata in un impianto organizzativo in cui debbono essere chiare le ricadute in termini sanitari, amministrativi e finanziari.
Nel momento in cui si mette mano ad una operazione di tale portata, è importante che vengano sciolti tutti i nodi che, partendo dalle criticità messe in evidenza dalla Commissione, propongano soluzioni chiare che tengano conto delle varie specifiche situazioni in essere, considerando ovviamente che nell’attuale sistema sono necessari interventi decisivi per rivedere modalità e tempi dei procedimenti di riconoscimento delle patologie.
Ma il confronto sui testi legislativi, a cui abbiamo contribuito recentemente con un convegno organizzato insieme alla Associazione Ficiesse e al patronato Inca CGIL, in queste ultime settimane si è “arricchito” di denunce su presunti ostacoli che verrebbero posti ad una rapida approvazione della legge.
Operazione che sarebbe stata messa in campo dai vertici della Difesa con grandi responsabilità dei partiti di maggioranza.
Questo è quanto denunciato dallo stesso On. Scanu, presidente della Commissione di inchiesta sull’uranio.
Ebbene, non sappiamo né vogliamo entrare nel merito di tali dichiarazioni perché riteniamo che l’on. Scanu, persona di estrema sensibilità, potrà chiarire ed avere risposte ai suoi dubbi, nelle sedi preposte.
Quello che non ci piace invece è l’eco strumentale che tali dichiarazioni hanno avuto sulla “rete” da parte di soggetti che si ergono a paladini dei tanti militari morti, ammalati e delle loro famiglie in nome di una democratica battaglia di diritti e tutele per tutti i militari, affermando che siano in atto fuorvianti informazioni su presunte penalizzazioni pensionistiche, se passasse la legge. Tesi che, secondo questi paladini, farebbero solo il gioco di vertici che non vogliono aprire il mondo militare a controlli, diritti e maggiori tutele su lavoro e salute.
Anche se non espressamente citati ci sentiamo chiamati in causa come giornale perché siamo tra coloro che hanno avanzato alcuni dubbi in proposito, ma lo abbiamo fatto ragionando con la nostra testa, cercando unicamente di portare contributi concreti e non slogan, al dibattito parlamentare. E soprattutto (spiace deludere i paladini) non prendendo direttive dagli SS.MM, tantomeno costruendo ricorsifici e carriere personali su vicende così tragiche.
Guardare all’’interesse generale di tutti gli uomini e donne militari, ed al tema dei militari malati e morti per mancanza di diritti e tutele, significa portare non solo dati ma proposte concrete e realizzabili.
Il primo fattore su cui occorre battersi è un cambio di passo in termini di cultura della prevenzione, nonché sul diritto all’informazione che hanno i lavoratori in ordine ai rischi sui luoghi di lavoro e la garanzia, per gli stessi lavoratori militari, di poter negoziare anche e soprattutto le condizioni di salute sui luoghi di lavoro, nonché i relativi aspetti previdenziali e assistenziali.
Le proposte di legge in esame soddisfano queste elementari esigenze di chiarezza? In merito alla introduzione del regime Inail, vi è stato uno studio approfondito di comparazione tra benefici previdenziali tra i due distinti istituti? Quali sono gli interventi volti a promuovere una nuova e più attenta cultura della prevenzione dei rischi sui luoghi di lavoro? Quante risorse lo Stato è disposto ad investire? Quali garanzie che i procedimenti siano più rapidi nel processo di riconoscimento della dipendenza di una malattia o di un infortunio come dipendente da causa di servizio? Quali i costi dell’operazione proposta?
Riteniamo che riflessioni in tal senso, nulla sottraggono alla validità dell’impianto e agli obiettivi della legge proposta, ma siano però utili per fare una buona legge.
Un'altra considerazione: l'art. 9 dello Statuto dei diritti dei lavoratori ( Legge n. 300/70) sancisce il diritto dei lavoratori, mediante loro rappresentanze, di controllare l'applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l'elaborazione e l'attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica.
Il Decreto Legislativo n. 81/2008 recante Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro ha dettato non solo una serie di importanti e specifiche misure di sicurezza, ma ha anche modificato gli obblighi generali del datore di lavoro cambiando l'approccio al problema sicurezza. L'azione del datore di lavoro non deve risolversi in interventi episodici e frammentari, ma deve costituire una funzione istituzionalizzata. Con questa normativa, infatti, si è teso ad istituire nei luoghi di lavoro un sistema di gestione permanente ed organico diretto all'individuazione, riduzione e controllo costante dei fattori di rischio per la salute e la sicurezza dei lavoratori mediante – tra l’altro – l’informazione, formazione e consultazione dei lavoratori e loro rappresentanti.
Inoltre nell’abito dell’assicurazione contro gli infortuni valida per tutti i settori (INAIL), i sindacati sono integrati nel sistema aziendale per la sicurezza dei lavoratori tramite comitati per la sicurezza dei lavoratori (RLS). Ogni sindacato nomina un rappresentante.
Saremmo proprio curiosi di sapere , nel caso del personale militare, privo del diritto di costituire sindacati, chi sarà chiamato a tale funzione?
Nella seconda relazione della Commissione Uranio si legge che: “all’insegna e dietro la mistificazione di una fraintesa specificità, il mondo delle Forze Armate è apparso chiuso alle istanze di rinnovamento….. Non che la specificità delle Forze Armate possa essere trascurata. Solo che tale specificità deve essere intesa, non già come pretesto per giustificare una riduzione delle tutele, bensì come esigenza di fornire ai lavoratori misure di prevenzione che, per l’adattamento alle peculiarità delle Forze Armate valgano vieppiù a garantirne la sicurezza e la salute….”
Nulla di più condivisibile!
C’è da domandarsi allora perché, in tutti questi anni ai cittadini militari è stato vietato, con la complicità di un legislatore….diciamo disattento, il pieno esercizio dei diritti costituzionali, ivi compreso quello di dotarsi di organismi sindacali che forse, all’interno delle caserme, avrebbero potuto esercitare una più efficace azione di controllo sulla prevenzione sanitaria?
La specificità non ammette “zone franche” dice la Commissione; i diritti costituzionali nemmeno!
A. Manotti